Gli Eroi silenziosi


“….. Figuriamoci poi se c’è chi pensa che ci siete anche voi bestie, che guardate uomini e cose con codesti occhi silenziosi, e chi sa come li vedete, e che ne pensate…..” Luigi Pirandello

L’uomo ha sempre utilizzato, sfruttato e talvolta adorato gli animali. Dalla antichità, li ha utilizzati in battaglia.
Durante la Prima Guerra mondiale cavalli, muli, asini, cani, colombi viaggiatori, poveri animali come la maggioranza dei soldati al fronte, furono mandati a soffrire e a morire, per la gloria di una patria che non prestò loro la minima attenzione. Si stima che i cavalli impiegati sui vari fronti di guerra furono quasi dieci milioni, adibiti ai traini dei cannoni, dei carri per le colonne di salmerie. In battaglia, questo animale conobbe la sua ultima primavera con Napoleone Bonaparte, che lo impiegò in cariche travolgenti. Nel conflitto 1914-1918, finì impigliato, davanti ai grovigli di filo spinato, con le carni dilaniate e le sventagliate, da cinquecento colpi al minuto, delle mitragliatrici nemiche.
Neanche il mulo poté sottrarsi all’impiego in guerra, prezioso com’era per il trasporto dei bagagli, in alternativa ai carri. A partire dalla seconda metà del settecento e fino ai giorni nostri, tutte le armate disposero di muli, inquadrati in reparti di truppe speciali; le loro caratteristiche fisiche li resero indispensabili nella Grande Guerra, sul fronte montano. Tre muli per un cannone: uno per la canna, uno per l’affusto ed uno per le munizioni. Ciascun animale era in grado di portare un peso di centocinquanta chili. Sul dorso era fissato anche il recipiente dell’acqua; in questo modo si poterono accorciare i tempi di marcia delle truppe che arrivarono a coprire anche un centinaio di chilometri, in tre o quattro giorni.
L’asino, padre del mulo, ha svolto, assai dignitosamente, le mansioni di ausiliario di guerra, non meno del cavallo o del mulo, come bestia da soma o da tiro. Contrariamente a quella del cavallo, sembra che la sottomissione del cane all’uomo sia stata spontanea, avendone fiutato la convenienza. L’uomo, nell’antichità, pose particolare attenzione a sviluppare incroci di razze particolarmente feroci, da utilizzare in guerra. Ciro il Grande, fondatore dell’Impero Persiano, aveva nel suo esercito schiere di fortissimi molossi; gli Assiri e i Babilonesi utilizzarono l’alano come cane da battaglia. L’invenzione della polvere da sparo moderò di molto il ricorso al cane in battaglia, senza tuttavia escluderlo del tutto. Scomparve il cane guerriero, ma comparve, durante la Grande Guerra, il cane ausiliario. Pur se incapace delle prestazioni estreme dei suoi più “voluminosi colleghi”, risultò presto un prezioso alleato, ottimo camminatore, nuotatore, dal fine olfatto, versatile e adattabile ai terreni difficili.
Sul fronte occidentale, i tedeschi utilizzarono i cani di razza dalmata e i cani pastore per il servizio di portaordini e per la ricerca di feriti e sbandati. Nel 1915, ne erano in servizio circa duemila, saliti a ventimila nel 1918 e dai quali, a fine conflitto, furono selezionati i cani guida per i “ciechi di guerra”.
L’uomo scoprì poi che alcuni animali avevano un finissimo senso di orientamento. Tra questi i piccioni viaggiatori erano i più dotati. I marinai egiziani, ad esempio, usavano imbarcare, alla partenza, ceste con colombi che liberavano, sulla via del ritorno, per segnalare a terra il loro arrivo. I sistemi di impiego si svilupparono nel tempo. Furono soprattutto le guerre a stimolarne la diffusione, come porta-messaggi, in leggerissimi contenitori legati alle zampette. Nel 1914, tutti gli eserciti delle grandi potenze europee avevano reparti di piccioni viaggiatori, con personale specializzato per il loro addestramento: nessuno vi poteva competere, in velocità e in distanze raggiunte in breve tempo. In zona di operazioni, ogni settore divisionale aveva quattro colombaie mobili; i Comandi di Armata, da due a quattro. E di quale importanza godevano questi piccoli volatili! L’occultamento o l’uccisione di un piccione viaggiatore, da parte di civili, erano puniti alla stregua di un attentato contro un soldato. Nel novembre 1918, il Generale Boroeviç diffidava gli abitanti del Veneto orientale, invaso, a nascondere i colombi lasciati dagli italiani in ritirata. Chi non li consegnava all’esercito ungherese, veniva processato per alto tradimento!
A pari prestazione, di armamento e uomini, non è sbagliato dire che il Primo Conflitto Mondiale lo vinse chi aveva più animali da tiro, da soma, da macello. Sulle urgenze alimentari delle popolazioni civili prevaleva, ovunque, il fabbisogno dei militari al fronte. Per ovviare a ciò, vennero in soccorso nuovamente gli animali. Il vettovagliamento delle truppe mediante carne inscatolata fu praticato largamente da tutti gli eserciti. Gli stabilimenti militari italiani produssero centosettantatre milioni di scatolette di carne suina e bovina. Altri sessantadue milioni ne confezionò l’industria privata che, nel 1917, si rivolse anche all’estero. Sull’Altipiano d’Asiago, le razioni non mancavano di certo agli Inglesi che, anzi, si lamentavano di dovere mangiare sempre lo stesso stufato di bue. Non era così per gli Austriaci, ai quali si ponevano scelte drammatiche nell’impiego degli animali ausiliari, contemporaneamente indispensabili, al fronte, in agricoltura e nella alimentazione. I ventiduemila cavalli da tiro del solo esercito austro-ungarico, nel marzo 1918, si erano ridotti a meno di duemila. Gli asini ed i muli si erano dimezzati, dagli iniziali quindicimila. Ancora peggio andò per il bestiame, quasi tutto requisito e mangiato. Il 20 giugno 1918, nel diario della 14° Divisione slovacco-ungherese, dislocata sul Piave, troviamo scritto: ” alle 12,45 è giunta la notizia che il 75° Reggimento, in seguito a forti perdite ed alla totale mancanza di cibo, non è assolutamente in grado attaccare…”. La regolarità dei rifornimenti dipendeva dalle condizioni logistiche delle retrovie e dal numero di animali utilizzato per il trasporto del rancio, fino agli uomini in prima linea. Chi mangiava attaccava o resisteva. Senza cibo, il soldato, che era sottoposto ad una usura giornaliera straordinaria, non andava da nessuna parte! Gli animali dei reparti, eroi ausiliari e silenziosi, contribuirono alle sorti vittoriose della Grande Guerra. Così come contribuiscono, quotidianamente, alle sorti vittoriose della nostra vita!