Approfondimenti in tema di contratti a chiamata


Il lavoro intermittente, o contratto a chiamata, o Job on Call, è una forma contrattuale introdotta nel 2003 attraverso la Legge Biagi col fine di regolare le prestazioni lavorative sporadiche. È un contratto di lavoro subordinato dove il prestatore si mette a disposizione del datore che lo chiamerà per prestazioni discontinue o intermittenti e può essere a tempo determinato o indeterminato. Attraverso questo strumento contrattuale vi è la possibilità di svolgere prestazioni lavorative in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. Difatti è congeniale per quelle tipologie di attività che necessitano di lavoratori solo in determinati momenti. In mancanza di un contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con apposito decreto. I contratti a chiamata quasi sempre sono stipulati a termine ma non trovano applicazione alcune particolarità tipiche del contratto a tempo determinato, quali lo Stop&Go e le causali.
Il contratto deve presentare alcuni requisiti per essere valido (è sufficiente che ve ne sia uno) o di tipo oggettivo (riguarda la mansione che deve essere compresa tra quelle elencate nella tabella del Regio Decreto del 1923 o per esigenze individuate da contratti collettivi di lavoro) o di tipo soggettivo (età del lavoratore che deve avere meno di 24 anni o più di 55 anni, dunque se fosse assunto un ventiquattrenne il contratto non può protrarsi oltre i 25 anni di età compiuti), inoltre è stipulato in forma scritta ai fini probatori. Il contratto a chiamata può essere con:
– obbligo di risposta alla chiamata e in tal caso si prevede che al lavoratore, in attesa della chiamata, sia riconosciuta un’indennità mensile di disponibilità;
– senza obbligo di risposta alla chiamata dove il lavoratore può rispondere negativamente alla chiamata del datore e quindi non ha diritto alla corresponsione dell’indennità (tale tipologia costituisce la maggioranza dei contratti a chiamata).
Inoltre, il lavoratore con obbligo di risposta, in caso di malattia o di altro evento che gli renda impossibile rispondere alla chiamata, è tenuto ad informare tempestivamente il datore specificando la durata dell’impedimento, durante la quale non matura il diritto all’indennità di disponibilità; se il lavoratore non ottempera perde il diritto all’indennità per un periodo di quindici giorni, salvo diversa previsione del contratto individuale. Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto.
A differenza del contratto di lavoro subordinato il lavoro a chiamata prevede un duplice canale di comunicazione:
1- l’ordinaria comunicazione al collocamento all’atto dell’assunzione;
2- la comunicazione precedente rispetto alle singole prestazioni lavorative per cui il datore telematicamente può comunicare fino a trenta giorni di prestazione lavorativa. Comunque prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore è tenuto a comunicarne la durata alla Direzione Territoriale del Lavoro competente per luogo, mediante sms o posta elettronica. In caso di violazione di tali obblighi di comunicazione viene applicata la sanzione amministrativa da €400 a €2.400 rispettivamente per ogni lavoratore per cui vi è stata l’omissione.


Per quanto concerne i trattamenti economici e contributivi e le condizioni contrattuali è assimilabile a un contratto subordinato.
Vi sono poi dei limiti da osservare: il lavoratore non può superare le 400 giornate di lavoro effettivo nell’arco di 3 anni solari ma tale limite non si applica al turismo, ai pubblici esercizi e allo spettacolo. In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e determinato. È fatto divieto di ricorrere al lavoro intermittente per:
– la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
– presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata, ovvero presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata;
– ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Considerato quanto definito dal d.lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro) è evidente che il lavoratore assunto mediante contratto a chiamata viene considerato come un lavoratore a tutti gli effetti, in quanto non è rilevante la tipologia contrattuale ma è sufficiente che il soggetto in questione svolga un’attività nell’ambito di un’organizzazione di un datore di lavoro. Di conseguenza, il titolare dell’impresa che assume il lavoratore mediante contratto a chiamata, in quanto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, viene considerato come datore di lavoro. Pertanto, anche nel caso di un lavoro a chiamata di pochissimi giorni all’anno, il soggetto è considerato come lavoratore e quindi si innescano tutti gli obblighi previsti dal D.lgs. 81/2008 in capo al datore di lavoro tra cui: elaborare il Documento di Valutazione dei Rischi, designare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi, fornire ai lavoratori i DPI necessari e idonei, etc. Essendo il lavoratore intermittente equiparato al lavoratore subordinato permangono anche gli altri obblighi di sicurezza la cui violazione configura un reato contravvenzionale (quindi penalmente rilevante) sanzionando di fatto il datore di lavoro che, ad esempio, non abbia formato ed informato i lavoratori dipendenti sui rischi generici e specifici nel luogo di lavoro e in materia di salute e sicurezza (con particolare riferimento alle rispettive mansioni lavorative) o che non abbia fornito i necessari dispositivi individuali di protezione. In caso di mancati adempimenti in tema di sicurezza in presenza di lavoratori ad intermittenza, le sanzioni sono le stesse previste in caso di lavoratori subordinati. Infine, si ricorda che l’Inail ha sottolineato (con lettera circolare n. 49 del 15 marzo 2018) il divieto di stipula di contratti di lavoro intermittente in assenza della valutazione dei rischi e ha evidenziato che “la violazione della norma imperativa di cui all’art. 14, comma 1, lett. c) consegue la trasformazione del rapporto di lavoro in un rapporto subordinato a tempo indeterminato che normalmente, in ragione del citato principio di effettività delle prestazioni, potrà essere a tempo parziale“.