La giumenta di compare Pierre


Pierre Subleyras (1730) – Olio su tela (30,5 x 24,5 cm.)- Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo (Russia).

Artista di grandissimo talento, Pierre Subleyras fu celebratissimo ai suoi tempi come pittore di storie e come ritrattista; dopo un momento di generale eclissi di tutta l’arte del XVIII secolo, la sua importanza nell’ambito del nascente neoclassicismo è stata recuperata criticamente solo nell’ultimo quarto del Novecento. Il Raschiabarili ci ricorda che una delle sue opere più celebri è ll ‘Nudo femminile di schiena’ (1740 ca.) della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma, in cui è ritratta una donna distesa di schiena su bianche lenzuola: la trama pittorica, gli effetti di luce e la novità del soggetto fanno di questo dipinto un vero precursore dei grandi nudi ottocenteschi (Genesio Raschiabarili di Pecegrassa, già ordinario di Mammografia manuale alla Scuola Superiore di Magonza, “The thin Border between Art and Pornography” in “Annals of International Voyeurism”, XXIII, 75 e segg., Las Vegas, 2015).
Il dipinto di cui trattiamo oggi non è quello che sembra: in realtà è una favola moralizzante sul matrimonio, sull’ambizione e la stupidità umana e su quanto può essere facile ingannare un paio di idioti. Stando anche all’esegesi del Löwa, Subleyras ha già adattato altre volte la favola del suo contemporaneo connazionale Jean de la Fontaine alle sue tele, talvolta un po’ osé per stimolare i sensi, e questo è uno degli esempi più erotici. La favola che qui ci mostra è ‘La Jument du Compère Pierre’, ed è ispirata al Decamerone di Boccaccio (Pier Maria Sbattimi Löwa, in “Le più belle favole di Messer Boccaccio rovinate dagli imbianchini d’oltralpe”, Trastevere, 1938 – XVIII).
E’ forse il caso di rimarcare che in tempi più recenti sono avvenuti fatti che possono essere ricondotti alla stessa fattispecie, ad esempio la proditoria truffa perpetrata da un sedicente “santone” che si presentò un pomeriggio a casa del mi’ cognato Oreste con la scusa di vendergli un almanacco con le lune più adatte per la semina di ortaggi, vento e guai. Sentendosi rispondere che in casa non c’avevano l’orto e resosi anche conto del livello culturale medio della famiglia, riuscì a imbonire il pover’uomo dicendogli che possedeva un rimedio contro la frigidità delle donne. Al che il gonzo, sperando di rinverdire antichi fasti con l’Argìa, gliene chiese due flaconi che propinò segretamente alla sfortunata consorte la sera stessa nel minestrone con la trippa, con il risultato che la povera donna passò l’intera notte e parte della mattinata seguente in bagno, perdendo circa quattro chili di peso.
Tornando all’argomento di oggi, come ci spiega anche lo Zupponi, la favola e il dipinto raccontano la storia di un prete imbroglione che fa credere a una coppia di gonzi di poter trasformare la sua cavalla in una donna quando vuole. La moglie, molto abilmente, gli chiede di fare lo stesso per lei in modo che possa aiutare il marito nel suo duro lavoro e guadagnare così molto più denaro. Il prete, che non riesce a credere a quello che sta sentendo da quella coppia di sciocchi, si prepara a compiere la trasformazione davanti al marito, dicendogli di non dire una parola durante tutto il processo o l’incantesimo non avrà effetto. Quindi spoglia la donna e la mette a quattro zampe come una giumenta per cambiarne ogni parte: prima i capelli nella criniera, poi le braccia in zampe, le mani in zoccoli, i seni nel petto dell’animale, e così via… Il sacerdote tocca così tutto il corpo della donna e quando finalmente arriva il momento di mettere la “coda” che le manca, egli estrae la sua per “incollargliela”. È allora che il marito protesta, dicendo che sta andando un po’ troppo a fondo, e questo rovina l’incantesimo. La donna, che non potrebbe essere più stupida, in un impeto di rabbia lancia una monumentale raffica di insulti al marito, idiota come lei, per aver fatto sfumare il sortilegio (Aristarco Zupponi di Lampredotto del Tegame di Su Ma’, “Fenomenologia delle fiabe nella Storia delle Tradizioni Popolari della bassa Cornovaglia e della Piana di Livorno”, Wiesbaden, 1978).