Chitarra Classica – Intervista a Valerio Celentano


Valerio Celentano diplomatosi in chitarra col massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio “G. Martucci” di Salerno sotto la guida del M° Antonio Grande, ha studiato con artisti quali Alirio Diaz, Mario Gangi, Pavel Steidl, David Russell, Alvaro Company, Carlo Marchione, Edoardo Isaac. Si è perfezionato con particolare continuità con Jyrki Myllärinen, Frédéric Zigante e Oscar Ghiglia. Sia da solista che in duo si è imposto in numerosi concorsi di esecuzione musicale sia nazionali–“Ansaldi-Servetti” Mondovì (Cuneo), 2° al Premio delle Arti 2011- che internazionali – 2° al Concorso Chitarristico Internazionale di Gargnano 2009, e all’ “Alirio Diaz”- Roma 2013, 3° “E. Pujol” 2010 Sassari, Sanremo International Guitar Competition 2015.
È inoltre laureato in Lettere Moderne con una tesi in estetica musicale dal titolo “Il Seicento musicale napoletano attraverso la moda della chitarra spagnola” ed ha conseguito col massimo dei voti e la lode il Master Biennale in Musica Antica presso il Conservatorio di Napoli sotto la guida dei maestri Toni Florio e Franco Pavan, con una tesi sulla relazione musicale tra Kapsperger e Gesualdo da Venosa. Proprio in merito a questo argomento è stato invitato a suonare al Castello Sforzesco di Milano la mirabile copia della chitarra spagnola appartenuta al principe di Venosa, esemplare realizzato dal liutaio Antonio Dattis. Ha continuato parallelamente ad approfondire la prassi esecutiva su tiorba e chitarra barocca con Massimo Lonardi presso l’Istituto Superiore di studi Musicali “Vittadini” di Pavia e, come continuista, ha avuto modo di collaborare con artisti quali Renata Fusco, Pino de Vittorio, con l’ensemble barocco Accademia Reale, con ensemble milanese Effimere Corde e con l’orchestra ScarlattiLab. È stato ideatore e direttore artistico della rassegna musicale estiva Barocco a Baronissi dal 2016 al 2020.
Si dedica con passione alla ricerca musicologica e alle trascrizioni per chitarra: nel 2017 le sue elaborazioni per chitarra sola (pubblicate da Da Vinci Publishing -Osaka e da Armelin -Padova) sono state finaliste al Concorso Internazionale di Salonicco (IGFT 2017).

In ambito cameristico, nel 2018 ha pubblicato col contrabbassista Marco Cuciniello -Chi Asso duo- l’album Sul Sur – A South American Anthology per l’etichetta dotGuitar.it rielaborando musiche di compositori chitarristi e non del Sud America ispirate sia al barocco che alla tradizione più strettamente folkloristica.

È costantemente impegnato nell’ampliamento del repertorio chitarristico attraverso rielaborazioni ed adattamenti di brani che vanno dalla canzone popolare colta al Lied: con la cantante polacca Anna Katarzyna Ir -Icas Duo- si è esibito all’Ambasciata Polacca di Roma, nonché a Ostròda-Polonia, alla presenza del Ministro dell’Istruzione polacco, ed ha realizzato la prima trascrizione per chitarra e voce dell’integrale dei 19 Pieśni di Frédéric Chopin per la Da Vinci di Osaka che ne ha pubblicato sia l’edizione a stampa che l’incisione nel 2020. In merito al lavoro sui Canti di Chopin (…) Valerio Celentano è un intelligentissimo partner, dotato di un suono bello e comunicativo e allestisce le trascrizioni chitarristiche con grande acume ed efficacia” (Francesco Biraghi, il Fronimo n°195).

“(…) con grande gioia mi affretto ad annunciarvi che una tale trascrizione finalmente esiste. (…) avrei voluto che fosse frutto di una penna polacca, ma poi c’è la gioia di vedere il repertorio cameristico per chitarra ampliarsi con la musica polacca del più grande tra i nostri geni musicali. (…) L’autore della trascrizione ha estratto dall’originale di Chopin l’essenza della sua musica. La struttura della parte chitarristica non è sovraccarica, al contrario, è intellegibile e leggera.” (Franciszek Wieczorek, Szesc Strun Swiata nr. 2/2021)

E nel 2021, sempre per l’editore italo-giapponese, ha elaborato e pubblicato i 3 Nocturnes op.9 di Chopin per chitarra sola e i 3 Canti Ebraici di Maurice Ravel per chitarra e voce o strumento solista, curandone anche le note musicologiche introduttive.

Per il 2023 è prevista l’uscita di altri progetti discografici con la prestigiosa etichetta Brilliant Classics tra cui :
-The Anonymous Neapolitan, Song Anthology from 13th to the 19th Century insieme alla cantante Letizia Calandra con la registrazione dei propri arrangiamenti per chitarra e voce di 20 antiche canzoni napoletane .
– George Migot: complete works for guitar.
Ultimo importante e corposo lavoro discografico realizzato nel 2022, il primo in veste solistica, sonda in profondità l’influenza che la figura e lo stile di Debussy hanno avuto nelle composizioni per chitarra da cento anni a questa parte. Con Debussy, a guitar perspective per la DaVinci Classics, (ottimamente e ampiamente recensito dal Fronimo nel numero di gennaio 2023) propone, una serie di fondamentali composizioni per chitarra di Mompou, Migot, Scott, Falla, Villa Lobos, Hoppstock, Lasala oltre ad alcune trascrizioni ad opera di Parodi, Bream e dello stesso Celentano. Degno di nota è il lavoro musicologico e di revisione svolto sul manoscritto del brano Pour un Hommage a Debussy di Migot, lavoro in via di pubblicazione, che tenta di dare una nuova luce su un’opera troppo presto messa da parte dal dedicatario Segovia.

“(…) È proprio l’ispirazione che affascina maggiormente in Celentano. Costui è il vero artista che non si cura dell’errore sempre in agguato ma predilige il colore, la fantasia, la cantabilità. Dello strumento si serve, ne rispetta i colori e le caratteristiche più intime esclusivamente per provare e trasmettere emozioni (Roberto Masala-Gazzetta di Mondovì).
Dalla primavera 2021 ha iniziato una proficua collaborazione con la Fondazione Teatro “Verdi” di Trieste che lo ha scritturato come professore d’orchestra – chitarrista per la registrazione e la prima assoluta dell’opera Amorosa Presenza composta e diretta dal premio oscar Nicola Piovani. Il rapporto lavorativo col teatro lirico triestino si è rinnovato in occasione delle messe in scena delle opere Il Barbiere di Siviglia di G. Rossini, del Don Pasquale di Donizetti e da ultimo, dell’Otello di G. Verdi sotta la prestigiosa direzione di Daniel Oren e di Francesco Ivan Ciampa.
Dedito con passione all’insegnamento è docente dal 2006 senza soluzione di continuità nelle scuole secondarie di I grado ad indirizzo musicale e nei licei musicali. Nel marzo 2022 è stato docente di chitarra al Conservatorio “U. Giordano” di Foggia. Attualmente è docente di chitarra classica presso il Conservatorio Statale di Musica “Nicola Sala” di Benevento

Incontro Valerio Celentano a Napoli, in occasione del concerto di Giulio Tampalini, nasce spontaneo l’invito ad una intervista per WeeklyMagazine. L’ avevo già incontrato diverse volte in passato al Conservatorio di Salerno quando frequentavo il secondo livello di chitarra classica ad indirizzo cameristico con i Maestri Sergio Cantella e Senio Diaz.

Prima di iniziare la nostra intervista gli faccio notare che con il suo attuale look somiglia tantissimo ad un maestro del passato: Fernando Sor.


W.M.: Benvenuto sul ns. spazio di WeeklyMagazine. A che età ti sei avvicinato alla musica ed in particolare alla chitarra?

V.C.: Grazie innanzitutto per l’invito. Riguardo ai miei inizi devo dire di essere cresciuto in un ambiente familiare molto favorevole allo studio e all’ascolto della musica. I miei genitori, dotati di una buona voce, si sono dilettati sin da giovani in diverse formazioni corali e hanno fatto in modo che io e mia sorella iniziassimo a studiare pianoforte. Purtroppo il mix di cattivi maestri e mia scarsa propensione ad un tipo di musica che ritenevo lontana dalla mia indole mi hanno trascinato dai 7 anni agli 11 in un triste quanto inutile percorso. Preferivo, però, stare al piano ad improvvisare e cercare melodie sfruttando il mio buon orecchio. L’unica cosa per cui impazzivo era la musica di Gershwin, in particolare Raphsody in blue. All’inizio delle medie l’uscita in edicola del metodo Curci in audiocassette e fascicoli di Mario Gangi e Franco Cerri fu una manna dal cielo. Quando mia sorella me lo propose ricordo di aver pensato: “Ecco! La chitarra! Perché non ci ho pensato prima!?”. Per i primi mesi, non avendo ancora lo strumento ci “esercitavamo” su una racchetta da tennis! Poi mettemmo insieme giusto 100.000 lire per acquistare una Masaki dal buon suono ma molto molto dura. A causa di un piccolo incidente mia sorella dovette interrompere e così continuai da solo con un professore, il M° Rosario dell’Aglio, che faceva musica leggera e mi insegnò, per mio grandissimo diletto, i primi rudimenti partendo da giri armonici, ritmica e arpeggi sia sulla chitarra e che sul piano. Passavo i pomeriggi a consumare cassette dei Beatles, Rolling Stones, The Doors, e di tutta la musica, prevalentemente beat e rock, di cui disponevo per cercare gli accordi ad orecchio (unico modo possibile allora) e imitare, sulla classica, la timbrica di un’elettrica o di un’acustica. Ciò accrebbe molto la mia coscienza armonica e timbrica, ma non mi bastava. C’era un suono che cercavo, che avevo occasionalmente sentito in qualche raro passaggio televisivo, forse in una pubblicità della Vecchia Romagna, uno stile più polifonico che andava ricercato e sviluppato. Così ebbi la fortuna di incontrare il chitarrista Massimo Della Rocca in una piccola scuola privata vicino casa mia: in un anno, con la sua pazienza, passione, senso pratico e meticolosità quasi maniacale mi mise in condizione di affrontare l’ammissione al conservatorio. Lì fui seguito per i primi due anni da Renato Castaldo e per i restanti da Antonio Grande, maestri con cui conservo ancora ottimi rapporti di amicizia. Non sono stati anni lineari, senza dubbi o ripensamenti, anzi… forse solo dopo il 7°anno ho preso con decisione la via della classica.

W.M.: Da ragazzo avevi anche un altro sogno, poi la scelta della chitarra…

V.C.: Direi, guardando al passato, che ho fatto di tutto per negare a me stesso la mia naturale propensione alla musica classica e al concertismo. Probabilmente sentivo che quel percorso non era “socialmente” apprezzato, condizionato, come certamente ero, dal contesto culturalmente arretrato della vita di provincia negli anni ‘80/’90. Ho provato a fare il calciatore, passione che mi è restata dentro e che mi ha dato enormi emozioni e grandi delusioni. Ma dallo sport penso di aver acquisito tante cose che oggi ritrovo utili nella didattica e nella tecnica in particolare. Poi verso il 7° anno di conservatorio volevo lasciare la classica per il jazz, sentendo che la mia parte creativa e il mio orecchio potessero avere maggiore realizzazione. Ho coltivato anche, e con enorme passione, il cinema, strettamente legato, però, alle “visioni” che la musica e la creazione di colonne sonore destavano nel mio immaginario. Poi, nel mio percorso di studi sono arrivati brani più importanti: in Ponce, Sor, Tansman, Piazzolla, Castelnuovo Tedesco, ho visto la possibilità di una realizzazione innanzitutto personale attraverso l’interpretazione, e da lì non sono più tornato indietro.

W.M.: Durante il tuo percorso di studi hai arricchito la tua formazione culturale e musicale con la laurea in lettere moderne, diploma in liuto, biennio di musica antica presso il conservatorio di Napoli…insomma, un background di grande spessore. Ci racconti?

V.C.: Il percorso universitario è stato scelto innanzitutto perché sentivo che quello musicale proposto del solo conservatorio era piuttosto incompleto. Sentivo l’esigenza di compensare alcune carenze nella formazione di base specie in campo umanistico e devo dire che, nonostante mi abbia tolto tempo importante ed energie per lo strumento, è stato un passaggio determinante. In particolare l’incontro col prof. Maurizio Giani, docente di Storia della musica, grandissimo musicologo anche con un passato chitarristico, mi ha letteralmente cambiato la vita. Dopo pochi mesi di ascolti guidati e analisi storiche dei fenomeni musicali mi sentivo totalmente – e finalmente! – immerso nel linguaggio classico. Ancora oggi conservo e consulto i preziosi appunti del corso.
Con la stessa esigenza di approfondimento e completamento ho affrontato con Massimo Lonardi – che è e resterà sempre un riferimento artistico ed umano- lo studio della tiorba, del basso continuo, e della chitarra barocca. Grazie a questo percorso ho avuto – e mi sono creato apposta con Barocco a Baronissi- molte più possibilità di suonare con archi, voci, tastiere e, ovviamente, liuti. Ma soprattutto ho potuto toccare con mano quei vertici altissimi del linguaggio musicale (penso a Monteverdi, Gesualdo, Kapsperger, De Visée, Vivaldi, solo per citarne alcuni) che con la sola chitarra non avrei mai incontrato. Poi i bienni sono sempre un’occasione di incontri importanti ma la cultura che resta non dipende dalle pergamene ma dal lavoro che si fa da soli, con la propria curiosità ed i propri sforzi. Questo è uno dei motivi per cui amo scrivere, dopo approfondite ricerche, le introduzioni ai miei lavori discografici e a stampa, non prendendo mai per oro colato ciò che viene anche da fonti ritenute autorevoli.

W.M.: Hai partecipato a parecchie masterclass con grandi maestri e concertisti. Ci parli di quanto hanno contribuito alla tua formazione e che differenze hai trovato in ciascuno di loro?

V.C.: Al tempo in cui ho iniziato a frequentare corsi con maestri di fama internazionale (parliamo dell’inizio degli anni 2000) la stessa partecipazione era uno dei rarissimi e dispendiosi momenti di confronto e di crescita in un mondo dove – è bene ricordarlo – la rete era ancora allo stato brado e YouTube ancora da venire. La rarità delle occasioni, quasi ad esclusiva nel nord Italia se non dell’estero, ci stimolava ed acuiva la nostra attenzione all’osservazione dei minimi particolari. Cercavamo in quei brevi ma significativi contatti di “rubare”un po’ di mestiere, di assorbire qualcosa del loro essere artisti. Da tutti credo di aver avuto stimoli significativi e spunti di riflessione sia tecnica che interpretativa che ancora oggi riemergono sia nel mio studio che nella mia didattica. Un grande artista può dirti tanto anche fuori dalla lezione. Quante cose abbiamo imparato solo parlando o a cena. Ricordo un Mario Gangi 79enne che ha imbracciato la chitarra al tavolo del ristorante suonando fino all’una di notte in maniera impeccabile. Un esempio! Un musicista e un professionista totale oggi finalmente in via di rivalutazione. Alvaro Company mi ha spiegato l’uso della mano sinistra e del pollice in particolare, passeggiando nel centro storico di Salerno. Alirio Diaz che ha saltato il pranzo sgranocchiando biscottini per lavorare con me alla Suite en la menor di Ponce: avevo l’impressione chiara di trovarmi a contatto con la storia della chitarra e di quel brano in una sola persona. La fantasia, l’energia e il fraseggio di Pavel Steidl. Poi Russell,l’ultimo con cui ho studiato e a mio avviso il più completo. Devo tanto anche ai maestri con cui poi ho studiato in maniera più continuativa. Jyrki Myllärinen, amico e musicista fantastico. Mi ha ridato la gioia di suonare ripartendo dalla gioia del singolo suono. Un artista senza compromessi e dalla generosità infinita.I progetti esecutivi fatti insieme per i concorsi sono risultati sempre raffinatissimi e vincenti. Con Frédéric Zigante credo di aver fatto un notevole salto di qualità, quasi una seconda vita strumentale dopo i trent’anni. Mi ha dato certamente una nuova più approfondita e coerente visione del testo musicale e una più ampia coscienza delle possibilità del nostro strumento. Di Oscar Ghiglia, a parte l’esperienza stessa di stare a contatto con la sua incredibile personalità, di studiare in Chigiana, in Grecia o in giro per l’Italia, sarebbe riduttivo ricordare solo qualcosa. L’approccio totalmente onesto e consapevole nei confronti del discorso musicale credo sia la conditio sine qua non del suo insegnamento, dove nulla è per caso, e tutto è la conseguenza di qualcosa.

W.M.: La tua attività musicale è molto varia ed eterogenea, suoni in diversi contesti musicali, spazi dall’essere un solista, un musicista da camera, un orchestrale ed infine in duo con la tua compagna con cui condividi vari progetti. Ce ne parli?

V.C.: Sì, come già detto, la curiosità e la voglia di suonare anche pagine non originali per la chitarra mi hanno spinto a cercare anche attraverso trascrizioni e arrangiamenti un repertorio nuovo. Col contrabbassista Marco Cuciniello abbiamo messo su un duo inusuale ma di concezione orchestrale e quindi di grande effetto. I concerti col nostro Chi Asso duo ci hanno dato davvero grandi soddisfazioni e ottimi riscontri. A Chopin, sia in duo con Anna che da solista, ho dedicato moltissimo tempo ed energie e sicuramente il progetto sui suoi 19 Pieśni op.74 per chitarra e voce è un lavoro di spessore e, con orgoglio, il primo trascritto per tale organico (pubblicato per Da Vinci Publishing). Su stimolo della cantante Letizia Calandra ho arrangiato per chitarra e voce 20 antiche canzoni napoletane, in quasi due anni di lavoro. Il paradosso è che ho iniziato a lavorarci solo quando mi sono trasferito a Trieste lasciando la Campania. In uno stile che definirei alquanto classico e più sobrio possibile ho scritto molti passaggi strumentali ed ho trattato la chitarra non solo come strumento d’accompagnamento ma come controcanto alla voce cercando di sfruttare ogni soluzione per assecondare il testo. Ora però mi sto dedicando prevalentemente a progetti monografici da solista sia a livello discografico che concertistico. Nonostante ciò le occasioni per fare duo continuano con grande gioia anche in questi nuovi lavori. Il talentuoso flautista Franco Ascolese e l’eccellente chitarrista e amico di una vita Nicola Montella mi hanno coadiuvato, insieme al soprano giapponese Rinako Hara, con enorme professionalità nel prossimo progetto sulle musiche per chitarra di George Migot, per l’etichetta Brilliant Classics. Di grandissima importanza e crescita professionale sono state, inoltre, le collaborazioni che ho avuto negli ultimi tre anni col Teatro Verdi di Trieste, sia per le opere di repertorio che prevedono l’impiego della chitarra sia per la nuova e bellissima opera di Nicola Piovani battezzata proprio qui dopo diverse settimane di lavoro a stretto contatto col premio oscar nel difficilissimo periodo Covid.

W.M.: Che strumenti utilizzi? Hai una preferenza tra l’abete ed il cedro? Preferisci gli strumenti di costruzione tradizionale o sei attratto da nuovi progetti più performanti?

V.C.: Per lo strumento e per l’esperienza che ho avuto negli anni credo molto nel colpo di fulmine. Così è stato per la tarantina Belladonna, in cedro, e per la De Gregorio in abete. Spesso gli strumenti con un super suono mi hanno annoiato dopo venti minuti ma tuttavia credo che un compromesso si debba trovare, e la chitarra di Leonardo ne è un ottimo esempio essendo una sorta di Torres ma double top, esteticamente poi bellissima. Cedro o abete? Ora ti direi abete ma non sono categorico. Di certo oggi esigerei uno strumento versatile in tutti gli stili, con profondità di suono, flessibilità espressiva e chiarezza “pianistica” delle armonie.

W.M.: La tua attività didattica si è svolta nelle Smim, nei Licei musicali ed in Conservatorio. Come imposti la tua didattica?

V.C.: Le scuole medie sono state una possibilità e, se mi è concesso, un grosso sacrificio, per diventare economicamente indipendente. Mi piace tantissimo insegnare, a tutti i livelli. Nelle scuole medie non si può pretendere certo di creare un esercito di piccoli Segovia, non è quella la funzione per cui esistono gli indirizzi musicali. A volte succede di coltivare dei talenti. Pochi proseguono anche per diffidenza delle famiglie. Tuttavia si può incidere tanto. Lo studio dello strumento è nelle medie, a mio avviso, un mezzo per ampliare tutti gli aspetti che lo studio della musica può offrire, da quello psicomotorio, alla percezione del suono, alla maggiore raffinatezza e attenzione nelle scelte musicali da uditore ed esecutore e lì ho cercato sempre di avere ampiezza di conoscenze e di vedute visto che nella mia esperienza tale versatilità mi ha giovato. Lo strumento chitarra lo è, e dovrebbe esserlo anche il chitarrista. Tra liceo e conservatorio parliamo già di un percorso naturalmente selettivo e quindi più indirizzato a scadenze quali programmi ed esami. Ma spesso mi accorgo che bisogna tornare un po’ alle basi. Molto diffusa è la difficoltà conseguente al non saper studiare e lì cerco, con gradissimo sforzo, di dare una mano a migliorare e diventare sempre più coscienti nel raggiungimento di obiettivi a breve, medio e lungo termine. Un punto a a cui per mia natura e personale esperienza tengo tantissimo è il canto. Per molti ragazzi è un aspetto secondario non necessario. Per me è imprescindibile, sia in vista di un corretto fraseggio, nel dominio e nella qualità di ciò che si suona e nell’uso totale delle energie del corpo legate alla respirazione e all’uso del diaframma. Come si parla e si canta così si suona, e così si fanno delle scelte più o meno consapevoli.

W.M.: Quali progetti hai per il futuro?

V.C.: Suonare, molto di più, per promuovere i progetti discografici soprattutto da solista e cogliere l’occasione per viaggiare e conoscere nuove realtà attraverso la musica.

W.M.: Ci racconti un aneddoto, un episodio particolare che ti è capitato durante la tua attività artistica?

V.C.: Una volta, prima di un concerto estivo a Noto, in Sicilia, mi recai da un barbiere, forse più attratto dalla storica bottega che per vera necessità. Era pieno pomeriggio e fuori c’erano 40°. Ma lì, vuoi per la frescura vuoi per il tagliuzzare delle forbici, il tempo sembrava dilatarsi, prima piacevolmente, poi oltremodo. L’ansia per l’imminenza del recital e la necessità di studiare iniziavano a montare. Una volta sotto, il barbiere, un signore molto garbato sulla sessantina, con le domande che solo i barbieri sanno porgere, si illuminò sapendo che suonavo la chitarra classica e che ero lì per un concerto. Allora lasciò le forbici per recarsi a cercare un cd. Tolse quello di canzoni di Mina che faceva da tappeto ai discorsi di politica e di calcio, e mise il Concierto de Aranjuez suonato tra l’altro magistralmente ora non ricordo da chi. E lui tra una sforbiciata lenta e una passata di mano libera, mi spiegava tutto ciò che sentiva in quella musica chiedendomi conferma delle sue sensazioni. Giunto all’Adagio mi disse “Quanto deve aver sofferto quest’uomo! Che dolore che ci sta in questa musica! Chissà… se non fosse stato cieco…”. L’acconciatura, al tramonto, risultò accuratissima benché fuori moda, ma la sua visione, la sua sensibilità, più profonda e libera di tante lezioni.

W.M: Ti ringrazio molto per il tempo che mi hai dedicato ed auguro anche a te, come a tutti i chitarristi, tanta buona musica.

V.C.: Grazie ancora Giovanni, e buona fortuna alla tua rubrica.

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Sito web: http://valeriocelentano.it/

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