L’albero della fecondità


Anonimo del XIII secolo – Massa Marittima – affresco presso la Fonte dell’Abbondanza.


La Fonte dell’Abbondanza è un antico fontanile pubblico situato nel centro storico di Massa Marittima. Sopra la fonte venne realizzato un grande magazzino che veniva utilizzato come granaio pubblico. Qui i cittadini depositavano parte del loro raccolto a cui avrebbero attinto nei periodi di carestia o guerra. La struttura composta dalla fonte e dal magazzino venne chiamata Palazzo dell’Abbondanza e tutt’oggi ha la forma di un grande parallelepipedo con tre arcate sulla facciata frontale. La costruzione della Fonte risale al 1265 quando era Podestà Ildebrandino Malcondine di Pisa, come si legge nella lapide sulla facciata. In seguito sopra la Fonte fu costruito il granaio pubblico dove ogni cittadino doveva depositare parte delle sue granaglie come scorta per i tempi di guerra o di carestia.
Nel 1999 durante il restauro di questo palazzo, sotto vari strati di intonaco e calcare fu rivenuto casualmente l’albero della fecondità. Si tratta di un affresco decisamente particolare, risalente al periodo tra il 1265 ed 1335, che ha destato meraviglia, scandalo e sorpresa: un grande albero tra le cui foglie pendono 25 falli maschili eretti sotto al quale due donne si accapigliano nel contendersi uno dei falli, uccelli neri che volteggiano minacciosi ed altre figure di dubbia interpretazione. Questo affresco tutt’oggi fa molto discutere e varie sono le interpretazioni.


Secondo lo Spinacetti-Ricci l’affresco è un simbolo di fertilità. Doveva avere una funzione “apotropaica”, ovvero di buon augurio per i raccolti affinché fossero sempre abbondanti. Allo stesso tempo tuttavia doveva scansare la malaugurata possibilità di ricorrere alle scorte del magazzino, e quindi gli organi maschili a simbolo di fertilità e abbondanza ed i corvi neri ad insidiare i preziosi frutti; nel mentre figure femminili tentano di cogliere i “frutti” e si accapigliano per strapparli una all’altra (Enea Furibondo Spinacetti-Ricci, “Falli a valanghe, asciutti e in brodo” in “Il Facchino Moderno”, n° 45, Pernambuco, Marzo 2016).
Stando ad un approfondito studio realizzato dal Bernarda, il dipinto nasconde un significato celebrativo di natura politico-amministrativa L’affresco, oggi conosciuto come “L’albero della fecondità”, non sarebbe altro che un’opera ideata per celebrare le conseguenze politiche della costruzione dell’ampia fonte pubblica all’interno delle mura cittadine – sulle cui pareti è stato proprio realizzato il dipinto –  lavoro che avrebbe portato pace e prosperità al centro toscano. Una celebrazione del buon governo ghibellino insomma, commissionata dal podestà Ildibrandino da Pisa, che governava sotto l’egida imperiale. Il pittore, come ipotizza il Bernarda, raffigurò tre scene in un unico dipinto proprio su una parete della pubblica vasca, fonte e lavatoio tripartito da altrettanti archi, con una delineazione degli spazi che riservava ad ogni contrada il proprio spazio. Sulla sinistra una donna – la città di Massima Marittima – sormontata da un’aquila che delinea l’ispirazione imperiale del governo; accanto a lei, nella stessa sequenza, due fanciulle che litigano strappandosi i capelli con una mano e cercando, con l’altra, di contendersi un secchio d’acqua. Una terza donna con una pertica tenta di scuotere i rami della pianta dove prosperano grossi falli, che sbucano tra le foglie.
Sopra le tre donne – che lo stesso Bernarda indica come rappresentazione dei tre terzieri in cui era diviso il territorio – le aquile volano inquietamente, disturbate dai litigi. Il pittore rappresenta in questa scena ciò che accadeva prima della realizzazione della fonte che convogliò i diversi esili rami d’acqua della parte alta della città – da qui nasce la simbologia vegetale – in un unico tronco d’acquedotto. Pace e prosperità giunsero, attraverso l’acqua che, in questa zona, viene spesso legata simbolicamente al pene, presso altre fontane.


Quindi scorrendo l’affresco da sinistra a destra abbiamo la prima scena, quella relativa al litigio, la seconda rappresentata dall’albero (che divide lo spazio sul quale fu steso l’affresco) sul quale prosperano due dozzine di falli in erezione, simbolo spesso legato all’acqua come fonte di vita. L’albero è la capillare opera di convogliamento idrico di piccole canalizzazioni nell’ambito della realizzazione di una rete idrica ordinata dal podestà ghibellino. Alla base del tronco è infatti visibile, nonostante un’ampia lacuna provocata dalla caduta di colore, la raffigurazione del tetto a coppi della nuova fonte. Infine ecco – dopo i litigi e la realizzazione del tronco idrico – sulla destra la terza scena, quella della soluzione della vicenda: le stesse donne che si accapigliavano per l’acqua ora vanno a braccetto e assumono una postura che fa pensare ad un sereno colloquio
Ricchezza, fecondità e tranquillità sono raggiunte attraverso la realizzazione del progetto del podestà. Un’opera pubblica che assume un profondo significato politico poiché porta alla pacificazione tra le zone della città contrapposte dall’approvvigionamento idrico, unità raffigurata, a destra, dall’aquila che, solitaria, vola sopra la cittadina”. (Prof. Comm. Ferdinando Bernarda Früsta, titolare della cattedra di Secchiate d’Acqua Diaccia nella Schiena presso il rettorato di Magonza, in “Boll. Trim. dei Cerc. di Tart. e Fun. della bassa Langa”, Saluzzo, Anno XII, Vol 2, pagg. 31 e segg.)
Invece secondo lo Strozzapaperi (esperto di Chianti e di arte toscana medievale, noto per aver mangiato una fiorentina da 3,5 kg recitando contemporaneamente il XXXIII canto dell’Inferno, quello del Conte Ugolino, mentre era ubriaco fradicio), l’affresco rappresenterebbe il primo “manifesto politico” della storia. Risulterebbe essere un messaggio dei guelfi sostenitori del Papa, contro i ghibellini sostenitori dell’imperatore. I Guelfi avvertivano i frequentatori della fonte, che nel caso in cui i Ghibellini fossero tornati al potere, questi ultimi avrebbero diffuso idee eretiche, stregoneria e perversioni sessuali. Infatti all’epoca dell’affresco (XIII – XIV sec.) in Toscana circolavano leggende di streghe che tagliavano il pene agli uomini per metterli nei nidi di uccelli e – sempre stando alla sua teoria, elaborata quasi certamente in stato di profonda ebbrezza – sono streghe le donne rappresentate sotto l’albero, mentre l’aquila sarebbe il simbolo araldico dell’impero (Anacleto Maria Strozzapaperi, “Falli, nerchie e uccelli vari su’ muri toscani”, Follonica, 1991).


Probabilmente per svelare il mistero bisognerebbe risalire alla data precisa di realizzazione. Sappiamo che Massa Marittima fu governata dai Ghibellini fino al 1266 ed il Palazzo dell’Abbondanza fu commissionato dal Podestà pisano. Sappiamo inoltre con certezza (da un epigrafe presente nel Palazzo) che il Palazzo e la Fonte Nuova furono consegnate nel 1265, non ci sono documentazioni invece relative all’affresco. In ragione di quanto detto, se l’affresco fu realizzato entro il 1266 l’albero della fecondità sarebbe senza dubbio un simbolo di fertilità, il Podestà ghibellino infatti non si sarebbe mai sognato di denigrare i ghibellini stessi. Se invece la realizzazione è successiva, tra 1267 ed il 1335, prenderebbe corpo la tesi del manifesto politico. In attesa della soluzione del dilemma, possiamo solo continuare e goderci un’opera d’arte veramente unica.
Nel 2008 è stato effettuato un delicato intervento di restauro durato ben tre anni, per preservare l’affresco dalle infiltrazioni che dal retro stavano attaccando l’opera. È stato necessario anche svuotare dall’acqua la grande vasca posta davanti al dipinto.
Ricordiamo infine che sotto la fonte si trova un’antica galleria lunga 256 metri ed alta mediamente 190 cm che può essere visitata con l’accompagnamento di una guida esperta in speleologia. Fu infatti nell’attesa di questa visita che il mi’cognato Oreste, in gita con la famiglia, notò lo strano albero, scoppiando in una fragorosa risata. Avendogli domandato la moglie Argìa che avesse da ridere in modo così sgangherato, l’uomo ebbe la malaugurata idea di farle notare quanto sarebbe stata felice la madre di lei di cogliere frutti da quell’albero. La presenza di un’ampia vasca d’acqua di fronte a loro gli fu fatale, venendoci tuffato a forza dalla consorte che lo avrebbe probabilmente affogato se non fosse intervenuta la forza pubblica.