Haftar in, Italia out (da mercato libico)


La Libia è di nuovo in armi e questa per l’Italia è una pessima notizia. Il recente dibattito sugli interessi francesi in Africa del nord, simboleggiati dalla sopravvivenza di un Franco locale dopo ben 19 anni dall’abolizione di quello continentale, può aiutarci a capire meglio il significato della guerra contro la Libia nel 2011 e dell’assassinio di Gheddafi. A chi ha giovato quel conflitto e chi ne sono stati i promotori? Per rispondere a questa domanda è consigliabile la lettura attenta di un documento ormai dimenticato: il Libro Verde scritto dal leader libico, che contiene l’essenza del suo pensiero. Premetto che, quando era in carica, non ho mai nutrito alcuna simpatia per quel dittatore, colpevole di aver cacciato gli italiani a pedate nel sedere, espropriandoli di tutti i loro legittimi averi, oltre che di professare simpatie per uno dei socialismi più demagogici da terzo mondo. Eppure se oggi, alla luce di quanto è avvenuto, riprendiamo in mano il suo saggio politico, dobbiamo ammettere che molte intuizioni ivi contenute, se non proprio geniali, sono tuttavia condivisibili. L’interrogativo che sorge spontaneo è perché mai, visto l’immenso potere di cui godeva, non abbia realizzato il modello di società da lui descritto. Ci chiediamo se la sua mancata attuazione sia dovuta a una libera scelta del colonnello o, non piuttosto, al fatto che molti, dall’esterno, glielo abbiano impedito, nel timore del contagio che una Libia governata secondo quei criteri avrebbe potuto trasmettere a molti altri Paesi della stessa area. Ma cosa scrive, esattamente, Gheddafi? Inizia con una durissima critica alla democrazia occidentale che, a suo dire, sarebbe una sostanziale dittatura delle minoranze sulla maggioranza del popolo: “La lotta politica che si risolve nella vittoria di un candidato, che ha ottenuto il 51% dei voti, porta a un sistema dittatoriale presentato sotto le false spoglie della democrazia. Infatti, il 49% degli elettori sono governati da uno strumento di governo che non hanno scelto, ma che ad essi è stato imposto. In realtà si instaura una dittatura sotto l’apparenza di una falsa democrazia” (NDR: tratto da politicamente scorretto). Riferendosi poi ai Parlamenti e alle loro funzioni stigmatizza in termini severi l’istituto della rappresentanza, che di fatto esclude la sovranità del popolo, visto che “il deputato non è legato ai suoi elettori da un rapporto organico popolare, in quanto, secondo la tesi della democrazia tradizionale oggi attuata, egli è considerato il rappresentante di tutto il popolo, alla pari degli altri deputati. Le masse, quindi, sono separate completamente dai loro rappresentanti e questi, a loro volta, sono completamente separati da esse”. Parole ugualmente dure riserva ai Partiti: “Originariamente il Partito nasce come rappresentante del popolo, poi la direzione del Partito diventa la rappresentante dei suoi membri, e il suo presidente diventa il rappresentante della direzione del Partito. E’ chiaro così che il gioco dei Partiti è una ingannevole farsa fondata su una caricatura di democrazia dal contenuto egoista, basata sul gioco degli intrighi e delle manovre politiche. Tutto questo conferma che il Partito è uno strumento della dittatura moderna. Una dittatura che si presenta apertamente, senza maschera e che il mondo non ha ancora superato” (NDR: tratto da “politicamente scorretto”). L’alternativa non può essere allora che la democrazia diretta, ma non quella esercitata tramite referendum, istituto ancor più truffaldino dei Parlamenti e dei Partiti, in quanto a colui che si esprime per il Sì o per il No è di fatto impedito dire ciò che realmente vuole. La soluzione davvero rivoluzionaria consisterebbe in un “sistema di governo che non sia il Partito, la classe, la setta o la tribù, ma il popolo nel suo insieme e che, quindi, non lo rappresenti e non si sostituisca ad esso: nessuna rappresentanza al posto del popolo, la rappresentanza è una impostura”. Gheddafi individua gli strumenti per raggiungere tale obiettivo in una organizzazione popolare di base. Essa prevede la suddivisione della cittadinanza in Comitati e Congressi territoriali, grosso modo corrispondenti ai Circoli di quartiere, comunali e regionali di cui parlano le moderne teorie partecipative, come per esempio la Sociocrazia olandese. Ciascuno di questi organismi di base dovrebbe scegliere una propria Segreteria. Dall’insieme delle Segreterie si formerebbero Congressi popolari di livello più alto. Infine, l’insieme dei Congressi popolari sceglierebbe un Congresso di vertice (il Top Circle sociocratico) ossia il governo centrale. In tal modo tutte le categorie e tutti gli interessi legittimi ne verrebbero a far parte, quasi si trattasse di una forma di corporativismo integrale. La differenza essenziale fra questa sistema di governo e quello esistente, fondato sulla rappresentanza partitica, consisterebbe nel fatto che ciascun Comitato o Congresso popolare, non importa di quale grado, manterrebbe uno stretto e immediato controllo sui membri eletti a formare le Segreterie di quelli superiori. Pertanto, qualora il delegato non si conformasse alle decisioni prese nell’assemblea plenaria di quello inferiore, verrebbe pubblicamene destituito e sostituito con un altro in linea con le deliberazioni assunte. Senza dubbio, ove questo modello partecipativo fosse divenuto realtà, le multinazionali, i signori del petrolio e della finanza, cioè i veri negrieri dell’epoca moderna, avrebbero dovuto abbandonare le mire coloniali sulla Libia. Se poi esso si fosse esteso ai Paesi vicini, l’intera Africa del nord sarebbe sfuggita al loro controllo. Dubito che Sarkozy, ignorante come tutti i mestieranti della politica, abbia mai letto il Libro Verde, ma di sicuro lo avevano fatto gli uffici studi e i servizi speciali dei grandi monopoli. La costante pressione esercitata su Gheddafi, durante l’interro periodo del suo potere, poteva dipendere anche dalla paura che un nuovo sistema rivoluzionario di governo riuscisse a rendere sovrane le masse nord-africane, fino ad allora tenute a bella posta nell’analfabetismo e nel sottosviluppo intellettuale. Tale ipotesi, anche se non certissima, sembra comunque una spiegazione probabile di ciò che è avvenuto e sta ancora avvenendo. Ma purtroppo il Gheddafi è morto e la Libia è ancora una volta sull’orlo del baratro, ancora una volta sull’orlo della guerra civile, la terza in pochi anni. Da una parte il Generale Haftar che avanza alla conquista di Tripoli, proseguendo l’assedio della città e tentando la conquista del potere, dall’altra il Governo di Tripoli presieduto dal Presidente Al-Sarraj riconosciuto (almeno sulla carta) dalla comunità internazionale. Nei giorni scorsi si sono susseguiti scontri armati e raid aerei, il tavolo sembra ormai preparato per l’ennesimo bagno di sangue ai danni del popolo libico. La comunità internazionale intanto rimane a guardare, spettatrice non troppo passiva di una situazione difficile e figlia di un certo imperialismo; esclusi i soliti appelli a “cessare le ostilità”, ci si è limitati ad annullare la “conferenza nazionale” prevista quest’anno in vista delle elezioni facendo intendere fallito, quindi, il percorso politico comune che la conferenza di Palermo dello scorso novembre aveva in qualche modo avviato ed esulando i soliti noti dalle responsabilità storiche e politiche di una situazione esplosiva creatasi dopo l’assassinio del Colonnello Gheddafi e la successiva distruzione del Paese. Molti gli attori in gioco, tra questi Trump rimane isolato dalla situazione, attendendo forse l’esito delle ormai imminenti ostilità, la Francia tenta di convincere tutti che l’avanzata di Haftar non è farina del suo sacco – cosa difficile da credere visto che proprio il governo di Parigi è sempre stato, neanche troppo segretamente, un sostenitore di Haftar (anche considerata la presenza della Total in Cirenaica). Le monarchie del Golfo e l’Egitto invece appoggiano pubblicamente l’avanzata di Haftar. Quest’ultima questione potrebbe far riflettere intorno alla “neutralità” americana, nella misura in cui dopo Israele e l’Italia, i principali alleati degli USA nel Mediterraneo sono proprio le monarchie del Golfo, la situazione libica importa il giusto agli “States”, ma una vittoria di Haftar finanziato da Francia, Emirati Arabi e Arabia Saudita significherebbe l’uscita di scena dell’Italia, che invece era stata designata come “partner privilegiato nel Mediterraneo” dagli stessi Stati Uniti, che adesso verosimilmente fanno buon viso a cattivo gioco, in un certo modo vendicandosi forse per il cambio di rotta economico e geopolitico, che ha spinto il nostro paese tra le braccia della Cina. A parte il popolo libico, l’unica sconfitta in questa intricata rete di rapporti è l’Italia, la quale aveva da subito sostenuto il governo di Al-Sarraj, e dopo le complicazioni dello scorso autunno si era affidata alla “longa manus” americana per far prevalere la linea politica comune, salvaguardando gli interessi nazionali. Data la situazione attuale, è altamente probabile che in questo gioco di piccoli e grandi imperialismi, l’Italia rimanga esclusa dalla Libia, con gravi ripercussioni politiche e, soprattutto, economiche. In conclusione, cosa deve farci capire la situazione libica? In primis fa capire ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che i frutti dell’imperialismo sono sempre avvelenati, nel breve o nel lungo periodo poco importa, e soprattutto che l’imposizione di determinati modelli sociali e quindi elettorali, non fa altro che radicalizzare il malessere di un popolo schiacciato, sconfitto, umiliato dall’Occidente imperialista, con le conseguenze che vediamo. In secondo luogo, visto quanto analizzato sopra, è bene che l’Italia guardi altrove, e che ponga fine una volta per tutte al servaggio nei confronti dell’occupante americano, il quale si dimostra sempre difensore dei propri interessi imperialistici, e non certo di quelli italiani. Terza e ultima questione, occhi aperti sulla situazione in sviluppo; una Libia nelle mani di Haftar finanziato con i “petroldollari” sauditi sarebbe una chiara corsia preferenziale per i terroristi islamici, che come è noto sono tutti fedelmente wahabiti, quindi in linea con l’Islam tribale di Riad dal quale il compianto Colonnello Muammar Gheddafi metteva in guardia l’intera Europa.