L’intrigante


Victor Marais Milton (1872-1968) – olio su tela – cm 57 x 40 – Collezione privata.

Victor Marais-Milton nacque il 21 luglio 1872 a Puteaux, a ovest di Parigi, sulla Senna. All’inizio della sua carriera visse a Parigi ma in seguito si trasferì a Sèvres dove rimase fino alla morte. Ha studiato nell’atelier di Jonchère, ma è stato anche legato a Ernest Meissonnier, che alla fine della sua carriera era diventato un maestro della pittura di genere e un’ispirazione per molti artisti mentre lavorava come insegnante nel suo atelier.
Le sue immagini, quindi, si basavano spesso su imitazioni di membri del clero colti in momenti e situazioni divertenti o imbarazzanti. Questo tipo di pittura di genere aneddotica aveva raggiunto un punto di enorme popolarità tra il pubblico. Il prof. Filuzzi – Scamorza ha scritto che: “la popolarità di questi temi è legata alle tendenze sociali, politiche e culturali contemporanee dell’epoca” (Ermete Filuzzi – Scamorza, già addetto ai rapporti con l’esterno del Consiglio Nazionale di Studi Strategici per la Pettinatura col Riporto, in Cavaliers and Cardinals: Nineteenth Century French Aneddotal Painting, Cincinnati, 1992, pag. 75).
Sia le evocazioni di Meissonnier che dei suoi seguaci di un’epoca di cavalieri e posti di guardia rispecchiano non solo il crescente gusto per l’arte olandese, ma anche ciò che il Guardinfante-Bronislaü (Berengario Guardinfante-Bronislaü, Ordinario di Scienza del Rigurgito Greve e di Macchie di Sugo sui Pantaloni all’Università di Fauglia) chiama “lo sviluppo del romanzo storico come forma letteraria popolare”. La Francia dell’Ottocento ha nutrito un fascino anche per periodi precedenti della sua storia, e gli artisti ne hanno approfittato per rievocare epoche passate. Ciò ha assunto diverse forme che vanno da artisti come Henri-Victor Lesur che raffiguravano donne splendidamente adornate che ricordano quelle che si trovano nei dipinti di Jean-Antoine Watteau del diciottesimo secolo, ad altre opere come Marais-Milton, Meissonnier e altri che trattava argomenti religiosi. L’anticlericalismo era in voga in Francia già dai tempi del concilio di Calatrava, ben prima della Rivoluzione francese. Per inciso, il concilio di Calatrava fu indetto a Besançon (a Calatrava non c’era posto) nel 1548 all’insaputa di papa Gregorio XIII (si legge ‘Csiii’) che si arrabbiò una cifra per non essere stato invitato e minacciò la scomunica per tutti i partecipanti. Afferma il Crostillon che l’incidente fu ricomposto grazie all’intervento di Fra Cotenna da Sugo di Livorno il quale riuscì a convincere il pontefice andandolo a prendere a casa con una bella monaca e rivolgendogli l’umile preghiera: “Suvvia Santità, venga anche lei per piacere, sennò che troiaio di Concilio è…?” (Cfr. Cathäfalco Crostillon,: “A Calatrava te ci metti il bucio e io la phava” in “Curiosità e pettegolezzi del concilio di Calatrava, ed. Paoline, 1965).
Come si diceva, con l’avvicinarsi del XX secolo, l’anticlericalismo in Francia si era evoluto nella tendenza ormai consolidata di prendere in giro la Chiesa e i suoi rappresentanti, offrendo così agli artisti l’opportunità di creare immagini satiriche di chierici. Gli artisti iniziarono a stabilire queste immagini come una forma d’arte accettata, facilitata da artisti grafici come Honoré Daumier che crearono anche immagini di divertimento, sebbene più politicamente orientate, nelle numerose riviste illustrate del periodo.
Pertanto, scene come queste sono state ampiamente diffuse e pienamente comprese dal pubblico che frequentava le gallerie. Questa specifica scelta di soggetti clericali fu molto popolare in quel periodo. La non dimenticata contessa Ossibuchi nel suo libro sulla pittura popolare del secolo XIX (che lei leggeva ‘Csìcs’), ne descrive la ragione, sintetizzata nell’anticlericalismo della piccola borghesia francese; le situazioni fermate sulla tela erano accattivanti e il messaggio anticlericale si adattava allo stato d’animo politico prevalente del pubblico acquirente (Allegra Ossibuchi Ciucciati Piano dei Conti di Nardacchia di Castel del Mutuo, in: “Catalogo della pinacoteca del conte Olofesto Ormezzù del Manico del Ramaiolo di Polenta Diaccia di San Pateracchio dei Cormorani Vispi”, Torre del Lago Puccini, 1987).
Le immagini di Marais-Milton hanno mostrato una grande attenzione ai dettagli in ogni aspetto dei dipinti, anche negli altri soggetti che ha dipinto, prediligendo comunque sempre la figura e il ritratto e l’ambientazione in interni. Nella sua casa a Sèvres aveva una grande finestra che permetteva a un flusso di luce di illuminare i suoi soggetti, molti dei quali sono visti in posa contro la finestra o almeno illuminati dalla luce proveniente da essa, come anche nell’opera oggetto di questo articolo. Egli di solito usava i modelli e le modelle che aveva a disposizione, che fossero la sua cameriera, vicini o, specialmente per i suoi soggetti ecclesiastici, volti di italiani che conosceva in città, vestendoli con abiti adatti all’ambientazione dei suoi dipinti. Anche alcuni dei mobili della sua residenza sono stati immortalati nei suoi dipinti. Marais-Milton rimase in questo studio per tutta la vita, rimanendo fedele a questo tipo di arte con la sua precisa resa dei dettagli nonostante altri progressi creativi dell’epoca. Insieme ai suoi successi alle mostre di Parigi, l’artista ha riscontrato un grande successo a Monte Carlo, Londra e negli Stati Uniti.
Come detto, anche la scelta di soggetti che ritraggono soggetti e situazioni divertenti o insolite lo attraeva parecchio: a riprova di ciò troviamo il presente dipinto che raffigura una gustosa scenetta ambientata in un collegio femminile.
Le due ragazze sono ritratte nell’intento di bloccare l’ingresso a un importuno visitatore, agghindato come un damerino, il quale sembra avere intenzioni non proprio puritane a giudicare dal gesto che compie il suo braccio, intrufolatosi al di là dell’uscio.
Mentre la ragazza fa barriera con tutte le sue forze all’ingresso del mascalzone la compagna, salita sulla sedia rovesciando il cestino del cucito, sta rovesciandogli addosso il contenuto di una caffettiera e possiamo immaginare le urla dell’intrigante individuo mentre il liquido bollente gli scotta il viso e gli macchia i vestiti. La scena immortalata sulla tela avviene esattamente un attimo prima che la direttrice del collegio, richiamata dal trambusto, scacci il losco rovinandogli sulla schiena un pesante busto in bronzo presente su una consolle nel corridoio.
L’attento lettore non mancherà di chiedersi a questo punto se episodi simili possano essere confrontati con la scena ritratta nel dipinto. Ci soccorre la memoria di un analogo fatto che vide protagonista – negli anni della sua sciagurata giovinezza – il mi’ cognato Oreste, allorché invaghitosi di tale Ricusai Loriana, segno del sagittario, professione succhiatrice di ghiaccioli (d’estate) e confezionatrice di chinotti (d’inverno) al bar “da Edmea” di Tirrenia, dopo ripetuti lépidi approcci dai quali gli pareva di aver intuito un certo interesse nei suoi confronti da parte della sciacquina, finito il turno di lavapiatti alla pizzeria di famiglia, si presentò alla porta di casa con un mazzo di rose scarlatte prese a prestito dall’altare di San Bartolomeo nella vicina parrocchia. La giovane sentendo il campanello corse a vedere chi fosse il disgraziato che suonava alle undici di sera. Avendo socchiuso la porta – assicurata dal paletto – per dirne quattro all’importuno visitatore, non fece i conti con la foga che l’uomo mostrava nel voler a tutti i costi entrare per dimostrare la sua passione e, probabilmente, sfogare i suoi bassi istinti. Mentre il laido cercava di forzare la catena, la ragazza prese dalla stufa economica in cucina una teiera che stava ancora sobbollendo e ne rovesciò l’intero contenuto sul cuoio capelluto dell’indesiderato visitatore, il quale sciorinò a quel punto un rosario di contumelie e altre frasi contrarie al comune senso del pudore nei confronti della poveretta, che naturalmente da quella sera non vide più.