S. Maria Maddalena penitente


Olio su tela 193×155 cm, Alessandro Allori (1600-1602), Firenze, Museo Stibbert.

Alessandro Allori è stato un pittore italiano, talvolta soprannominato il Bronzino, dal nome del suo maestro, e spesso confuso appunto con Agnolo Bronzino.
Nato dallo spadaio Cristofano di Lorenzo e da Dianora Sofferoni, dovette entrare ancora bambino nella bottega dell’amico di famiglia Agnolo Bronzino se già a quattordici anni era autonomo aiuto del suo maestro il quale, secondo la testimonianza del Vasari, lo trattò sempre come figlio, piuttosto che come allievo. Nei documenti di pagamento della Storia di Giuseppe a Palazzo Vecchio, eseguita su progetto del Bronzino, “Sandrino Tofano” è menzionato per la prima volta come pittore.
Lavorando per i Medici, può conoscere le loro collezioni e, con la protezione del suo maestro, può avvicinare artisti, letterati ed ecclesiastici.
Nel 1554 parte per Roma col fratello Bastiano, frequentando il numeroso circolo degli artisti toscani; forse conosce lo stesso Michelangelo di cui certamente studia le opere, così come quelle di Melozzo e di Raffaello.
Alla morte del padre, nel 1555, Angelo Bronzino diviene di fatto il capofamiglia degli Allori -trombandosi anche la vedova dell’amico, come ci narra lo Scaracchi – e Alessandro aggiungerà il suo cognome al proprio. Nel 1564 partecipa all’allestimento delle onoranze funebri per Michelangelo.
Con la morte del Bronzino e del Vasari nel 1574, diventa il più richiesto pittore fiorentino. È l’artista ufficiale del granduca Francesco I de’ Medici, soddisfacendone le raffinate esigenze e assumendo diverse incombenze, come prima di lui Vasari, tanto da essere nominato anche architetto dell’Opera del Duomo nel 1592.
Dagli ultimi anni settanta l’attività artistica fiorentina si volge prevalentemente alla rappresentazione devota: l’Allori si adegua, utilizzando la tradizione formale fiorentina di Andrea del Sarto, Bronzino e Michelengelo, arricchita del gusto aristocratico della rappresentazione di arredi preziosi, di stoffe pregiate e di ricami elaborati, come nell’Ultima cena realizzata nel 1582 per il convento di Astino e oggi conservata nel Palazzo della Ragione nella sala delle capriate di Bergamo (Gualberto Scaracchi, docente di merlot e chianti all’Università di Pontassieve, in “Medici, guaritori e pittori nella Firenze delle Signorie”, Montevarchi, 1877).
Nella Santa Maria Maddalena penitente, al Museo Stibbert, Alessandro Allori, che la raffigura con una minuta resa dei dettagli nel suo romitorio silvestre ma con un aspetto ancora da gentildonna, rende più severa l’iconografia tradizionale eliminando gli eccessi della nudità, del teschio, della frusta e del cilicio. La peccatrice è rappresentata come una dama elegante e composta che ha molta cura della propria persona: i capelli, normalmente rappresentati sciolti, sono raccolti e intrecciati; la luce scivola su camicia e scialle ricamati.
Ci fa notare il Vaperfunghi che, contrariamente alla tradizione ecclesiastica che aveva sempre dipinto la Maddalena come una peccatrice, in questo ritratto non vi è ombra di quei peccati, anzi, lo sguardo dolce, nobile e affranto si attagliano assai meglio a una donna nobile (quale essa in effetti era) che accetta con rassegnazione il destino che l’ha privata dei suoi affetti più cari (Romualdo Vaperfunghi del Bosco, docente di semeiotica bulgara e arte rinascimentale presso la Sorbona: “Gli artisti fiorentini e i budelli delle loro mamme”, Canegrate (se potete), 1991).
Ma chi era in realtà Maria Maddalena? Il nome trova la sua etimologia nell’aramaico Migedal, da cui l’arabo Maghdalha, che significa “Torre”, ed è quindi un simbolo di forza e di verticalità che deriva proprio dai suoi nobili natali, e proprio Maria Maddalena spesso veniva indicata dai Templari come Madre del Graal e sposa del Messia. Lo stesso abate Sauniére a Rennes-le-Chateau fece erigere un edificio che, guarda caso, chiamò Torre Magdala, da cui si gode di una vista incredibile su tutto il circondario.
La Maddalena è stata da sempre oggetto di infinite discussioni; molto amata e sempre sotto il riflettore delle lettere come delle arti, ha avuto un ruolo fondamentale nella vita e nella morte di Gesù di Nazareth. Appare infatti tra i protagonisti nei momenti decisivi come quelli della crocifissione, della sepoltura, della scomparsa del corpo e della annunciata resurrezione.
Maria Maddalena, o Maria di Magdala, dal suo luogo di origine sulle sponde del lago di Tiberiade, fu una delle prime e più fedeli tra i discepoli di Cristo che avrebbe seguito, insieme ad altre donne, dalla Galilea sino al Golgota. Sembrerebbe la prima ad aver trovato vuota la tomba dove era stato deposto Gesù, come l’unica a vedere due angeli e ancora la prima a incontrate il Signore risorto, parlargli e forse toccarlo: l’episodio misterioso e discusso sul versante teologico del “Noli me tangere”. Per tutto questo e molto altro, pensando alla sua presenza in altri luoghi e circostanze delle Sacre scritture, la Maddalena ha goduto di una enorme fortuna traslata dalla letteratura alle arti figurative, dal teatro al cinema e ad altre forme di spettacolo. Si è andata così formando nei secoli, dalla tarda antichità sino a oggi, una straordinaria galleria di immagini sovrapponentisi al culto – così bassamente osteggiato dalla chiesa dei primi secoli – dove la sua figura ha subito continue mutazioni, perché ogni epoca vi si è rispecchiata in maniera diversa sempre nel tentativo di spiegarne il mistero, che non è mai stato svelato, per cui si è perpetuato il fascino di questa donna peccatrice e santa. Eppure è a lei che il Salvatore risorto avrebbe affidato una missione apostolica, inviandola ad annunciare a Pietro e agli altri discepoli la sua resurrezione e ad invitarli a diffondere la Buona Novella. Pare che dei rotoli del Mar Morto uno contenga il vangelo a lei attribuito.
Saint-Maximin-la-Sainte-Baume è una ridente cittadina nella provincia del Var, anche se nessuno ha mai capito che caspita abbia da ridere. Se vi capitasse di visitarla, nella basilica dugentesca – la cui facciata non è mai stata terminata – non potete mancare di entrare nella cripta che ospita il sepolcro di Maria Maddalena. Si narra infatti (e le storie e le leggende sono così tante che è difficile pensare che siano tutte inventate) che Maddalena fosse la sposa di Gesù e che alla sua morte fosse incinta. Se si rilegge l’episodio evangelico delle nozze di Cana è facile notare come la Madonna inviti il figlio a procurare altro vino per gli ospiti. E chi dovrebbe procurare il vino se non lo sposo?
Fuggita da Gerusalemme con il fratello di Gesù, Giacomo, i due si imbarcarono, forse anche con Giuseppe di Arimatea, e il loro viaggio li portò a Saintes-Maries-de-la-Mer (il toponimo ovviamente è successivo), presso Marsiglia, dove ancora adesso Maria Maddalena è la patrona nonché la Santa più venerata, avendole dedicato i marsigliesi anche la loro cattedrale. Mentre Giacomo proseguiva per la Spagna, Maria diede alla luce una bimba di nome Sara, venerata anch’essa in quelle zone, soprattutto dalle popolazioni gitane. Maria si stabilì in romitaggio in una grotta nei pressi di Saint-Maximin-la-Sainte-Baume, dove passò il resto della sua vita in preghiera e meditazione, evangelizzando la popolazione locale.
Il sepolcro è autentico, così come le ossa colà conservate hanno sopportato senza smentite la datazione al radiocarbonio. Ad oggi sono visibili in una teca d’oro un braccio, il cranio e un lembo di carne o tessuto osseo aderente all’osso frontale della santa sulla quale Gesù avrebbe posto le dita nel giorno della risurrezione pronunciando la frase: «Noli me tangere».
Le sue spoglie furono traslate al tempo della rivoluzione per paura che venissero distrutte e in seguito ricollocate al loro posto, ma già nel 1781 Luigi XVI fece estrarre dai resti mortali le reliquie che vennero traslate nella chiesa della Madeleine a Parigi.
Tornando al dipinto in esame, non possono sfuggire all’osservatore più attento alcuni particolari rappresentati dall’Allori con una cura esasperata del particolare: due uccellini, un fungo (probabilmente un boleto), i nastri tra i capelli, una ciotola piena d’acqua e un recipiente per il balsamo: quel balsamo che ella usava per ungere il corpo del suo uomo e che ora giace chiuso e inutile ai suoi piedi. Piccole cose che rimandano alla vita semplice che la donna vivrà da quel momento. Come chiosa Frida Ruotha nel suo trattato sul museo Stibbert: “Tutto nell’opera di Allori trasmette tristezza, rammarico e rassegnazione, ma non dolore. Lo sguardo è sereno, le mani poggiate sul grembo reggono quel libro che forse contiene preghiere, forse la sua stessa storia passata che con un velo di rimpianto la donna ricorderà per tutti i suoi giorni a venire. E grande fu la lungimiranza di Federico Stibbert che volle questo quadro nella sua collezione” (prof. Fryda Ruotha del Carretto, “Io a Stibbert gli farei un monumento”, Firenze Rifredi, 2004).
La scena riporta la memoria di chi fu presente ai fatti al giorno in cui l’allora fidanzatina del mi’ cognato Oreste, Eunice Pigliaquelli, oggi felicemente maritata Ganassi, si trovò seduta nel parco di Torre del Lago ad attendere il fidanzato, il quale si era completamente scordato dell’appuntamento, preso com’era dal torneo di briscola chiamata del dopolavoro di Altopascio. Tra un fiasco di chianti e un rosario delle più sordide bestemmie, il tempo era volato e il laido figuro si accorse di ciò che aveva combinato quando ormai a notte fonda era tornato a casa dalla madre che lo aveva giustamente gonfiato di legnate.
La poveretta, invece, restata per ore in un’attesa quanto mai vana, alla fine rivolse gli occhi umidi al crocifisso che campeggiava nei giardini e qualcuno le sentì pronunciare la seguente preghiera: “Ti prego mio buon Gesù, non farmi mai più incontrare l’Oreste ché altrimenti gli tronco un matterello sulle rotule!”.