Chitarra Classica – La didattica del M° Mauro Storti


Il M° Mauro Storti ha prodotto numerose opere didattiche dedicate alla chitarra, molti suoi testi sono tradotti e pubblicati in molti paesi.
Discuteremo con l’autore di alcune delle opere più rappresentative delle sua produzione – “ Trattato della chitarra classica” – “L’ Arte della mano destra” e il “Dominio delle corde”.


W.M.: Maestro, lei ha dato un enorme contributo con le sue opere alla formazione del chitarrista. Vari decenni fa si utilizzavano esclusivamente autori dell’ottocento vedi Giuliani, Carcassi, Carulli, Molino, Sor, Aguado etc. A seguire con l’avvento della scuola “Tarreghiana” si sono aggiunte le opere dei studi e preludi oltre all’enorme quantità delle composizioni e trascrizioni prodotte da F. Tarrega.
Poi all’inizio del novecento la figura di Segovia ha dato un enorme impulso ai compositori del periodo a comporre per il nostro amato strumento.
La maggioranza di questi compositori accettarono l’invito del Maestro andaluso e crearono bellissime opere.
Il messaggio era stato accolto, spesso però, i limiti tecnici non consentivano di affrontare in maniera adeguata le problematiche tecnico musicali che la chitarra si trovava ad affrontare con il nuovo repertorio…
Avevamo bisogno di nuove risorse tecnico/musicali…erano gli anni”70” quando nacque la sua opera.
Ci racconta?

M.S.: Negli anni ’50 del secolo scorso vi fu un grande dibattito intorno alla figura artistica di Andrés Segovia, tanto affascinante e sorprendente quanto tecnicamente inafferrabile. I pochi eccellenti ed autorevoli Maestri italiani come Mozzani e Benvenuto Terzi furono indotti a riconoscere i limiti della loro tecnica e tentare di aggiornarla con l’aggiunta di “pannicelli caldi” alle loro consuete modalità operative. Un concorso indetto a tale scopo dalla rivista “LA CHITARRA”, fondata e diretta dal mio concittadino M° Romolo Ferrari, non sortì alcun esito perché ben altre erano le radici sulle quali si fondava la tecnica segoviana. Il plurisecolare linguaggio chitarristico basato essenzialmente sulla melodia accompagnata era di fatto stato superato da un nuovo linguaggio scaturito dalle composizioni e dalle trascrizioni di Francisco Tárrega nonché dalle opere di compositori non chitarristi, come Torroba, Ponce e Castelnuovo-Tedesco che presentavano un inusuale e ben più impegnativo ricorso a strutture contrappuntistiche irrealizzabili praticamente senza una diversa e più complessa tecnica manuale. A quell’epoca, per me quindicenne autodidatta affascinato dall’arte segoviana, era naturale cercare di capire quali fossero i gesti segreti delle sue mani per tentare di eseguire alla meglio i meravigliosi brani del suo repertorio (non esisteva ancora la televisione e tanto meno YouTube). E non erano di alcun aiuto in ciò né un Sagreras né altri simili cosiddetti Metodi infarciti di tocchi appoggiati. Ma la norma data allora per inderogabile era: sempre tocco libero o sempre tocco appoggiato, ossia un’assoluta assenza di varietà dinamica e timbrica! Vi fu persino chi pubblicò antologie di brani classici in una prima edizione infarcita di tocchi appoggiati, seguita da una seconda edizione priva del tutto di indicazioni. Fu allora che avendo compreso meglio l’utilità funzionale del tocco, consistente nel conferire una diversa evidenza sonora ad alcune particolari voci in contrappunto, giunsi a concepire la nuova figura dell’arpeggio a tocco misto da eseguire applicando allo stesso tempo su una medesima figura accordale non uno o due, ma tre tipi di tocco: libero, appoggiato e teso. L’attribuzione dell’aggettivo “teso” conferito a quest’ultimo tipo di tocco che certamente veniva già inconsciamente praticato, nacque dalla necessità di distinguerlo dagli altri due, dandogli una precisa identità. Dopo averli praticati su me stesso e dal 1965 in poi sui miei già numerosi allievi mi sembrò opportuno pubblicarli nel 1977 ne “L’ARTE DELLA MANO DESTRA”, un volume comprendente altri numerosi esercizi di genere diverso ma sempre relativi alla tecnica della mano destra del tutto ignorata nei metodi classici. Oltre a questi, altri esaustivi studi pratici sullo smorzamento dei suoni, sulla dinamica applicata alle strutture armoniche e contrappuntistiche e sul tremolo (basato su una accurata ed efficacissima disamina scientifica).


Quanto al “DOMINIO DELLE CORDE”, pubblicato a mie spese nel 1971 dopo 7 anni di gestazione, nacque da una suggestione ricavata dalla lettura di un’opera del grande didatta tedesco Walter Howard insieme con decine di testi didattici scritti dai più vari autori per i più svariati strumenti. È questa un’opera della quale solo i super-dotati possono fare a meno ma che ha consentito a me innanzitutto di superare la soglia del mio limitato talento strumentale fino al punto di consentirmi l’ammissione come allievo effettivo al corso di perfezionamento tenuto da Andrés Segovia nel 1965 a Santiago de Compostela.
I concetti innovativi che stanno alla base dell’originale esposizione testuale sono due:
1) suddivisione del continuum musicale e gestuale melodico e polifonico in frammenti minimali (come sillabe musicali) variamente combinabili; 2) adozione del sistema musicale atonale, l’unico in grado di coinvolgere in eguale misura, grazie al frequente utilizzo dell’intervallo di seconda eccedente, la forza e la frequenza degli attacchi di tutte le quattro dita. La conseguente stesura grafica di tipo neumatico da me escogitata, oltre che agevolare l’immediatezza della lettura ha consentito il risparmio di un numero esorbitante di pagine.
Il libro, suddiviso in 30 Lezioni melodiche e polifoniche, risulta “un insieme impressionante di combinazioni meccaniche che richiedono la più alta concentrazione! Da intraprendere solo se si è estremamente motivati e convinti! Didattico e progressivo all’inverosimile. Gli esercizi sono organizzati meravigliosamente e con grande intelligenza. (Donato Begotti). Se usato con costanza il Dominio delle Corde è utile non solo per conseguire il completo dominio fisico e mentale della tastiera ma anche per il mantenimento della perfetta funzionalità di entrambe le mani.


Sul “TRATTATO DI CHITARRA”, concepito casualmente durante la preparazione di una conferenza e pubblicato dopo una gestazione decennale nel 1994, si può dire che sia il frutto maturo dei miei primi 30 anni di studio e di insegnamento. Esso è diviso in due parti: la prima, suddivisa a sua volta in diversi capitoli, tratta delle caratteristiche morfologiche e acustiche dello strumento, della fisiologia e della tecnica meccanica delle mani; la seconda tratta della tecnica strumentale espressiva, argomento sul quale è bene soffermarsi in quanto di grande importanza e di assoluta novità. Nessuno può contestare il fatto che la musica eseguita da un pianoforte meccanico o da un computer sia inespressiva a causa della fissità dei parametri sonori; solo intervenendo con opportune alterazioni della frequenza, dell’intensità, del timbro e della durata dei suoni una musica può diventare espressiva e potenzialmente in grado di comunicare sensazioni ad un ascoltatore. Un vibrato, un tremolo, un accento, un crescendo, un diminuendo, un cambio di colore, un’accelerazione, un rallentamento, una legatura, un suono armonico, un ritenuto ecc. sono gli “arnesi” dell’espressività musicale che per quanto producano effetti sonori di natura psicologica non possono venire prodotti che agendo con precise azioni di natura meccanica quali vengono ampiamente e chiaramente illustrate nella seconda parte del Trattato. (non sarebbe qui inopportuno un richiamo al “Paradoxe du comédien” di Diderot). Alla luce di quanto premesso, è di fondamentale importanza che l’apprendista non miri solo all’acquisizione di una formidabile tecnica meccanica ma acquisisca una buona conoscenza e padronanza della tecnica espressiva, altro formidabile ponte di comunicazione verso chi ascolta.

NDR: Di seguito tutte le pubblicazioni del M° Mauro Storti riepilogate in unico file pdf liberamente scaricabile dai nostri lettori: Pubblicazioni M° Mauro Storti