L’opinione è sempre un’arma, ma non è sempre la verità


Giunge in redazione su segnalazione del nostro bravissimo Sergio Bevilacqua, autorevole sociatra ed autore di numerosi editoriali ed articoli di fondo su WeeklyMagazine, un pezzo di Gianni Pezzano sugli opinionisti e sulla deontologia che giornalisti, direttori di testate e gestori di portali d’informazione dovrebbero avere.
Si tratta, a ben vedere, di un argomento di estremo interesse per i lettori e non solo per gli addetti ai lavori per i risvolti etici, deontologici, e talvolta giudiziari, che comporta.
Il richiamo al rispetto etico e deontologico agli operatori del settore (inteso in senso lato, dunque comprendendo anche gli opinionisti e i portali non organizzati legalmente come testate giornalistiche) non è assolutamente un voler imbavagliare la libertà stampa e di opinione ma va nell’auspicabile direzione di non travalicare i diritti altrui.
Insomma il diritto di libertà di opinione non può essere incondizionato e deve essere modulato in sintonia col pari diritti dei singoli a non vedersi oggetto di ingiuste diffamazioni e, comunque, per tutelare il diritto collettivo a una informazione basata su concreti riscontri documentali.
La strategia per contrastare i pseudo giornalisti e gli opinionisti da strapazzo non è solo giudiziaria, reprimendo il reato di diffamazione a mezzo stampa (reato di maggiore gravità rispetto alla diffamazione semplice, per l’eco mediatico che un social o un portale web può raggiungere) ma soprattutto, secondo noi, sensibilizzando la comunità dei lettori a restare vigili nella valutazione critica delle notizie e delle opinioni, non alimentando il seguito chi battitori liberi dell’informazione fake in fondo cercano con le loro sensazionalistiche o pruriginose rivelazioni.
Il direttore.


Il lettore dei giornali, siano cartacei che online, hanno una debolezza per gli articoli degli opinionisti. Ogni lettore ne ha il suo preferito, per cui alcuni giornalisti, partendo dal grandissimo Indro Montanelli, hanno avuto un effetto enorme sulla politica e la nostra vita. Nel caso di Montanelli si diceva che i suoi “pezzi” erano capaci di cambiare centinati di migliaia di voti.
Allora, per via degli effetti degli articoli sul pubblico, l’opinionista responsabile deve tenere ben in mente che l’opinione di per sé non è automaticamente “verità”. Non basta dire “Secondo me…”, oppure “nel mio (umile) parere…” per poter dimostrare la veridicità di un articolo, non importa la bravura tecnica o stilistica dell’opinionista di turno.
Questa situazione è peggiorata molto dall’arrivo dei social e, di conseguenza, di molti siti e giornali che non sempre iscritti nei Tribunali competenti e quindi non sono assolutamente giornali veri con tutte le responsabilità che prima il direttore e poi il giornalista deve considerare mentre scrive il nuovo pezzo. Alcuni di questi siti hanno avuto un buon seguito, come alcuni opinionisti, ma per un motivo molto semplice, il lettore cerca conferma delle proprie idee e, non raramente e peggio ancora, dei propri pregiudizi.
Certo, la nostra Costituzione contiene e protegge il Diritto all’espressione e opinione, ma questo non vuol dire avere il diritto di non subire le conseguenze delle proprie opinioni. Basta citare la parola “diffamazione”, e altri concetti penali, per capire che il giornalista /opinionista che esprime pareri spericolati rischia un castigo pesante, come anche il Direttore del giornale che aveva permesso la pubblicazione del pezzo.
L’opinionista con formazione professionale seria, come anche l’opinionista con formazione accademica, sa benissimo che ogni articolo deve contenere affermazioni che possono essere confermati facilmente nel caso di contestazioni.
Quindi, il lettore sa che i “pezzi” di queste categorie di opinionisti hanno una base solida di informazione, ricerche ed esperienze personali tali da potere dare peso alle opinioni espresse nell’articolo. E questo vale particolarmente per le testate giornalistiche importanti che mettono a rischio la loro reputazioni con ogni articolo che esce, per cui il lettore è sicuro della veracità delle affermazioni.
Con l’arrivo dei social e dei molti siti giornalistici nuovi, alcuni ufficiali e moltissimi altri fittizi, il lettore si trova con una serie quasi infinita di “informazioni” che non sempre rispettano le norme previste dalla legge italiana per il giornalismo. Con il tempo, molte persone hanno trovato un posto in questi siti e giornali per poter esprimere le loro idee a un pubblico molti più grande del solito bar o giro di amici. Il risultato dell’arrivo di questi siti e pagine è che ora molte persone pubblicano articoli che spesso sono armi comunicazionali, ma senza la base di esperienze, ricerche e qualifiche necessarie per poter difendersi da eventuali contestazioni o controversie.
Infatti, questi opinionisti sanno che molti lettori sono in cerca di voci che confermano le loro idee sbagliate e/o prive di fondamenta e quindi ogni potenziale opinionista furbo sa di poter trovare il proprio pubblico. Certamente molti di questi hanno qualità comunicative buone, magari hanno anche ambizioni letterarie, ma questo non vuol dire che i loro articoli sarebbero capaci di superare i problemi di eventuali contestazioni, oppure querele causate da dichiarazioni sventurate, oppure attacchi personali verso persone con formazioni e qualifiche professionale e accademiche molto più complete.
La risoluzione di questa soluzione non dipende solo dalle capacità dei direttori nel controllare i pezzi dai loro contributi: in fondo, la legge impone controlli severi e il direttore rischia persino la galera, come è successo al celebre giornalista/autore Giovanni Guareschi nel 1954 per un articolo sventurato basato su informazioni risultate false che altri colleghi avevano rifiutato proprio per quel motivo… Difatti, anche il lettore deve essere attento nella lettura per capire la differenza tra i “pezzi” seri, basati su concetti autorevoli e facilmente verificabili ed i “pezzi” meno professionali di “opinionisti in cerca di riconoscimento da un pubblico più grandi del proprio gruppo di conoscenti. Magari capendo che spesso gli articoli sono attacchi personali ai bersagli preferiti dell’autore invece di articoli scritto per il bene del pubblico. E finisco con una citazione del grande Umberto Eco che aveva previsti decenni fa questa differenza tra “opinioni” e verità quando disse “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».

Gianni Pezzano