I capimafia sono catturati quando non servono più


SENZA NULLA TOGLIERE AI CARABINIERI, PER L’INCREDIBILE PERSEVERANZA E PROFESSIONALITÀ’, IL DUBBIO RESTA CHE QUALCUNO, FORSE LO STESSO MATTEO MESSINA DENARO, ABBIA AGEVOLATO L’ARRESTO DEL BOSS RIMASTO IMPUNEMENTE LATITANTE PER UN TRENTENNIO.


Il romanzo di Andrea Camilleri “Il cane di terracotta” si apre con il commissario Montalbano che si reca nel nascondiglio di un anziano capomafia, Tano “ ‘u grecu ”, pluriomicida latitante, che vuole consegnarsi alla giustizia non costituendosi ma facendosi arrestare. Tano è un mafioso di vecchio stampo e ora si sente estraneo alla nuova mafia che non rispetta più regole e tradizioni, per cui preferisce morire in galera piuttosto che in un fosso. Si consegnerà a Montalbano ma con “tanticchia di triatru tanto per salvare la faccia”, una sceneggiata dell’arresto per salvare la faccia. Ma la mafia non ci casca e in occasione di un trasferimento Tanu viene ferito mortalmente.
L’arresto di Matteo Messina Denaro dei giorni scorsi mi ha fatto tornare alla mente il telefilm con Luca Zingaretti, perché non sono pochi gli aspetti simili tra la realtà e questa “fiction”.
Diciamo innanzitutto che nonostante il grande bailamme fatto dalla stampa e dalle televisioni, l’arresto dell’ultimo superlatitante non ha nulla di eclatante, anche in considerazione del fatto che, in un’intervista rilasciata a ‘Non è l’Arena’ di Massimo Giletti, Salvatore Baiardo, un uomo che aveva aiutato in passato i mafiosi Filippo e Giuseppe Graviano e che ha scontato la sua pena, aveva ipotizzato che la mafia siciliana sarebbe stata disponibile a offrire qualcosa in cambio allo Stato se il governo avesse concesso qualcosa in cambio dell’abrogazione dell’ergastolo ostativo. Nell’intervista nella puntata ‘Fantasmi di Mafia’ dello scorso novembre lasciava intendere di sapere che Messina Denaro fosse gravemente malato. Guarda caso, è stato arrestato nella clinica specializzata dove è stato operato e dove si era sottoposto alle terapie per un tumore al colon e dove continuava a curarsi. “Tutto è possibile Giletti” diceva Baiardo ma aggiungeva “questo non me lo chieda” sugli attori della presunta e fantomatica trattativa.
C’è da dire che al momento l’ergastolo ostativo è stato confermato dal governo Meloni. Ma cos’è in realtà l’ergastolo ostativo? Questo sistema si fonda su una presunzione assoluta di pericolosità sociale del detenuto in conseguenza della tipologia e gravità del reato commesso. In pratica esso esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari (liberazione condizionale, lavoro all’esterno, permessi premio, semilibertà) gli autori di ben precisi reati particolarmente riprovevoli quali i delitti di criminalità organizzata, terrorismo, eversione, ove il soggetto condannato non collabori con la giustizia ovvero tale collaborazione sia impossibile o irrilevante. Accade dunque che la pena, in queste ipotesi, venga scontata interamente in carcere divenendo quindi perpetua, senza considerare l’eventuale ravvedimento del reo e trasformando l’ergastolo in un vero e proprio “fine pena mai”.
La Consulta aveva concesso un anno di tempo al Parlamento per modificare quella norma. Il Parlamento non era riuscito ad approvare la nuova legge nonostante una proroga di altri sei mesi. Senza alcuna legge alla scadenza di questo periodo l’ergastolo ostativo sarebbe stato abolito. Il governo Meloni, come detto, ha confermato la misura, con alcune lievi modifiche, approvando un decreto legge lo scorso autunno. Restano pertanto esclusi dai “benefici penitenziari” i detenuti in regime di 41.bis, il “carcere duro” previsto per i delitti più gravi come mafia e terrorismo. I detenuti in Italia per reati ostativi sono 1.259, il 70% degli ergastolani totali. La mafia ci tiene molto ad abolire questa pena, sia per ragioni affettive (i condannati potrebbero magari passare con i famigliari gli ultimi anni della loro vita,) sia per ben più importanti motivi relazionali: la comunicazione attraverso ‘pizzini’ o altri mezzi con un ergastolano è assai più difficoltosa che con una persona agli arresti domiciliari o magari a piede libero.
Baiardo si rivolgeva così a Giletti in quell’intervista: “Magari chi lo sa, che arriva un regalino. Che magari, presumiamo, che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso. E così arrestando lui magari esce qualcuno che ha l’ergastolo ostativo senza che ci sia clamore. Sarebbe un fiore all’occhiello per il governo, un bel regalino”.
Non crediamo che il governo Meloni cada in questo giochetto, anche perché automaticamente significherebbe confermare quanto Baiardo asserisce alla fine dell’intervista: la trattativa Stato-mafia è esistita ed esiste ancora. Tuttavia una ‘profezia’ di questo calibro difficilmente l’avrebbero fatta tanto Malachia che il grande Nostradamus!
Altri piccoli segnali ci fanno presupporre che l’arresto non fosse così inaspettato, come il fatto che le intercettazioni dei familiari già da tempo avessero fatto stringere il cerchio intorno alla primula rossa della mafia siciliana, o lo stesso episodio della cattura, quando il boss, ricoverato alla clinica privata “La Maddalena” di Palermo sotto le mentite spoglie di tale Andrea Bonafede (incensurato!) non ha nemmeno tentato di negare la propria vera identità rispondendo ai carabinieri: “L’ho detto, sono Matteo Messina Denaro”. Non suona strano? E tutto il “mutuperio”, lo “scarmazzo” successivo all’arresto, con tanto di strombazzamento su ogni mezzo di comunicazione che il boss era idoneo al 41.bis e che potrà continuare la chemio in carcere!
Anche l’arresto di Totò “u curto” Riina ebbe un rimbombo di grancassa tale e quale, mentre invece, se ci fate caso, Bernardo Provenzano fu arrestato senza tutto questo clamore. Fu un arresto ‘in minore’, nonostante l’importanza dell’arnese messo sotto custodia, forse perché troppo fango era stato buttato sul generale Mori, forse perché la consapevolezza che il ‘pezzo da 90’ era ancora in libertà non lasciava spazio a troppi festeggiamenti.
Ma Messina Denaro (sebbene sia il caso di sottolineare che la sua cattura non segna assolutamente la fine della mafia) è il boss che ha portato le stragi sul continente, il responsabile delle bombe di via dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano, per non parlare degli innumerevoli omicidi commessi nella ‘sua’ Sicilia, da Capaci a via d’Amelio, da Giuseppe di Matteo strangolato e sciolto nell’acido per mano di un altro animale come Brusca alle centinaia di morti con e senza nome che gli fecero dire che con tutti quelli che aveva ammazzato lui si potrebbe costruire un cimitero. E allora ben venga per lui (e non solo per lui) il 41.bis, ben venga l’ergastolo ostativo e nessuno sconto come fu per il corleonese “capo dei capi”.
Non si saprà mai, nonostante le mille teorie complottiste e i tanti dietrologi che ogni sera si parlano addosso in talk show televisivi buoni solo a frantumare gli zebedei e – ovviamente – a nutrire il gregge che si pasce di questo orrendo ‘kenos’ mediatico.
Non lo sapremo mai, a meno di clamorosi atti su cui fra cinquant’anni sarà tolto, magari, il segreto di Stato o di miracolosi ritrovamenti, tra un condom e una scatola di viagra, di testimonianze importanti (come la famosa copia dell’agenda rossa di Paolo Borsellino) nell’ultimo covo dell’ultimo padrino.
Quello che sappiamo e di cui possiamo essere certi è che, come Tano “ ‘u grecu ”, talvolta i capimafia sono catturati quando non servono più.
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Fonti:
youtube.it
il riformista.it
liberoquotidiano.it
altalex.com