La solitudine dei numeri primi


Tramontato (forse) il progetto di un governo M5s – Lega, con Salvini che saggiamente fa quadrato coi suoi vecchi alleati del Centrodestra, Di Maio ha iniziato un serrato corteggiamento a sinistra sperando di lusingare un PD derenzizzato.
Ma il Presidente del Partito Democratico Matteo Orfini sembra tuttora allineato alla linea politica tracciata dallo stesso Renzi nel corso del suo discorso di dimissioni all’indomani della pesante sconfitta elettorale: il PD é stato mandato all’opposizione dal voto degli italiani ed eserciterà in tale veste il mandato politico ricevuto rispettando la volontà degli elettori.
Al di là della apparente coerenza, una qualità sconosciuta nel modo di fare della politica che é, invece, l’arte del possibile, il timore di un nuovo passo falso apparentandosi con i pentastellati é fortissimo e, di fatto, sembra impedire al momento ogni ipotesi di governo M5s – PD.
Difatti, a sottolineare il timore di maggiori sciagure in caso si abbandonasse la linea politica renziana, per i corridoi del Parlamento in questi giorni gira sulle bocche degli stessi uomini del Partito Democratico una feroce freddura: “Il PD derenzizzato esiste già, si chiama LeU e ha preso il 5 per cento”.
Naturalmente il problema é serio in quanto i gialli del Movimento 5 Stelle, prima formazione politica singola alle elezioni di marzo scorso, da soli non hanno i numeri per costituire la necessaria maggioranza parlamentare.
Dunque una vittoria mutilata è una primogenitura che non gli dà diritto ad alcun potere egemonico se altri non acconsentono.
Mattarella, dal canto suo, auspica che si trovi una soluzione di compromesso per formare il governo ma ad oggi, in verità, sembra più un auspicio ideale che un indizio dell’esistenza di una concreta via di uscita da questa sistemazione di impasse (peraltro ampiamente prevista, visto l’assurdo e irresponsabile sistema elettorale imposto nella precedente legislatura).
Insomma, né con la destra né con la sinistra, il M5s sta scoprendo che non basta risultare il partito più votato alle elezioni per potere governare e Di Maio, rifiutato dalla destra leghista e guardato con diffidenza dalla sinistra renziana, sta vivendo sempre più la condizione di essere un primo della classe, bravo a fare i compitini della campagna elettorale, ma che non può giocata a palla finita la scuola in quanto nessuno lo vuole in squadra.
La sensazione, se proprio il M5s vorrà governare, è che dovrà scendere a patti con la forza politica che eventualmente gli offrirà il salvagente di una alleanza di governo, al punto che difficilmente riuscirà a mantenere le promesse elettorali fatte in campagna elettorale (già giudicate di difficile attuazione da molte parti) se non in modo marginale.