La saliera del Cellini


Saliera di Francesco I (oro, smalto, ebano e avorio – altezza cm 26).
Benvenuto Cellini (Firenze, 3 novembre 1500 –13 febbraio 1571).


La Saliera di Francesco I è un’opera scultorea realizzata da Benvenuto Cellini al tempo del suo soggiorno in Francia, tra il 1540 e il 1543. Di piccolo formato (è alta 26 cm), è considerato universalmente il capolavoro d’oreficeria dell’artista e uno degli oggetti più significativi del Manierismo europeo. È custodita all’interno del Kunsthistorisches Museum di Vienna da cui fu trafugata rocambolescamente nel 2003 per essere ritrovata 3 anni dopo, come diremo più innanzi.
Giunto in Francia nel settembre del 1540, Cellini trascorse uno dei momenti più prolifici e sereni della sua esistenza. Rassicurato da una presenza così colta e disponibile come quella di re Francesco I di Francia, sempre pronto a fornire materiali preziosi come il bronzo o l’argento per accontentare i bisogni artistici del nuovo arrivato, Cellini era consapevole di vivere un momento che mai avrebbe potuto ripetersi, in pratica la stessa cosa che capitò al mi’ cognato Oreste allorché all’Hotel Danieli per uno scambio di numero si trovò in camera con due escort bisex assatanate, mentre l’Argia lo stette ad aspettare fino al mattino dopo.
Il progetto iniziale della saliera era tuttavia di parecchi anni antecedente al soggiorno francese dell’artista. Infatti, come ci racconta il Melociucci, Cellini ricevette una commissione simile dal cardinale Ippolito d’Este che aveva richiesto allo scultore una saliera «che avrebbe voluto uscir dall’ordinario di quei che avean fatto saliere». Per indirizzarlo sul tema, il cardinale avrebbe interpellato colti letterati affinché potessero consigliargli l’iconografia più opportuna. Benvenuto, sebbene leggermente influenzato da alcuni suggerimenti, finì col progettare l’opera interamente da solo, ribadendo il concetto di “fare”, tipico degli artisti, contrapposto all’astratto “dire” dei letterati. (Cafiero Melociucci – Di molto, “Del vizio di molti mecenati di metter becco anche quando ci avrebbero da farsi un cumulo di cazzi propri”, Vergate sul Membro, 1877)
L’artista eseguì quindi un modello in cera della saliera, purtroppo a noi non pervenuto, che avrebbe suscitato la meraviglia del cardinale e dei suoi consiglieri. Ippolito, stupito dalla complessità dell’invenzione, rifiutò di mettere in pratica un simile progetto, giudicandolo troppo costoso e meritevole solo di un committente come Francesco I.
Cellini, non dimentico del consiglio del cardinale, avrebbe approfittato della sua nuova posizione presso la corte del re per realizzare la sua ambiziosa opera. Intanto dimostrerà la sua perizia e lo farà da par suo.  A usare la tecnica consueta della fusione non ci pensa nemmeno. Lavorerà, invece, la foglia d’oro a cesello. E non sarà cosa semplice.


Sull’iconografia, poi, non ha dubbi. Avendo respinto i colti suggerimenti dei letterati, rivendicando all’artista la capacità non solo di  “fare”, ma anche  di elaborare idee, il suo progetto prende forma: una piccola scultura, alta appena 26 centimetri, su una base ovale, di una straordinaria ricercatezza di riferimenti artistici e culturali, e preziosa come un gioiello: d’oro, smalto, ebano e avorio.
La descrizione che ce ne fa la Brusaporci è definitiva. “Il sale sarà dispensato dal mare, Nettuno, mentre  il pepe, dalla terra, Gea. Le due figure nude saranno sedute, l’una di fronte all’altra e – per usare le sue stesse parole – “con le gambe che si intramettevano, sì come entrano certi rami di mare infra la terra e la terra infra del detto mare”. Nettuno, trasportato da quattro cavalli impugna il tridente e stringe in una mano un ciuffo d’alghe. Emerge da onde di smalto azzurro, popolate di pesci e creature marine. Il sale è contenuto in un galeone finemente lavorato e ornato di grotteschi mascheroni. La Terra, incoronata da una ghirlanda di fiori e frutti, siede su un elefante schiacciato fino a formare un bizzarro cuscino, ornato da un drappo blu con i gigli d’oro, emblema del re di Francia. Intorno è un prato fiorito di smalto verde, circondata “dai più belli animali terrestri”, tra cui un cane e una salamandra avvolta dalle fiamme. Con una mano si spreme il seno ricco di latte, simbolo evidente di fertilità e, con l’altra, regge una zolla fiorita. Il contenitore del pepe è un tempietto ornato di sculture. Bellissime le pose dei due dei in puro stile manierista, mosse, dinamiche e nello stesso tempo armoniose. Nella base di ebano sono incassate le allegorie delle fasi del giorno: l’aurora, il giorno, il crepuscolo e la notte. Sono un omaggio a quelle di Michelangelo nella Cappella Medicea. Si alternano a medaglioni con i busti dei quattro venti dalla guance rigonfie e ai simboli del mare (una vela, un’ancora, la barra di un timone…) e della terra (una falce, due cornucopie, strumenti musicali…). Quattro piccole ruote in avorio, successivamente scomparse, consentivano alla saliera di essere trasportata da un punto all’altro del tavolo….” (Filomena Brusaporci di Ariccia, detta ‘L’Idrovora dei Colli Euganei’, in “L’arte spiegata a macchinisti e manovratori”, Tramate nell’Ombra, 1997).
La saliera fu un vero e proprio trionfo, una meraviglia in cui si univano elementi simbolici, lusso, eleganza e bizzarria, un’opera degna di Francesco I e dei suoi cortigiani “che non si potevano saziare di guardarla”. Era, davvero, il capolavoro che gli avrebbe assicurato la fama.
Successive vicende avrebbero portato il prezioso oggetto nelle collezioni degli Asburgo (come dono da parte di Carlo IX di Francia all’arciduca Ferdinando II del Tirolo, per ringraziarlo del suo ufficio di procuratore del matrimonio con Elisabetta d’Austria) e poi al Museo di Vienna.
La saliera giunse in possesso dalla casa d’Asburgo come dono da parte di Carlo IX di Francia all’arciduca Ferdinando II del Tirolo, per ringraziarlo del suo ufficio di procuratore del matrimonio con Elisabetta d’Austria (Liutprando II di Wolfenstein, figlio cadetto dell’Arciduca Wilfrid e storico dell’arte di chiara fama, in “A me Sgarbi me lo puppa”, Orinate su’ Piedi, 2012)
La saliera fu trafugata l’11 maggio del 2003. Gli addetti alle pulizie la mattina si resero subito conto dell’accaduto, trovando una finestra rotta e un gran disordine nella sala. Dopo una fallita richiesta di riscatto, stimata per 10 milioni di Euro, l’opera è stata recuperata il 22 gennaio 2006 in circostanze rimaste avvolte nel mistero, all’interno di una scatoletta in un bosco presso Zwettl, a circa 90 km dalla capitale austriaca.