Muri e ponti


L’analisi del conflitto tra Ucraina e Russia manca spesso di una componente viva e centrale: l’evoluzione dell’economia mondiale complessiva, con la sua più grande opportunità che è il collegamento interno al continente Eurasiatico tra oriente asiatico e occidente europeo. Ciò ha bisogno di ponti, congiunzioni, e non di muri, separazioni. Di pace e non di guerra.
Da Oriente, il gigante cinese, il “Drago”, preme da lustri sui mercati eurasiatici e mondiali con le sue produzioni, con successi evidenti. La sua offerta è rivolta a una domanda basata sulle quantità, in ciò incontrando il gradimento di chi ha imparato a riconoscerne i limiti ma anche i vantaggi. L’Occidente, in particolare europeo, ha da tempo accolto quella immensa capacità produttiva espressa dalla Cina e possiamo dire che i nostri consumatori od operatori economici non vedono i cinesi come un pericolo ma come un partner. Le nostre città occidentali ospitano quartieri cinesi, le “Chinatown”, integrate e rispettate, anche grazie alla buona cultura civile che queste enclave producono e a valori di socievolezza piuttosto simili nel concreto ai nostri. Abbiamo casi di grande successo come il sistema produttivo del tessile di Prato, che ha generato un fenomeno eurasiatico, macrocontinentale già da decenni, efficiente e non conflittuale. I traffici avvengono per le vie marittime, con Suez ad essere il canale principale per l’integrazione tra Occidente industriale e Oriente industriale. Il trasporto aereo non si presta per questo movimento di container, che vediamo già da decenni scorrere lungo le rotte est-ovest del Mediterraneo.
Perché le rotte terrestri non sono praticate? Quale inerzia antica blocca queste vie? Tra l’Occidente europeo e il “socio” cinese la presenza della Federazione Russa funge da confine: titolare di una estensione che occupa alcune migliaia di chilometri, la Russia non ha interessi comuni a quelli del prodotto-mercato europeo e cinese. Si vede infatti come fornitore di materie prime ed energia, non ha dimensioni commerciali utili a un bilanciamento di tali esportazioni con acquisti di prodotti finiti europei e cinesi. La Russia di oggi, nazionalista a oltranza, mostra l’unico interesse di valorizzare al massimo i suoi materiali grezzi e prodotti naturali, e avere 2 clienti separati (Cina e Occidente europeo) è molto meglio che averne uno solo, magari ben organizzato per spuntare prezzi più vantaggiosi. Dunque, la sua strategia è oggi di separare e non congiungere: ecco il vero motivo, temporaneo e alla fine illusorio, di creare muri, e non ponti. E non c’è miglior muro della guerra…
Che l’industria, l’economia mondiale abbia interesse a bussare alle porte russe per avere energia e materie prime è risaputo; ma, mentre altri Paesi dalle importanti risorse naturali hanno da tempo sviluppato una opportuna integrazione commerciale entrando a tutto titolo nel circuito mondiale della catena del valore industriale, aprendosi al mondo, come ad esempio il Canada, che condivide istituzioni democratiche, la Russia ha compiuto il percorso inverso, riducendo il tasso democratico delle sue istituzioni, ad esempio con la modifica costituzionale voluta da Putin una decina di anni fa. Cioè, ha alzato muri, rendendo avulsa dal ciclo mondiale la economia russa e proteggendo gli interessi di un pugno di oligarchi che la dominano con le miniere e le estrazioni di idrocarburi.
Alzare muri porta sempre a conflitti, quando questi vengono eretti contro fenomeni pressoché naturali e sempre virtuosi come quelli dell’integrazione economica, in questo caso tra Oriente e Occidente eurasiatico, tra Cina ed Europa. Sono comprensibili alcune istanze socio-geografiche come la difesa delle enclave russofone d’Ucraina, ma tutta la retorica circostante nasconde altro. Se fosse solo quello, il caso potrebbe anche dirsi risolto, come il buon senso avrebbe detto fin dall’inizio. È certo che la logica del muro non è solo effetto, ma anche causa: se la Federazione Russa di Putin non fosse sempre stata in contrapposizione, la stessa Ucraina avrebbe trovato altra composizione per la questione delle terre russofone, che invece sono state considerate sempre sul solo piano delle loro risorse naturali e ricchezze.
I ponti farebbero dialogare popoli fratelli come Ucraina e Russia, consentirebbero la coesistenza dei popoli nelle regioni in guerra, avrebbero finalmente collegato le produzioni di Europa e Cina… Con benefici per tutti noi, che siamo sulla stessa barca dell’Antropocene, del melting-pot, delle grandi migrazioni e dell’unica umanità. La nuova comunità umana è globale e olistica, la sua economia industriale è planetaria, non russa, europea, cinese o americana. Popoli fratelli, come il popolo ucraino e quello russo.
Basta con gli interessi particolaristici, travestiti da sovranismo ritardato, ottocentesco, spolverato per scopi di bieco interesse provinciale: “Pace, mio Dio!”, invocava Verdi nella sua opera “La forza del Destino”, 1862.
Pace, e ponti! Non guerra e muri.