Quale futuro per Putin?


L’incontro tra Biden e Xi Jinping che ha preceduto l’apertura ufficiale del G20 di Bali ha significato una svolta importante nello scenario internazionale. In un colloquio durato ben tre ore i capi delle due grandi potenze mondiali si sono trovati d’accordo su alcuni punti molto significativi.
Nonostante permangano le divergenze sul futuro di Taiwan (ma anche qui è possibile che in futuro una soluzione pacifica sia trovata di comune accordo) i due presidenti hanno convenuto che mai si debbano usare armi nucleari in Ucraina e che la Russia debba cessare le ostilità e sedersi al tavolo delle trattative. In particolare, Xi si è detto imbarazzato dal fatto che Putin non lo abbia avvertito dell’intenzione di invadere l’Ucraina, cosa che ha causato la morte di parecchi cittadini cinesi che non è stato possibile evacuare. Leggendo tra le righe, possiamo sintetizzare così le dichiarazioni del presidente cinese: “A Joe, ne ho er ca**o pieno di quel pazzo furioso. Famo quarcosa che nun se ne pole più!” La dichiarazione comune al termine del colloquio è stata: “Possiamo prosperare insieme”, come dire: lasciamo Putin nel suo brodo, tanto è questione di poco e leverà il disturbo, intanto pensiamo a migliorare la vita dei nostri popoli.
La principale conseguenza sarà un progressivo allontanamento da Mosca di quello che era il suo alleato più forte. Anche l’India si è detta pronta ad allontanarsi dal Cremino e lo stesso hanno fatto altri paesi storicamente alleati della Russia.
Cosa accadrà allora a Putin? Per poter fare previsioni serie è necessario analizzare i fatti.
Innanzitutto gli errori dell’autocrate russo sono stati molteplici, a partire da una sottovalutazione della capacità di risposta dell’Europa all’invasione dello scorso 24 febbraio.
Ma ancor più grave è stato l’errore di valutazione delle forze in campo: in ciò Putin è stato tratto probabilmente in inganno dai suoi consiglieri, i quali temendo per la loro pelle non hanno avuto il coraggio di dire la verità al loro presidente sulle condizioni dell’esercito russo, male armato, poco addestrato, disperso su un territorio troppo vasto e assolutamente non motivato, tant’è vero che i soldati sono stati mandati al fronte facendo credere loro che si trattasse di un’esercitazione!
Così, esaurito l’effetto sorpresa, le cose per Mosca sono andate di male in peggio e con l’arrivo dei più sofisticati sistemi difensivi che l’occidente ha fornito in sei mesi adesso siamo vicini al tracollo.
Generali che scappano, soldati che uccidono gli ufficiali e si consegnano al nemico, diserzioni in massa, questo è quanto resta dell’orgogliosa Armata Rossa. Un esercito che da febbraio a oggi ha perduto quasi 100 mila uomini, ovvero oltre 12 volte quanti ne ha perduti in dieci anni di occupazione dell’Afghanistan!
Per farla breve, la Russia di Putin in questa guerra non ha solo fatto una gran figura di merda; il danno maggiore è un altro: ha mostrato al mondo la sua debolezza e fragilità militare. Ciò non implicherà certo che gli USA o la Cina si sentano invogliati ad attaccare il gigante coi piedi d’argilla, però questa voglia potrebbe venire all’interno dei confini nazionali. Le spinte indipendentiste che tanto hanno sbandierato e osannato i russi quando si trattava del Donbass del Lugansk, sono invece viste come una spina nel fianco quando si tratta della Georgia e di altre ex-repubbliche sovietiche che hanno abbandonato il grembo della Grande Madre Russia. La dimostrazione di inettitudine militare che ha dato Putin al mondo potrebbe portare a nuove richieste di indipendenza, soprattutto da parte di quelle Repubbliche o di quegli Oblast più lontani e meno contenti del dominio di Mosca, come ad esempio le grandi aree siberiane di Krasnoyarsk, di Irkutsk e della Yakuzia, consce della ricchezza del loro sottosuolo ancora non sfruttato e del fatto di avere un grande cliente dagli occhi a mandorla alle porte di casa. Ma altre regioni potrebbero tentare di svincolarsi, come l’Ossezia del Nord (per i russi Alania), la Cecenia e tutti quegli staterelli che finiscono per -stan, la cui religione islamica mal si concilia con le caratteristiche della federazione russa.
Così è assai probabile che assisteremo nei prossimi mesi a fatti che a febbraio avremmo creduto fantascienza: la sconfitta o il ritiro dell’esercito di Mosca dall’Ucraina e il conseguente inizio dei colloqui di pace, una probabile uscita di scena di Putin, che se sarà fortunato otterrà un lasciapassare per Cuba o per la Nigeria, e un nuovo sbriciolamento – questa volta definitivo – di ciò che resta di quell’impero che Caterina e Pietro il grande costruirono trecento anni fa.