Chitarra Classica – Il M° Stefano Aruta si racconta


L’intervista di questa settimana è dedicata al Maestro Stefano Aruta.
Diversamente dal solito, sarà principalmente il Maestro a raccontarsi a ruota libera.


A casa mia la musica era presente, mio padre, pur non suonando nessun strumento, era un appassionato cultore dell’opera lirica; mia madre era per contro, una buona pianista, anche se, a seguito della morte prematura della mia prima sorella che non ho mai conosciuto, decise chiudendosi in sé stessa, di non suonare più in presenza di chi che sia. Però, quando era da sola o credeva di esserlo, si sedeva al suo pianoforte ed io di nascosto potevo ascoltare quello che nei miei ricordi di bambino era un tocco magnifico.
In un ambiente così, fu naturale che quando ero ragazzino accadesse qualcosa, ricordo che quando avevo 10 o 11 anni un fratello di mio padre mi regalò un violino e, così, i miei cercarono un maestro privato; l’esperienza con il violino durò pochi anni, oggi forse non saprei nemmeno come imbracciarlo, però devo a lui il concetto del “suonare legato”.
Nella prima adolescenza la chitarra entrò nella mia vita, iniziai a suonarla da autodidatta e successivamente prendendo qualche lezione presso il Liceo Musicale Cesi Marciano di Napoli.
Fu a questo punto che, tramite conoscenti comuni, apparve nella mia vita una delle mie pietre miliari, TERESA DE ROGATIS, figura essenziale per tutta la mia vita futura musicale e non.
Bontà sua Teresa lesse in me una qualche dote e volle diventare mio maestro, per inciso non volle accettare mai alcun compenso per le lezioni che nel corso di molti anni volle donarmi.
Parlare di chi era Teresa de Rogatis mi pare superfluo, la sua grandezza come musicista è nota, pianista, chitarrista, compositrice e agli inizi del novecento una delle primissime donne diplomate in direzione d’orchestra.
Teresa de Rogatis rappresenta un pilastro della musica napoletana del ‘900.
Con lei si cominciò a fare sul serio, per anni ed anni ogni domenica pomeriggio mi recavo nella sua casa di via San Filippo per ricevere in suoi preziosi insegnamenti.
Il nostro rapporto, divenuto con il tempo tra amicale e filiale, è durato fino alla morte della
de Rogatis.
Nel frattempo, io giovanissimo avevo già cominciato ad insegnare, ma la scomparsa di Teresa mi lasciò svuotato, il maestro che mi incoraggiava, mi consigliava e, perché no, con il quale a volte confrontarsi anche in maniera “dialettica”, la guida, l’amica, erano venuti a mancare, mi sentii paurosamente solo, anche perché in quel periodo affrontavo un momento “difficile” della mia vita.
Ricordo ancora la veemenza delle telefonate fatte da Teresa a mio padre, il quale sognando per me un futuro da avvocato, non vedeva di buon occhio il tempo dedicato alla musica.
Solo adesso che a mia volta sono un “anziano” capisco le paure di mio padre per il futuro, sono nato nel 1952 da genitori per l’epoca molto avanti con gli anni, mio padre era del 1900, mia madre del 1909 quindi è comprensibile che forse voleva per me una carriera più sicura.
Per accontentarli quindi mi iscrissi a giurisprudenza terminando gli studi con la laurea a 22 anni, ma io avevo scelto, la mia vita sarebbe stata la chitarra.
In quel periodo la forza che mi dette Teresa fu enorme, fu proprio allora che un qualcosa che mi piaccia o no condizionerà alcune delle mie scelte future.

Avevo circa 19 anni quando a seguito di un dolore persistente all’anca un noto “luminare” francese, per fortuna sbagliando, mi fece una diagnosi infausta, vous avez un sis mois a vivre, furono momenti terribili e Teresa mi aiutò tantissimo. Per fortuna un altro luminare al quale ci rivolgemmo, stavolta napoletano, mi disse dopo accurate indagini, allora non c’era ancora la TAC, guagliò oggi è martedì, io venerdì ti opero, ma non ti garantisco che camminerai come prima e se lo farai sarà minimo tra un anno.
Narro questo non per pura cronaca ma perché, sebbene perfettamente guarito, mi sopravvenne il “timor panico”, cosa che mi ha portato a non sopportare lo stress della pubblica esecuzione, ragion per cui mi dedicai anima e corpo all’insegnamento.
Ma la vita mi riservava ancora una cosa bellissima: l’incontro con Maria Luisa Anido.
Come dicevo sopra, ho iniziato ad insegnare da giovanissimo, pochi anni mi separavano dai miei allievi, oggi docenti di conservatorio, qualcuno…prossimo alla pensione.
Fu accompagnando uno di questi allievi ad un concorso che conobbi la Anido che sedeva in giuria, fu un incontro meraviglioso, questo gigante della chitarra, dotata di una umiltà e di una bontà mi affascinò, come se Teresa dal cielo avesse voluto favorire questo incontro.
Decisi subito di proseguire i miei studi perfezionandomi con la Anido, dapprima a Barcellona, città nella quale risiedeva dopo la fuga dall’Argentina in seguito alla presa di potere da parte dei militari, poi a Napoli dove lei spesso veniva a trascorrere lunghi e frequenti periodi; dopo la caduta del regime in Argentina vi tornò, se pur temporaneamente, per ricevere i Konex (equivalente argentino dell’oscar della musica).
Anche con Maria Luisa il rapporto si trasformò con gli anni in amicizia duratura e profonda che ci ha legato sino alla sua scomparsa, amicizia che la portò ad essere la mia madrina di nozze, senza però mai cessare di essere Maestro e maestra di vita.
Teresa de Rogatis, l’insegnamento della quale era a 360 gradi, tecnica, analisi e quant’altro, fondava le sue radici su un chitarrismo di radice italiana, discendente dalla scuola di Carulli, Giuliani ecc. ecc., infatti suo padre Tommaso de Rogatis ottimo chitarrista e suo unico maestro per quanto riguarda la chitarra, pare essere stato allievo di un discendente della scuola del Carulli.
L’incontro con la Anido mi mise in contatto con la scuola di Miguel Llobet, suo maestro, scuola spagnola, così scoprii un mondo pre Segoviano, che eserciterà ed esercita ancora un fascino enorme, fatto anche di affinità elettive.
Fatta questa premessa, forse troppo dettagliata e lunga ma, essenziale per comprendere il mio cammino; scendendo nel dettaglio devo dire che nessuno dei miei maestri usava più il budello, pur avendo una nostalgia infinita delle sue doti sonore, semplicemente perché era divenuto dagli anni ’50 in poi, avere un budello di qualità, soppiantato anche per i costi infinitamente più bassi del nylon.
In quegli anni io stesso suonavo strumenti “moderni” come concezione e corde di nylon ed ho continuato a farlo per molti decenni.
Sia Teresa de Rogatis che M.L.Anido vollero che le loro amate chitarre, una Guadagnini del 1912, chitarra tipicamente italiana di fattura ottocentesca per quanto riguarda la de Rogatis, ed una magnifica Garcia/Simplicio del 1924 per quanto riguarda la Anido, passassero nelle mie mani.

A dire il vero, pur avendo la Simplicio, per un certo numero di anni continuai ad usare chitarre moderne quali Fleta ed altre, lasciando negli astucci quelle autentiche gioie ricevute in regalo dai miei Maestri…ma gli anni passano e ci fanno maturare portandoci verso altre scelte.
Fu così che circa 25 anni fa, non sentendo più vicine al mio sentire le chitarre usate fino ad allora, cominciai ad usare la Simplicio scoprendone le meravigliose doti di timbro, proiezione e cantabilità, ma, affinando la mia sensibilità, cominciai ad essere insoddisfatto delle corde, e qui un altro evento fece fare un passo avanti alla mia comprensione di quegli strumenti.
Qualcuno mi parlò del cordaio Mimmo Peruffo, titolare della ditta Aquila corde, che stava facendo esperimenti con un nuovo materiale che si sarebbe avvicinato alla sonorità del budello Nylgut, lo contattai e così iniziò una collaborazione che dura tutt’oggi, sono infatti endorser di Aquila corde.
Ma non finisce qui, ho avuto nel tempo occasione di provare dei capolavori in possesso di colleghi quali Trepat, Grondona ecc., rimanendo folgorato dalle chitarre di don Antonio de Torres, così iniziò la mia ricerca verso uno strumento il cui suono fosse il più possibile vicino al suono Torres….essendo quasi impossibile entrare in possesso di una Torres. A furia di cercare sono entrato in possesso di una chitarra assolutamente vicina al suono Torres, una magnifica Manuel Ramirez del 1910, una delle poche costruite da lui e non da Santos Esteso o altri suoi lavoranti, replica quasi identica alla Torres di Llobet del 1859.
Detto questo il passo successivo sono state le corde, nel suo affanno di ricercatore Mimmo Peruffo ha riscoperto il metodo di produzione delle corde in budello del tardo ‘800 prima metà del ‘900, assai diverse da quelle usate per le chitarre romantiche e da allora il binomio Manuel budello o Simplicio budello mi ha stregato per qualità e quantità sonora.
Per tornare ai miei maestri, Teresa è stata colei che mi ha formato e che nei momenti bui mi ha dato la forza di andare avanti e credere in me, Mimita è stata colei che mi ha insegnato la musica ed una essenza etica non solo estetica, è stata sino alla sua morte una magnifica amica, la mia madrina ed infine, bontà sua, la collega (parole sue) con la quale ho condiviso momenti importantissimi della mia attività artistica.
Per rispondere ad una domanda le spiego subito perché non ho intrapreso un’attività di esecutore dedicando la mia vita all’insegnamento: non sopportavo la tensione da palco senza allora trovare un perché. In molti hanno provato a spingermi in quella direzione, da Roberto Vidal alla stessa Maria Luisa, anche Leo Brouwer, al quale per anni sono stato legato da vera amicizia, cercò di spingermi in quella direzione, ma non riuscivo a vincere le mie ansie.
Ma la vecchiaia ha qualche pregio, con gli anni e con una accurata analisi, forse oggi sono riuscito a darmi una risposta al perché della mia ansia, sicuramente il senso di insicurezza e di precarietà che per tutta la vita mi ha accompagnato e dovuta in gran parte a quanto raccontato prima.
Quando a 19 anni ti dicono che hai sei mesi di vita, la paura, anche quando tutto è abbondantemente superato, è una compagna che non ti lascia più.
E’ la prima volta che parlo con tanta esplicita crudezza di fatti drammatici e personali, ma arriva un momento nella vita in cui nella vita si deve giocare a carte scoperte.
Per quanto riguarda l’insegnamento ho veramente iniziato prestissimo, basti pensare che alcuni miei allievi docenti di conservatorio sono abbastanza vicini alla pensione, ci dividono 8-9 anni circa.

Negli anni ’80 a dire il vero, creai una bella scuola che ha dato dei bellissimi frutti.
Recentemente ho sentito dire che ho avuto la fortuna di aver avuto sempre allievi super dotati, il che spiegherebbe i risultati della mia scuola, se fosse così bisognerebbe rivedere tutti gli studi statistici, forse c’è anche stato un pizzico di merito nel mio operato.
Io non ho avuto solo allievi locali, senza contare le numerose master che ho tenuto all’estero, ma anche allievi stranieri che con borse di studio sono venuti a studiare con me per periodi più o meno lunghi, tra i quali cito il messicano Ramiro Martinez Pena, oggi direttore del più importante festival del suo paese, l’argentino Omar Cirulnik ed altri che a distanza di decenni scrivono sui social (io non sono social anzi) cose molto belle su di me.
Rispondendo ad un’altra domanda, i principi del mio insegnamento consistono nell’aiutare l’allievo a comprendere in primis perché vuole diventare un musicista e quali motivazioni lo spingono, una volta che l’allievo si sia data una risposta, seppur embrionale, è secondo me, compito del maestro inculcare nell’allievo, sin dai primissimi studi, la ricerca della musica oltre che risolvere i problemi di crescita tecnica.
La de Rogatis mi diceva che bisogna fare musica anche studiando le scale, non credo nella meccanizzazione dello studio.
Altro aspetto per me importantissimo è il suono che mai deve sgorgare casuale ma, va curato sin dai primissimi tempi, infine, non è la musica l’arte dei suoni organizzati?
Ovviamente quando parlo di suono non parlo solo di “bello” ma di suono espressivo con mille sfaccettature che ciascuno utilizzerà secondo il proprio sentire, di una tavolozza insomma il più ricca possibile.
Quando avevo 16-17 anni mi capitò per caso di ascoltare delle vecchie registrazioni di Ida Presti e da allora quel suono, anche se all’epoca non molto di moda, oscurato dal suono Segoviano, mi si scolpì nella mente e percorrendo varie strade cercai di riprodurlo.
Scoprii in Francia che la scuola della Presti utilizzava il tocco a destra, cioè l’unghia rilasciava la corda con la parte destra e cominciai ad utilizzare questo tipo di attacco per molti anni, ma il risultato seppur soddisfacente non era appieno quello della grande Ida, sperimentai unghie lunghe medie ma il risultato non era mai quello che in realtà avevo in mente, certo era un suono pieno, caldo, forte, ma mancava ancora qualcosa.
In seguito dopo anni ed anni cominciai a cercare fonti iconografiche, raffrontando registrazioni della Presti fatte in epoche diverse e, notai che il suo massimo splendore di suono, almeno per me, era quello delle prime incisioni, proseguendo le mie ricerche notai che nelle foto della Presti molto giovane le unghie erano cortissime ed il suono di quegli anni era molto vicino a quello di Llobet.
Decisi di percorrere quella strada e dopo molto lavoro e coraggio ho cominciato ad accorciare le unghie sempre di più e devo dire che, coadiuvato da chitarre d’epoca che ben si prestano a tale scopo, devo dire che dopo tanti sforzi, oggi sono più che soddisfatto dei risultati ottenuti.
Per quanto riguarda la chitarra oggi devo dire che non mi riconosco nel cammino che essa ha intrapreso, senza voler polemizzare ma, esprimendo un parere strettamente personale e sincero devo dire che dalla fine degli anni ottanta si vedono molti chitarristi che hanno del mero virtuosismo digitale ( ma, è vero virtuosismo?) una vera ossessione, o a volte l’impressione che si voglia stupire il pubblico piuttosto che parlare alle sue emozioni.

Spesso mi è capitato di fare delle audizioni a giovani e giovanissimi chitarristi che alla richiesta di suonare qualcosa partono con brani digitalmente difficilissimi ma spesso vuoti di ogni emozionalità ed alla decima battuta, è già noia mortale… spesso li fermo e chiedo loro, che mi guardano stralunati, di suonarmi l’Homenaje di De Falla piuttosto che una sarabanda di Bach o Poulenc…e lì cadono dal pero…. Questo dovrebbe far riflettere.
Sono stato in commissione in vari concorsi importanti, dal mitico Radio France a quello di Cuba ed altri, ed ho notato che più passavano gli anni più un aspetto fatto di sfacciato, ma spesso vuoto virtuosismo, prendeva il sopravvento su una esecuzione partecipe ed emotivamente coinvolgente.
Ricordo ancora tanti anni fa le esecuzioni stupende a Radio France dell’allora candidato Alexander Frauchi, oggi purtroppo scomparso, ma potrei citare tanti altri esempi.
La chitarra è andata avanti? Non lo so, mi dispiace solo che a dispetto di quanti volevano nobilitare la chitarra trovando per lei un posto di prestigio, oggi la chitarra si suona principalmente in festival e in manifestazioni chitarristiche, chitarristi che suonano per chitarristi.
Prima, decenni fa, in ogni stagione filarmonica il nome di un chitarrista appariva accanto a quello di musicisti del carico di grandissimi pianisti e violoncellisti di primissimo piano.
Per concludere vorrei dire due parole sulla chitarra strumento, oggi ci sono al mondo tantissimi grandi liutai che in qualche modo si dividono in due scuole di pensiero: qualcuno alla ricerca di una potenza in termini di decibel sempre maggiore, spesso a scapito della qualità del suono, ed altri invece che cercano di preservare la natura dello strumento senza alternarne la qualità timbrica …inutile dire da che parte propendo.
Inoltre, diciamoci la verità, quanti chitarristi riempiono oggi sale da tre o quattromila posti, in una sala di 800 posti anche una Torres si sente benissimo, la proiezione del suono è più importante dei decibel…e poi, se proprio fosse necessario, tipo concerto di Villa Lobos, meglio aiutare con un pizzichino di amplificazione una chitarra che suoni bene, che usare una chitarra che urli fortissimo ma dal suono non proprio bello.

(M° Stefano Aruta)