Storia e cultura del Messico precolombiano (2a parte)


Segni di una complessa stratificazione culturale si riscontrano, ancora oggi, nel Messico meridionale, in particolare nella zona di Monte Alban (nello Stato di Oaxaca), fra il territorio dei Maya e la Valle del Messico. La popolazione Olmecoide, che occupò per prima la zona, lasciò segni della sua prolifica attività artistica in stele ed in rilievi con figure di danzatrici e di caccia, presenti sia nella ceramica che nell’architettura. Una volta estinta, salì alla ribalta quella Zapoteca. Gli ultimi ad occupare quest’area enorme, furono, nel V secolo, i Mixtechi.
Degne di nota, nel Messico nordoccidentale, in epoca precolombiana, sono state le realtà dei Colima e dei Nayarit, che lasciarono, comunque, templi non particolarmente imponenti, ma sicuramente molto ricchi di statue e di bassorilievi.
Altra arcaica civiltà, quella, molto discussa, degli Olmechi, che sembra avesse il proprio centro sulla costa atlantica (nell’attuale Stato di Tabasco), ove le grandi statue monolitiche e la gigantesca testa di “La Venta”, restano tra i prodotti più straordinari di quell’età.
Nello Stato di Veracruz, a nordovest della regione degli Olmechi, i Totonachi (V e XI secolo) diedero luogo ad una società, la cui più importante testimonianza è data dalla monumentale piramide mesoamericana di El Tajfin, nelle cui fiancate, con simmetrica precisione, sono ricavate 365 nicchie, numero corrispondente, ovviamente, ai giorni dell’anno.
Del resto i Conquistadores di Cortez, narrano di grandi città messicane e delle loro meraviglie architettoniche. Raccontano di un palazzo, quello del Re Tetzcoco, che era lungo un chilometro e largo ottocento metri, con una grandiosa muraglia e portici marmorei; gli appartamenti reali erano incrostati di alabastro, stucchi colorati, tappezzerie, pelli e piume. Cortez ricorda 400 torri a Cholula ed una piramide che è stata, per grandezza, la più grande mai innalzata dall’uomo. Hanno particolare importanza il tempio-fortezza di Xochichalco, la piramide di Papantla, la necropoli di Mitla, la fortezza di Monte Alban. Su queste grandi piramidi, tronche o a più piani, costruite a strati alterni di pietrisco, cemento e mattoni cotti al sole, sorgeva spesso un tempio, massiccio, di forma cubica o parallelepipeda.
La scultura serviva, in gran parte, come elemento decorativo dell’architettura, generalmente non di grande livello artistico, essendo spesso rozza nella concezione e sovrabbondante nei particolari. Negli anni precedenti la conquista, raggiunse l’acme della notorietà la testa del “Guerriero Aquila e la sua Maschera d’Onore (conservata oggi nel Museo di Antropologia di Firenze). Era praticata sfruttando il basalto, la lava, il porfido e l’alabastro, anche se, in molti casi, veniva preferita la plastica in stucco o la terracotta. Tra le migliori opere, sono degne di essere ricordate la “Pietra del Sole”, l’idolo della Dea Coatlique e quello di Omeciuatl, il cosiddetto “Indio Triste”.
Della pittura, invece, è rimasto pochissimo; le cose migliori, oltre alle pittografie di alcuni codici, rimangono gli affreschi del “Tempio dell’Agricoltura” e dalla “Casa di Barrio”, a Teotihuacan, oltre a quelle di carattere religioso, astrologico di Mitla.
Alto livello raggiunsero la ceramica e le arti minori. I Messicani conobbero il tornio e la ruota, ma giunsero ad una notevole perfezione di modellato antropomorfico e di decorazione. Le più belle ceramiche sono quelle di Cholula, di Texzoco e dei paesi dei Mixtechi e Zapotechi. Per l’oreficeria, usavano in gran quantità l’oro, l’argento e pietre preziose di ogni genere, lavorate squisitamente. Pregiati sono i mosaici di pietre dure: il più bel esemplare, conservato nel Museo Nazionale del Messico, è un disco ricoperto di 3200 turchesi. Eccellenti orafi, conoscevano perfettamente tutte le tecniche di lavorazione. L’arte originale locale era, senz’altro, costituita dal mosaico a piume.
Della loro religione, con particolare riferimento a quella praticata dagli Aztechi, che vivevano nel Messico al momento della conquista spagnola, sono giunte a noi solamente delle note, ottenute sia dalle descrizioni degli autori iberici (il più importante è il francescano Bernardino di Sahagun), sia da fonti dirette, come monumenti e codici pittografici. Era una adorazione politeista. Dalla coppia cosmogonica Ometecutli-Omecihuatl discendono direttamente le divinità principali: Tetzcatlipoca, lo “specchio lucente”, dio della giustizia; Huitzilopochtli, dio della guerra; Quetzalcoatl che, secondo il mito, sarebbe tornato tra gli uomini solo alla fine dei tempi ed il cui culto era celebrato di nascosto; Tonatiuh, il Sole, cui si offrivano cuori umani che venivano strappati, ancora palpitanti, con un coltello di selce; Metzli, la Luna; Tlaloc, datore della pioggia; sua figlia Centeotl, dea dell’agricoltura. Nella sola capitale, Tenochtitlan, si contavano 200 templi e 5000 sacerdoti. Gli spagnoli restarono particolarmente sorpresi dalle pratiche religiose che ricordavano, per certi versi, alcune di quelle cristiane: una specie di battesimo, la confessione dei peccati, i banchetti sacramentali e l’uso del simbolo della croce (con questo segno si indicava il datore della pioggia, Tlaloc). La cosmologia indicava 13 cieli, abitati da particolari divinità e 9 mondi degli inferi.
Gli antichi messicani giunsero, tra l’altro, ad uno stadio di scrittura abbastanza evoluto che, passando attraverso la pittografia e l’ideografia, arrivò, nell’epoca dell’invasione spagnola, a rudimenti di scrittura fonetica. Il sistema rimase sempre legato alla tradizione orale e conservò carattere misto, mescolandosi insieme iconofoni e disegni.
Tangibile testimonianza, ne sono i codici (tra i più interessanti le Mappe Tlobzin e Quinatzin, d’argomento storico, il Codice Borgia, il Codice Vaticano B, il Codice Nuttall, già Medici). Della scrittura rimangono scarse reliquie, prevalentemente in “nahuatl” (lingua originaria della polpolazione azteca, chiamata anche uto-azteca): inni religiosi, due canti del re poeta Nezahualcoyotl, i Cantares de los Mexicanos, orazioni e canti elegiaci. L’eloquenza fu attivamente coltivata. Esisteva una forma di poesia drammatica, di genere grottesco.
Le scienze esatte, contrariamente a quanto si potrebbe credere, non ebbero grande sviluppo. Non si può parlare di matematica e neppure di aritmetica. Tuttavia l’abilità pratica fu molto avanzata, come dimostrano i grandi lavori di ingegneria ed il complesso meccanismo cronologico del calendario. Il sistema numerico era vigesimale; le conoscenze astronomiche comprendevano le cause delle eclissi solari, i punti solstiziali, quelli equinoziali e lo studio delle principali formazioni astrali. Incrementate sufficientemente, la medicina, le scienze naturali e principalmente la botanica, che sfruttavano per l’aiuto che quest’ultima forniva, in campo alimentare.
Concludendo, gli Aztechi e le altre popolazioni di questo continente, che i conquistatori spagnoli trovarono e velocemente distrussero, non dominavano la Natura, ma neanche ne erano dominati, piuttosto la capivano e la rispettavano, interagendo con gli elementi naturali e trattandoli come fratelli. Ogni cosa naturale aveva un suo posto e una sua utilità. Ogni componente della Natura, che fosse stato ritenuto utile, fu anche oggetto di osservazione e fece parte della concezione del mondo, che oggi è definita scienza azteca.