Attenti all’antirevisionismo! – p. 1 di 2


Vorrei segnalare ai nostri numerosi lettori questo articolo scritto a quattro mani da Patriota nero e Vittorio Bobba, due dei più attivi ed acuti collaboratori di WeeklyMagazine, per la lucidità con la quale si traccia il filo conduttore della storia italiana così come raccontata negli ultimi settant’anni.
L’articolo, un po’ più lungo dei nostri standard, per ragioni editoriali è stato suddiviso in due puntate. Eccovi la prima (la seconda sarà pubblicata domenica prossima).
Il Direttore.
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«Lo storico non può essere unilaterale, non può negare aprioristicamente le “ragioni” di una parte e far proprie quelle di un’altra. Può contestarle, non prima però di averle capite e valutate».
Apriamo con questa frase di Renzo De Felice che più di tutte racchiude il senso dello studio della storia o meglio di come dovrebbe essere condotto lo studio e la ricerca storica, liberi da ogni contaminazione ed ideologia ma soprattutto dall’odio verso l’avversario. L’argomento da trattare non è di facile lettura né tanto meno semplice da riassumere; tenteremo più che altro di condurre un lavoro imparziale sul nuovo revisionismo storico e sull’antirevisionismo dilagante da un po’ di tempo in qua, in particolare sul tentativo di una certa storiografia di minimizzare alcune vicende o accollare determinati comportamenti a situazioni precedenti. Negli ultimi anni si sta tentando di riscrivere alcune pagine buie del nostro novecento e, tra le tante che formano il libro della nostra storia, quelle sul fascismo e sui primi anni del 2° dopoguerra occupano un posto di primo piano. Ultimamente abbiamo condotto alcune ricerche e ci siamo imbattuti in alcuni scritti, spezzoni di trasmissioni televisive, siti internet, che hanno tentato di sminuire i lavori in negativo sulla Resistenza, e sull’opera Mussoliniana in Italia. Con questo non vogliamo affermare che la storiografia dettata da ambienti a noi vicini per pensiero sia libera da quell’odio che caratterizza ogni cosa in Italia. Ma passiamo ai fatti: sarà il lettore a giudicare. Negli ultimi tempi è avvenuto lo sdoganamento (che comunque non è la stessa cosa di studiare un avvenimento con imparzialità ma più che altro cominciare a parlarne in pubblico laddove prima il farlo era considerato un tabù) di argomenti che circolavano solo in ambienti di destra: le atrocità commesse dopo la fine della guerra da una parte della resistenza legata al partito comunista. Tempo fa Weekly Magazine per il tramite di Vittorio Bobba ha lanciato un appello a chi in quei giorni del 45 potesse fornire testimonianze circa il rapimento e l’omicidio della giovane Giuseppina Ghersi, barbaramente uccisa in provincia di Savona dopo la fine della guerra da banditi comunisti e divenuta il simbolo di quei tristi giorni.
Il fatto di poter poi affrontare in modo serio e sistematico i temi storici che in passato furono scritti nei libri di testo dai vincitori a sommo discapito dei vinti prende il nome di revisionismo.
Spesso questa pratica è stata bollata d’infamia – ovviamente da parte di chi si vedeva depauperato da ‘verità’ ormai date per certe e che invece certe non parevano più. Ma in molti casi un sano revisionismo è doveroso, soprattutto dove la spinta centrifuga dei dogmi imposti dai cosiddetti vincitori va a sbattere contro muri di menzogne che crollano lasciando trasparire una verità assai scomoda per i suoi estensori.
Provando a fare qualche ricerca su internet ci siamo imbattuti in affermazioni storiche a dir poco raccapriccianti come questo articolo tratto dal Manifesto del febbraio 2018 a firma di Angelo D’orsi: “In passato, studiosi come Enzo Collotti e Giovanni Miccoli ci misero in guardia però dalla necessità di non sottovalutare il nesso tra foibe e risposta ai crimini del fascismo. Ma già da allora apparve difficile opporsi all’«operazione foibe». La foiba diventò un tabù: l’invito a riconsiderare scientificamente il problema veniva bollato con l’etichetta di «negazionismo».” La tesi ripresa dai due storici sembra la solita storiella marxista che tenta di addossare le proprie colpe ad altri attori. Continuando a leggere l’articolo, diventa ancor più evidente il tentativo di addossare agli italiani le colpe delle foibe, dicendo che in fondo se la sono cercata, con il loro sentimento antislavo. D’Orsi continua: “…Le foibe, di cui si è volutamente e grottescamente esagerato numero e portata, sono la risposta jugoslava: i primi a servirsi di quelle cavità per i «nemici» peraltro furono gli italiani. E il più delle volte erano tombe naturali in cui in guerra si dava sepoltura ai morti, sia le vittime di combattimenti, sia persone giustiziate, accusate di crimini di guerra; in quella situazione vi furono probabilmente anche innocenti infoibati. Ma ridurre tutta la vicenda a questo è esempio di profonda disonestà intellettuale e di un pesante uso politico della storia, tanto meglio se i fatti vengono direttamente «adattati» all’obiettivo perseguito. D’Orsi si dovrebbe vergognare a scrivere che il numero dei morti è stato sicuramente gonfiato. In base a quali prove se non la sua sterile penna e il suo deviante pensiero lui e gli altri storici sostenitori di questa stupida minimizzazione fondano i loro studi? Non è una questione di numeri: se così fosse dovremmo allora – forse – ricomputare anche l’olocausto? Quegli omicidi, cari signori, non sono dettati dalla semplice vendetta, ma da un disegno politico preciso. E’ questo che le opere sdoganate, sicuramente per opportunità politica di alcuni, hanno cercato di mettere in luce: perché solo ammettendo ciascuno i propri errori si potrà accendere  finalmente un po’ di luce in quella stanza buia della nostra storia.
Ma continuiamo il ns excursus storico con un bell’articolo del luglio 2014 dove l’autore si meraviglia del perché di tutta questa glorificazione del fascismo mettendone in luce l’architettura o le opere pubbliche senza dire una parola di quanto sangue é stato versato dal fascismo per arrivare al potere (n.d.r.). Alfio Barnabei, questo il nome dell’autore, giunge alla conclusione che questo ritorno in auge del Duce sia dovuto ad una questione d’ignoranza storica, riscontrabile facilmente durante la trasmissione televisiva “L’eredità”! Teoria alquanto affascinante, ma che dimentica che questa ignoranza è stata voluta e cercata da chi sostiene queste teorie: proprio questo rifiuto di voler insegnare nei licei e nelle università la verità su foibe, persecuzioni e vendette ha dato la possibilità a tanti mistificatori dei fatti (sia marxisti sia fascisti) di alimentare con cifre che, a volte, anche a noi che ammettiamo di essere di parte sembrano esagerate.
Vorremmo però sapere una cosa da questi storici, di qualunque colore e bandiera: perché non domandarsi le ragioni delle cose  invece di gettarsi in lotte storiche inutili e poco produttive. Se per 80 anni si nascondono le verità non si rende giustizia alle vittime e non ci si deve scandalizzare se certe idee che erano state combattute e sconfitte “a volte ritornano”. Cambiano le tecnologie, cambiano i costumi, si cambia sesso ma il popolo è  sempre quello: vuol sentirsi chiamare, corteggiare, vuol sentirsi protetto. Soprattutto oggi che la politica si dimentica dei suoi figli, permette ai suoi anziani di scavare tra la frutta marcia, permette ai suoi imprenditori di delocalizzare, una figura forte come lo è stata quella di Mussolini attrae simpatia, non c’è nulla da fare. Allo stesso tempo non condividiamo i punti di vista di alcuni storici, o presunti tali, di destra che pretendono di ridurre il fascismo solo ai concetti di ordine e disciplina, e ciò all’unico scopo di attrarre le masse ignoranti, né tanto meno condividiamo quelle pagliacciate con orbace e braccia levate all’aria senza sapere cosa sia il fascismo e cosa insegnasse la filosofia fascista.
Si tenta in tutti i  modi da parte della storiografia di negare che quei giorni terribili vissuti dai nostri padri immediatamente dopo la fine della guerra era l’inizio di una nuova guerra civile contro chiunque si opponesse al disegno politico dell’internazionale: questo dovrebbe essere il punto e non il contorno dei dibattiti! Tutti sanno che per il blocco politico Togliatti Longo Secchia, la sconfitta del fascismo e la liberazione erano solo il primo passo verso l’instaurazione di uno Stato socialista, il primo stato dell’area mediterranea al servizio di Stalin. Le città del nord conobbero quello che viene definita strategia del delitto politico diretta contro non solo fascisti ma soprattutto contro chi come loro aveva fatto parte della Resistenza ma sotto fazzoletti di colore diverso; in pratica la stessa politica usata poi dai brigatisti negli anni di piombo.
Ma dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss le cose sono un po’ cambiate, almeno in apparenza. Nel discorso del 25 aprile 2008, re Giorgino ammoniva a non attaccare la resistenza e molti giornali subito scrissero che: “Troppi revisionismi fanno male alla storia”.
I soliti giornalisti reggicoda si diedero un gran da fare a sollevare un enorme polverone per compiacere i soliti noti, ignorando (o fingendo di ignorare) che le guerre civili si combattono sempre tra due fazioni e per raccontarle, soprattutto nei loro aspetti umani, si devono considerare entrambe le parti in lotta. Il che non vuol dire riabilitare una parte o screditare l’altra ma semplicemente riconoscerne gli errori di entrambi gli schieramenti. Sempre il Manifesto e sempre a firma di Angelo D’orsi nel numero del 26 aprile 2015 nuovamente attacca e bolla di revisionismo gli studiosi che hanno osato vedere la guerra di liberazione come guerra civile: D’Orsi quasi incredulo non si dà pace di questa ondata revisionista che coinvolge di tutto e di più, dalla Rivoluzione Francese del 1789 alla Resistenza all’era del comunismo, come se tutto quello che fino ad allora ci era stato proposto fosse il Sacro Verbo, mentre ora un’ondata di blasfemia cercasse di travolgere ogni cosa. Purtroppo per lei, l’intellighentia di sinistra non era abituata a stare sotto la lente di ingrandimento.
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Patriota nero
Vittorio Bobba
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(NDR: La seconda parte continuerà nell’edizione di WM di domenica prossima)