Dal diario di un millenial sulla leva volontaria


Lo scorso giugno mi sono diplomato, dopo di che mi sono preso un anno sabbatico sia per riposarmi da 13 anni di studi intensissimi (sono diplomato odontotecnico) sia per avere tempo di orientarmi nel mondo dell’università. Avendo avuto un’apertura da un cugino di genitore 2, ho potuto aderire ai 40 giorni della mini leva volontaria che ha voluto il senatore La Russa. Così guadagnerò dei crediti da usare per il corso di studi, alla faccia di tutt* quell* che la laurea hanno dovuto riscattarla, malgrado abbiano anche fatto il servizio di leva obbligatorio.
Mi hanno destinato a Lenta. Un postaccio nel mezzo del nulla. È un deposito di ferrivecchi accanto al quale c’è una caserma che hanno riaperto per l’occasione. Al distretto militare quando mi hanno sottoposto alla visita medica non mi hanno nemmeno chiesto la tessera sanitaria (credo grazie agli appoggi del cugino), in compenso, dopo aver letto la mia destinazione, l’ufficiale medico ha fatto un fischio e ha sussurrato: “Minchia…”, facendo un gesto con le dita della mano, come quello che fa il prete quando benedice, ma non credo come per Pasqua, sapeva più di estrema unzione.
Appena arrivato, oltre il cancello ho trovato una sbarra abbassata che reca il cartello “Controllo automezzi”. Ho fermato la Smart che mi hanno regalato genitore 1 e genitore 2 per il diploma e il soldato alla sbarra con forte accanto toscano mi ha chiesto se fosse una macchina, perchè lì i servizi igienici li avevano già e non era il caso di portarseli da casa. Poi da una casetta tutta di vetri che qui chiamano garitta è uscito il bidello, che qui chiamano sergente e in dialetto napoletano mi ha chiesto i documenti e il foglio di viaggio. Glieli ho consegnati, lui li ha letti e mi ha detto di lasciare la cosa, lì nel parcheggio. “Quale cosa?” ho chiesto. Ha risposto che potevo “lasciare quel quadripattino nell’area destinata alle automobili dei cavalleggeri” (come qui chiamano gli studenti). “Ma perchè, esiste ancora la Cavalleria?” Ho domandato. Lui, tenendo la testa abbassata sui documenti, ha alzato appena lo sguardo dicendo: “O giovane, non facciamo troppo gli spiritosi. Hai letto la targa qui fuori? Dove pensi di essere entrato, dint’o barbiere?”
Poi mi ha ingiunto di muovermi e mi ha indicato la strada per raggiungere il mio squadrone, come qui chiamano il convitto. “Quanto dista?” ho chiesto al soldato. “Circa duemilacinquecento passi. Ma tu sei piccolo, ti ci vorranno almeno cento passi in più” ha risposto.
Vista la considerevole distanza ho chiesto ancora se non ci potevo andare in macchina, ma lui mi ha guardato come si guarda un lombrico e mi ha fatto un gesto con la mano, come dire:” Vai va, cammina.” Gli ho chiesto da quanto tempo viveva li. “Dalle sei e mezzo.” mi ha risposto “Ora muoviti rospa, che stai facendo formare la coda.” E poi è tornato dentro. Ho subito pensato che sarei andato a denunciare questo genere di maleducazione. Non mi pare un comportamento inclusivo, ecco.
Qua sembra tutto fermo nel tempo. E’ enorme. I viali si incrociano e le indicazioni stradali si sprecano. Ogni tanto passa una cosa con un lungo tubo sopra che fa un baccano incredibile.

Mi hanno detto che si chiamano carri armati, tipo quelli dei videogiochi, ma sono più grandi e rumorosi, forse perché sono veri. Ce ne sono anche di più piccoli, ma senza il tubo sopra. Ho chiesto se quelli invece fossero carri disarmati, ma mi hanno dato di nuovo della rospa e si sono mess* a ridere. Non capisco: uno chiede per informarsi, per capire. Altrimenti che ci sarei venuto a fare?
Il convitto è un gruppo di capannoni, alcuni abitati, altri no, ma tutti senza i vetri alle finestre. Voglio sperare che prima dell’inverno verrà il vetraio a finire il lavoro, altrimenti per quelli che arriveranno dopo di me saranno problemi grossi!
Io alloggio capannone numero 6, al secondo squadrone. Al piano terra c’è l’armeria e quando ho detto di essere neodiplomato mi hanno subito messo a ingrassare i fucili. Uno mi ha detto che tanti anni fa qui in armeria c’era uno che si chiamava come me. Quando ho chiesto se fosse stat* un tecnico, come me che sono perit*, mi hanno risposto:”No, no, era vivo, anche se sapeva appena leggere, scrivere e far di conto, così che non l* fottessero sulla decade”. Non ho ben capito cosa fosse, ma credo intendessero il trattamento economico di allora, quando rimanevi qui per un anno intero. Io, nel caso, darò il mio iban, non voglio girare con i contanti in tasca.
Giorni fa sono stato dal preside, anche se qua lo chiamano comandante dello squadrone e lo salutano tutt* irrigidendosi come dei pali. Gli ho fatto presente che più di una volta, sono stat* oggetto di insulti.
“Che genere di insulti le hanno indirizzato?” mi ha chiesto.
“Mi hanno chiamat* rospa” ho risposto. Dopo avermi chiesto se fossi stato serio, alla mia risposta affermativa ha detto:” Vada alla fureria di Gruppo Squadroni, si faccia dare il modulo 365/12 A-ELLE-BI-A e lo compili; vedremo cosa possiamo fare.”
“Cos’è la fureria?” ho chiesto. “Un locale dove servono panini. E’ a soli novecento passi da qua, ma solo se passa dalla baraggia, diversamente dovrà farne più di millecinquecento. Anzi lei è piccolo, quindi almeno milleseicento”
Essendo nuovo del posto gli ho ancora domandato “E da che parte è la baraggia?”.
“Ovunque, lei si guardi attorno e la vedrà ovunque. Se ora gentilmente si vuole togliere dai testicoli, avrei qualcosa da fare”.
Ma avevo ancora una richiesta:”Il mio iPhone qui non ha campo, come posso fare per comunicare con gli amic*?”
L’ufficiale così mi ha dato una grande busta, con dentro dei fogli e altre buste, più piccole.
Mi ha detto che si chiama corrispondenza, bisogna mettere il francobollo, che è una specie di tassa, viaggia con le poste e se sarò fortunato, dopo aver fatto dieci flessioni potrò avere la corrispondenza che riceverò in risposta. In fondo dieci flessioni non sono tante, ma non capisco perché devo farle dopo aver già pagato una tassa. Bah, strane usanze…
Ormai sono quindici giorni che mi sono perso, mentre cercavo il locale dei panini dove richiedere il modulo da compilare. Non mi lamento per le giornate, che tutto sommato passo in modo tranquillo raccogliendo funghi e osservando uccelli, scoiattoli e qualche capriolo occasionale. Ma la notte fa freddino e non essendomi portato una coperta alle volte mi accuccio in uno dei vecchi carri armati che prendono ruggine su un piazzale e aspetto l’alba sperando di incrociare qualche collega. Sospetto che mi abbiano preso per il culo. Però non sono solo, ci sono con me altre venti rosp*, pardon, aspirant* cavallegger* cje probabilmente a qust’ora stanno vagando come me. Peccato che Google Maps non possa aiutarmi: qui non c’è proprio un cavolo di segnale..
Finalmente ho trovato la fureria e i miei colleghi! Vogliono tutt* lo stesso modulo! I panini erano finiti ma almeno un po’ di cioccolata l’abbiamo rimediata. E’ fondente, e a me piace quella al latte, ma credo che dovrò adattarmi.
Dopo tre settimane inizio ad orientarmi. Non si sta male, in fondo, e abbiamo anche scoperto una linea ferroviaria che passa attraverso la baraggia, che come diceva il preside (cioè il capitano, come si ostina a volersi far chiamare) è davvero dappertutto. Volevamo provare a inviare una corrispondenza, per farci venire a prendere, ma non abbiamo i francobolli. Anche quelli li vendono in fureria, ma dicono che li porteranno tra qualche giorno insieme ai panini. Tutto sommato è meglio così, tra poco è Pasqua e immagino che chiuderanno per fare almeno una quindicina di giorni di vacanza; così potrò tornare un po’ a casa. Forse. Va beh, buona Pasqua a tutti.