Il Commendatore


Anna Chromý – Scultura in bronzo (1993) – Teatro degli Stati, Železná 11 – Praga.


Bella scultura in bronzo realizzata nel 1993 dall’artista Anna Chromy, nata in Boemia e nota in tutto il mondo. E’ stata qui collocata per ricordare che nel Teatro degli Stati (Stavovské Divadlo) davanti al quale ora si trova, il 29 ottobre del 1789 ebbe luogo la prima dell’opera lirica in due atti “Don Giovanni” (K 527) di Wolfgang Amadeus Mozart, scritta su libretto di Lorenzo da Ponte. Commissionata al genio musicale austriaco dal Nationaltheater di Praga sull’onda del successo di un’opera simile di Giuseppe Gazzaniga e delle Nozze di Figaro dello stesso Mozart, fu rappresentata per l’occasione col titolo originale “Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni”.
Bruna Lepre, celebre storica della musica, ci narra che la prima incarnazione artistica del personaggio di Don Giovanni, seduttore e ingannatore che irride i morti e dunque Dio, risale al dramma “El burlador de Se villa” di Tirso de Molina (1630); successivamente è stata declinata innumerevoli volte in teatro, anche da Molière e Goldoni. Ma per il suo “Dissoluto punito o sia il Don Giovanni”, Da Ponte prende a modello un modesto libretto di pochi mesi prima, “il Convitato di pietra”, confezionato da Giovanni Bertati per il compositore Giuseppe Gazzaniga. Ma il talento drammatico di Mozart interviene in maniera poderosa. Perché è appunto la musica che irradia sul testo la potenzialità di interpretazioni multiple e inesauribili che ruotano tutte intorno all’idea di un Don Giovanni libertino non solo in quanto conquistatore di femmine da porre nel suo sterminato catalogo, ma nel senso di difensore del libero pensiero illuminista, ben esemplificata dall’aria “viva la libertà” (Lepre Bruna in Salmì, “Le partiture di Mozart: capolavori a confronto co’ troiai de’ suoi contemporanei”, in “Riv. Quadr. del Maggio Fiorentino – Arcetri, 1978).
Del resto Don Giovanni è una partitura ibrida. Il frontespizio la definisce dramma giocoso; in realtà, come spiega la Callaghan, si tratta di una sintesi mirabile fra due generi di teatro musicale, l’opera buffa e l’opera seria, con il camaleontico Don Giovanni capace di cambiare registro espressivo per partecipare ora dell’uno, ora dell’altro aspetto a seconda di quel che più gli è utile in un certo momento. Al mondo della commedia appartengono i personaggi popolari del servo Leporello, o dei contadini Zerlina e Masetto, sempre pronti al lazzo e alla battuta triviale che spesso prelude ad azioni licenziose. Dal genere serio discendono invece i personaggi aristocratici, tutti solidali contro il libertino: Donna Anna, che cerca vendetta per la tentata violenza e per l’uccisione del padre, il suo promesso sposo Don Ottavio, e Donna Elvira all’inseguimento dell’amante fedifrago che lei però desidera ancora (Snapurzia Callaghan, docente di vasodilatazione dei corpi cavernosi e di lucidatura del pavimento pelvico in “La fisiologia del triangolo erotico”, Tripoli, 2011).
Tra di loro si erge la grandiosa figura del Commendatore, ammazzato da Don Giovanni appena comincia l’opera; e quando Don Giovanni ne scorge il monumento funebre al cimitero e lo invita per beffa a cena in casa sua, lui (sublimazione del padre di Mozart, reale, simbolico, religioso, e del concetto di limite che al suo nome si lega) ci va davvero, con l’intento di farlo pentire delle sue malefatte e salvarlo così dall’inferno. Inutilmente, perché Don Giovanni preferisce la dannazione eterna, ossia la libertà assoluta di una vita senza altra legge che la propria.
La scultura rappresenta il personaggio del Commendatore, che nel finale dell’opera appare come il fantasma del personaggio ucciso da don Giovanni. E’ sostanzialmente una sorta di mantello vuoto, in cui molti turisti sostengono di aver visto un volto nell’ombra del cappuccio nelle foto scattate alla statua con il flash (cfr. AA.VV. “Leggende di fantasmi e biografie de’ più sciagurati manfani che le raccontavano nella Praga di un tempo”, Yale, s.d.)
E’ una delle tante statue che abbelliscono la città di Praga. Questa in particolare è posta a ridosso del teatro, all’angolo tra la strada e la piazza adiacente, e quando compare dinnanzi ai passanti, con quell’aria da vecchio mendicante, incute indubbiamente un certo timore.
La statua, soprannominata “il mantello della coscienza”, fa in effetti una certa impressione: l’inquietante vuoto del cappuccio richiama con un pathos quasi tangibile il terrore che il convitato di pietra suscitò in Don Giovanni prima di trascinarlo nelle fiamme dell’inferno.
A mo’ di istruttivo compendio, è d’uopo citare quanto accadde al mi’ cognato Oreste allorché – recatosi in vacanza nella capitale boema – si trovò a passare di fronte alla statua in una notte buia. Il poveretto, coi nervi già sovreccitati da una visita guidata di poco prima nel quartiere ebraico e dai relativi racconti sul Golem, stava tornando con la consorte in albergo quando d’un tratto alzando lo sguardo si vide fissare dalla sagoma vuota e oscura del cappuccio del mantello bronzeo. L’effetto fu subitaneo e l’uomo esclamò “Uìmmena, che impressione! Mi son caàto indosso!”
Al commento della moglie (“In effetti fa un po’ paura”) la subitanea peristalsi idrodinamica al livello del colon aveva già compiuto i suoi nefandi effetti, talché il laido rispose: “No, no, corriamo in hotel che mi devo proprio cambiare!”