Nuova riforma della giustizia: cosa ci possiamo aspettare dai tortelli alla “Nordio”?


«Tangentopoli era la malattia, e Mani Pulite la cura. Anche se quest’ultima, come spesso capita, si è rivelata più dannosa della prima» recita la sinossi dell’ultimo libro, pubblicato quest’anno, del Guardasigilli. La materia è complessa, ma ci permette di fare qualche riflessione, anche in tono goliardico e, precisiamo, in veste più di attenti lettori che di esperti…
Con un disegno di Igor Belansky.


La scorsa settimana abbiamo letto che, riguardo al “problema giustizia”, “filosofia e concretezza” sarebbero “in collisione” e siamo alle solite. È stato ancora come se ci venisse servito soltanto del brodo (probabilmente di cima alla genovese, dopo essersela sbafata per intero…) e toccasse a noi aggiungervi i tortelli (quelli delle promesse fatte e mai mantenute…).
Questa lacuna colpisce specialmente durante i giorni più freddi, o a ridosso delle festività natalizie, quando i tortelli, con il loro saporito ripieno e la cottura in brodo bollente, sono il piatto di pasta più indicato! E restando in abbondanza solo del brodo (come anzi detto probabilmente di cima!), quanto potrebbe consolarci sapere che, se non ci va di buttarlo via, lo stesso si può congelare tranquillamente per 12 settimane? Ben poco: il brodo di cima, dei tanti, – si sa – è il più inconsistente. Giusto per non buttarlo, al massimo qui è stato riutilizzato per una minestrina leggera di verdure, senza dado ma insaporita di belle parole, per fortuna non di altisonanti neologismi come purtroppo sovente capita.
In effetti, il menu propinato ha la qualità di quelli standard, a prezzo fisso, nonostante anche questa volta l’etichetta di Cracco, tanto vale la velleità di autodefinirsi sociatri. Potremmo così pensare di trovarci innanzi ad un poco nutriente “Pottage de légumes”, nel quale si scorgono tracce di lamento della gente, di sfiducia degli operatori economici, di artato malfunzionamento degli istituti della mediazione…
Un consommé, i cui ingredienti farebbero perdere di vista fattori – udite, udite – sociologici (non giuridici o al limite politici?) come il garantismo, l’identicità di carriera di magistratura inquirente e requirente, come pure ipotesi di riforma quali il presidenzialismo o, come ad esempio avviene negli Stati Uniti, l’elezione diretta di procuratori e giudici.
Il problema Giustizia nel Belpaese è malauguratamente un’annosa questione e si riporta alla memoria l’epoca del Presidente Cossiga e delle sue “picconate”, da cui si dipanano i tentativi avvenuti negli ultimi 30 anni da parte di molti governi di riformare la Giustizia, senza mai però attuare le numerose “buone e lodevoli intenzioni” (del resto la strada dell’Inferno è lastricata di buone intenzioni).
Orbene, resta la perplessità verso tanta evanescenza, senza costrutto, con la quale si liquidano problemini, come il crimine organizzato, e quisquilie, come il garantismo e la filosofia giurisprudenziale, per dire un’ovvietà: ovvero che sarebbe meglio non avere il sistema interamente bloccato per interessi tutto sommato corporativi (un refrain che in Italia pare sia un must e da mo’).
Pure parlare dei possibili benefici derivanti dalla Mediazione Civile – ossia l’istituto stragiudiziale avente scopo di risolvere le controversie in modo alternativo al processo– è stato come servire minestrina riscaldata. Perché? Già, dal 21 marzo 2011 è entrata in vigore anche in Italia la legge relativa, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. È uno strumento che da solo non basta, ci vuole ben altro per dare corpo alla pietanza.
Fin qui argomentazioni che non esorbitano la chiacchiera da bar, e ci viene in soccorso Igor Belansky con la sua tavola “La Montagna del Giusto”.
Un’allegoria che trae spunto dai Tarocchi, in particolare dal significato dell’abbinamento della Morte con un altro Arcano Maggiore, la Giustizia: per uscire da una situazione difficile, bisogna fare ciò che va fatto, anche se non è quello che vorremmo veramente, anche se fosse scalare una montagna…tanto vale per onestà intellettuale, ecco la concretezza, non la filosofia, essendo ben consapevoli che da noi l’ignoranza, la stupidità, l’invidia sono anch’esse montagne di basalto.
Aldilà di ogni mero esercizio pedissequo, tocca così a noi mettere i tortelli nei piatti della bilancia della giustizia, citando, pezzo per pezzo, quanto, finalmente, dopo tanti discorsi a vanvera, si profila all’orizzonte nei termini della possibilità di una riforma complessiva. E i capisaldi enunciati dal Guardasigilli Carlo Nordio hanno il gusto concreto di una rivoluzione in un sistema incancrenito: divisione delle carriere; depenalizzazione; abolizione del reato di abuso d’ufficio; riforma delle intercettazioni; velocizzazione dei processi. Altro che filosofia!
Il primo punto dovrebbe porre fine alle interferenze dovute ad una pubblica accusa non distinta dalla magistratura giudicante: un bordello di collegamenti professionali e umani che pone a rischio l’imparzialità del giudice e manifestatosi, soprattutto, nella strabordante influenza che le procure hanno avuto all’interno della associazione nazionale dei magistrati, condizionandone finalità e atteggiamenti. Palamara docet… E sono stati pertanto scontati, ma chissà quanto sinceri, gli strali recentemente levatisi in seno all’organismo per lamentare che separare le carriere costituisce la premessa del controllo politico del ministro sui PM.
Passando alla depenalizzazione, il tema non è solo funzionale ad attenuare l’impatto dell’affollamento delle carceri, ma anche a lenire gli effetti di una certa visione giustizialista, per la quale in Italia la sanzione penale è stabilita per comportamenti normalmente perseguiti in via amministrativa negli altri Paese liberali. Per certi versi, anche ciò ha rappresentato un buon margine di manovra per l’uso politico della magistratura. Forse non a caso, il grimaldello di Nordio vorrebbe cominciare ad agire dal reato di abuso d’ufficio, il quale, sebbene comporti in assoluto il più alto tasso di assoluzioni, talora si presta per terminare carriere politiche e assai spesso per immobilizzare l’azione amministrativa.
Nella stessa direzione viaggiano, poi, la corposa riduzione della gamma delle possibili intercettazioni e, in primis, il divieto alla loro divulgazione. In pratica, il provvedimento riconosce le intercettazioni quale insostituibile strumento per la lotta contro la grande criminalità, senza permettere però di abusare oltremodo della diffusione di notizie inerenti, spesso nemmeno penalmente rilevanti, come arma per screditare figure pubbliche.
Viene, infine, la velocizzazione dei processi, che rappresenta un vero cancro della giustizia italiana, sia in campo penale che civile.
In sostanza, la parola passa adesso ai fatti, alla capacità di vincere le resistenze di casta, sulle quali almeno in parte l’ostruzionismo in parlamento delle opposizioni s’innerverà, e alla volontà politica, innanzitutto della Premier, di attuare davvero un piano che potrebbe rendere Italia un paese più autenticamente liberale e democratico. E anche più competitivo, visto che soltanto le criticità della giustizia fanno perdere il 2% del Pil (qui concordiamo…). Nonostante provenga dalle file della magistratura, figura scomoda e senza peli sulla lingua quale è, quello di Nordio sarà un percorso a ostacoli, non godendo peraltro nemmeno di eccessive simpatie nell’ambito della maggioranza.
Con la valenza semantica dell’illustrazione di cui sopra, in cuor suo si accinge il nostro a scalare la “Montagna del giusto”? Perché no? Da buon trevigiano, tra i suoi amori di una vita: oltre l’Inter, la montagna…
In estrema sintesi, prima che finiscano i rigori della stagione, c’è da augurarsi almeno di poter assaporare i tortelli alla “Nordio”; possibilità che al contrario non mai è stata concessa nel caso di tanti altri fantasmagorici tortelli promessi dai politicanti. Il concetto è il medesimo esposto in un precedente articolo sui tortelli e Gengis Khan, laddove si mormora di una ricetta di tortelli alla Gengis Khan! Ebbene, questo personaggio storico fu uno di quei condottieri contraddistinti da quel profondissimo senso dell’onore che necessariamente comporta mantenere fede ad ogni promessa. A buon intenditor poche parole!