Aforismi elettorali


Il fatidico giorno si avvicina. L’ora fatale, segnata dal destino, già batte il cielo della nostra Patria (frase non nuova ma desueta).
I giochi sono quasi fatti gli schieramenti politici stanno per mettere in campo i pezzi da novanta in vista delle ultime sanguinose schermaglie elettorali.
Finora si è scherzato, ma in queste ultime due settimane vedremo le scintille scaturire dalle sedi dei partiti, dagli altoparlanti nelle piazze e – crediamo – da qualche procura della Repubblica. Non sembra infatti credibile l’ipotesi che questa volta la solita giustizia ad orologeria non cercherà di fermare un risultato bulgaro ormai scontato. Altrimenti non ci sarà più storia, si tratterà solo di stabilire se la maggioranza sarà del 60 o del 70% in entrambe le Camere. Possibile che non provino ad arrestare a Meloni con l’accusa di aver plagiato la stessa tintura per capelli della Ferragni? O Salvini per aver pubblicizzato senza regolare contratto il Papeete?
L’unico tranquillo è Berlusconi: in soffitta ha un ritratto di Dell’Utri che sta scontando la pena per lui. Nel frattempo, dopo ventordici matrimoni veri o finti che siano si è innamorato della Meloni. Facile, eh? Capello biondo, pallore da donna in carriera inguainata in tailleur che nemmeno Carlà, e soprattutto quello spirito vincente supportato da sondaggi lusinghieri anzi che no. E come fai a non innamorarti? Lui poi, che è sempre stato un beachcomber, un tombeur de femmes, un rovinafamiglie per dirla alla circassa, per quella biondina alta un metro e un telefono ha perso la testa. Che è la prima cosa che si perde per una donna, seguita da tutto il resto. Ma anche gli amori finiscono, non preoccupatevi, e il nostro ex cantante da navi in crociera dovrà fare i conti con i voti che verranno. Probabilmente gli converrà comunque stringere i denti e restare coalizzato, essendo oggi accreditato di non più che uno striminzito 7%.
In attesa che partano le bordate più potenti e che Big Ben dica stop ai sondaggi pubblici, assistiamo in questo scorcio di campagna elettorale a tanti siparietti divertenti. Ve ne offriamo un florilegio certi che faranno sorridere anche coloro che ne sono protagonisti.
Cominciamo da Enrico “Staisereno” Letta, il quale si sente così sereno che ormai pensa di essersi sbagliato, tanto che oggi il suo leitmotiv è “puntiamo sugli indecisi”. Aveva un sogno nel cassetto: continuare a fare il segretario de Piddì perché in realtà insegnare a quei quattro finocchi di francesi non gli è mai andato giù. Ma le legislature non sono come “Beautiful”, a un certo punto finiscono e i sogni nel cassetto se li mangiano le tarme: così ha stretto dapprima un patto con Calenda (quello che ha fatto così tanta paura alla Embraco che i lavoratori torinesi sono stati licenziati lo stesso, senza alcun aiuto dallo Stato, e ancora adesso se lo incontrano di notte lo tirano sotto). Ne ha accettato il diktat in nove punti senza fiatare, lasciandogli la leadership della coalizione con tanto di benservito a Fratoianni, salvo ripensarci meno di 24 ore dopo, riprendendosi Fratoianni, tenendosi la Bonino (“Ma non doveva morire? Di Cancro?” – Cit. Gli Squallor) che tanto porta sempre i voti dei radicali liberi e ribaltando con una rovesciata da campione il benservito a Calenda che si è incazzato come un bufalo e gli ha dato del Giuda, rinfacciandogli anche di non aver pagato la ritenuta d’acconto sui trenta denari.
Calenda a questo punto ha dovuto cercarsi un altro partner, perché si sa che con il rosatellum se non ti coalizzi non becchi neanche uno sgabellum. Allora ha chiamato Renzi e gli ha fatto una proposta che l’altro non ha potuto rifiutare. Anche perché in quel momento l’ex-ago della bilancia era ormai certo di affogare e un salvagente così non se lo aspettava di certo, tanto che pur di salvare lo stipendio da senatore ha acconsentito di cedere a Carletto il bastone del comando, lui che un tempo era talmente egoista da non passare mai nemmeno il testimone nelle gare di staffetta. Però, a voler mettere in chiaro da subito che l’aver evitato a Calenda la raccolta delle firme qualche diritto sulle candidature glielo dava, gli ha detto: “Guarda che io non sono l’ultimo arrivato”. L’altro gli ha risposto che quello lo dice anche il penultimo e Matteo ha subito abbassato le orecchie. Chi si accontenta, rode.
E veniamo a Di Majo, il cui partitino rappresenta all’incirca un prefisso telefonico. Giggino ha scelto il suicidio assistito: si è infatti circondato di soggetti come lui fuoriusciti dal mortale abbraccio dell’avvocato inesistente (come lo definisce Sansonetti) per darsi una parvenza di serietà e credibilità e rifarsi una verginità dopo aver dichiarato – due anni fa – che mai si sarebbe alleato col PD salvo averci condiviso due governi subito dopo. Alcuni dei suoi accoliti sono anche persone di un certo calibro, come quel Tabacci che visto accanto a lui par di vedere una vipera in braccio a Cleopatra ma serve sicuramente a migliorare l’immagine di Impegno Civico: in questo paese di ignoranti uno che riesce a distinguere un condizionale da un congiuntivo rischia addirittura di passare per intellettuale.
Probabilmente il futuro Di-nuovo-bibitaro-allo-stadio ha agito in buona fede. La buonafede la si concede anche ai cretini, si sa. Ma i crtini non sono più quelli di una volta, e, soprattutto, per essere cretini bisogna crederci fino in fondo e lui, oggi che non mette più Taranto in Basilicata e non perde più tempo a chiedersi chi c’è sotto a un sottosegretario, probabilmente qualche dubbio ce l‘ha. Anzi, ormai dubita di tutto, persino di dubitare; in fondo è difficile aver fiducia in se stessi, conoscendosi a fondo. Ha abbandonato Conte pensando al suo futuro, che dopo i due mandati era quantomeno in bilico, ma pensare al futuro, ahimé. non vuol dire trascurare il condizionale e qui la condizione necessaria per essere rieletti è il superamento di quella soglia del 3% che oggi sembra un miraggio lontano. Così lasciato Grillo ai suoi deliri, Conte alle sue nullità e il PD ai suoi Ferragnez, oggi sta pensando che non ha più una famiglia in cui lavare i panni sporchi e gli toccherà andare in lavanderia.
Da parte sua il segretario inesistente (non è un romanzo di Calvino, è Conte) continua a istigare le masse con le sue minacce apocalittiche. “Se la Meloni toglie in reddito di cittadinanza ci sarà la guerra civile” ha detto mercoledì scorso. Gli italiani con hanno fatto la guerra civile nemmeno quando Napoleone ha fatto arrestare il Papa, figuriamoci se la fanno perché lo dice il presunto segretario di un movimento fallimentare. Che, comunque, al sud pare essere accreditato in questo momento della palma di miglior partito, il che la dice lunga su quali siano i suoi elettori: quelli che al sud percepiscono il famigerato reddito o la pensione di cittadinanza sono infatti oltrre il 50% del totale! Così l’avvocato del popolo, l’uomo che dice sempre la verità anche a costo di mentire, continua a cavalcare la sua tigre nella speranza che il 10-11% che viene oggi attribuito al movimento pentapiteco gli consenta di continuare a blaterare impunemente ingiurie e cretinate confidando nella creduloneria di chi, in realtà, lo segue solo per interesse. Mangiamo tranquillamente le uova perché riusciamo a non pensare da dove escono, ma nel momento stesso in cui il reddito sparirà, anche lui – come il reddito – sparirà definitivamente.
E che dire di Speranza e del suo Articolo Uno? Naturalmente coalizzato con Letta per non affondare da solo (affondare insieme non è meglio, ma si spera sempre che l’altro affoghi e tu trovi una zattera), è ancora convinto che dopo il 25 settembre parta la nuova campagna vaccinale con la quinta dose. In realtà sembra che stia preparando un piano di fuga: a Brindisi una nave militare è pronta a salpare alla volta dell’Egitto, paese che non ha accordi di estradizione con l’Italia. Secondo altri ha già prenotato un intervento di chirurgia plastica facciale presso una clinica di Buenos Aires diretta da un anziano professore tedesco. Gli italiani magari non fanno le guerre civili, ma sanno riconoscere i delinquenti a piede libero, e temiamo che per il quasi ex- ministro della Salute sarà poco prudente girare da solo. Dicono che la miglior vendetta è il perdono. E se per caso fosse vero il contrario? Nel dubbio non circolare…
E Salvini? Lui imperterrito continua a chiedere di smetterla con le sanzioni a Putin (ma poi le vota) e predica bagni di sangue se Draghi (che ha fatto cadere) non fa ciò che dice lui. Oramai è talmente invasato da perdere il contatto con la realtà; lo hanno capito bene i suoi elettori che lo stanno abbandonando, tanto che anche i rimasugli dei pentapitechi hanno superato la Lega, seppure di poco. E’ un rischio per la coalizione di centrodestra: se una delle tre gambe cede c’è rischio che il mese di Ottobre dovremo leggerlo alla rovescia. Qui si (ri)fa l’Italia o si muore (di Piddì) e quindici giorni sono pochi se fori una gomma sulla salita che porta al traguardo. Salvini si proclama fraternop alleato di Meloni e Berlusconi, ma ogni tanto gli sfugge un “Quando sarò premier…” che fa arricciare il naso ai suoi fratelli (d’Italia). Dichiara tutti i giorni che l’Italia può e deve far da sola, che non dobbiamo sottostare al ricatto sanzionatorio voluto da USA e NATO, che noi italiani siamo così indipendenti che certe sere possiamo anche fare tardi senza chiedere ogni volta il permesso a Biden.
In realtà la coalizione di centrodestra di gambe dovrebbe averne quattro, ma la quarta, la “gamba moderata” è Lupi: più che una gamba un moncherino; la sua presenza colpisce poco. Quando qualcuno dice: “Sono tre o quattro”, “o quattro” è lui. Con Lupi c’ anche Toti, il quali non ha stampelle da lanciare e pur se si è fatto perdonare il Novi Ligure oltre Boccadasse non se lo fila nessuno.
Mi verrebbe anche da commentare le uscite di Rizzo, l’ultimo comunista nostalgico, ben sapendo che la nostalgia si giova spesso dei vuoti di memoria. Però la sua sparata sullo champagne stappato per la morte di Gorbaciov mi provoca un grande disgusto. E questo per almeno due motivi: brindare alla morte di un avversario non porta onore, solo ribrezzo, poi che un comunista beva champagne è un ossimoro bello e buono che né Berlinguer né (forse) Bertinotti si sarebbero permessi. A volte siamo costretti a rimpiangere le persone che un tempo ci facevano schifo.
Chi resta nel panorama politico? Ah già, Vittorio Sgarbi, che continua la sua campagna per un’Italia più bella e chissenefrega se manca l’energia: le pale eoliche sono uno scempio e vanno tutte abbattute. Le facciano in Danimarca che non hanno bellezze architettoniche o naturalistiche. In attesa dei ringraziamenti dei reali danesi, ci chiediamo: e se sotto certi capolavori architettonici italiani ci fosse il petrolio? No, mi avvalgo della facoltà di non pensarci…
Trascorriamo queste due ultime settimane con le orecchie tese a percepire ogni ulteriore novità nel panorama elettorale, in attesa di sapere se dovremo morire di freddo o per una bomba atomica targata Ishevsk. Speriamo che qualche santo provveda anche questa volta a salvarci il culo consci, come asseriva il grande Enrico Vaime, che tutti possono diventare più saggi, tranne i cretini.
Forse il destino politico dell’Italia è già scritto, o forse no. A volte basta aspettare.