Un’estate al mare (ovvero la villeggiatura del cronista)


È sempre interessante osservare la fauna e i suoi comportamenti. Non certo con le finalità di un Von Humboldt o di un Darwin, ma di sicuro con altrettanto spirito scientifico e desiderio di apprendere e capire le relazioni con i propri simili e con l’ambiente, per strane che possano apparire. Trovandomi in terra di Sardegna, una regione ormai ben conosciuta dal punto di vista naturalistico, mi sono limitato a studiare l’unico mammifero che ancora desta stupore per la stupidità dei suoi modi di interconnettersi con i suoi simili: l’uomo.
Oggi il luogo di osservazione era una comunissima spiaggia di sabbia silicea molto chiara, discretamente pulita, antistante a un mare cristallino e tranquillo, la cui temperatura non era dissimile da quella di una bouillabasse servita da un quarto d’ora: troppo fredda per vederci galleggiare pesci bolliti, ma non disperiamo per i prossimi giorni.
Su questa spiaggia decine di umani si muovono a frotte, solitari, in piccoli gruppi o a coppie, oppure stazionano sotto l’ombrellone (chi se l’è portato, dato che è una spiaggia libera) o sdraiati a salamandreggiare su un asciugamano variopinto su cui puoi trovare disegnato di tutto, dalla classica bandiera coi quattro mori (scemi o furbi fa lo stesso, ma lo vedremo dopo), alla pubblicità di una birra, fino ai vecchi (ma purtroppo ancora tra noi) Picatchu o Dragonball.
L’italiano è solo una delle lingue parlate, oltre al sardo naturalmente. Qua e là senti spezzoni di discorsi in polacco, francese, spagnolo e di altri non decifrabili idiomi.
Il pomeriggio si preannuncia torrido, talmente rovente che anche il Parlamento sta per sciogliersi. Entro in acqua per sopportare la calura stile Deltasider e sento una radio vicino a me che manda nell’aria musica rock. Strano: com’è possibile se sono a circa cento metri dalla battigia? Mi volto e vedo un improbabile disc-jockey che si contorce come un tarantolato reggendo in una mano l’immancabile smartphone e nell’altra uno strano aggeggio che sembra una grossa cornetta del telefono, da cui escono suoni di eccellente qualità. Evidentemente i due dispositivi sono collegati via Bluetooth e il nostro, senza temere di bagnare le preziose apparecchiature, si produce in danze bantù con la stessa grazia di Ray Charles in una cristalleria.
Lascio il futuro Roberto Bolle a bollire nel suo brodo e nuoto un po’, finché non mi trovo vicino a un gruppo di ragazzi che discutono i piani della serata. La parola più ricorrente è ‘alcool’, seguita da altre meno ripetibili, tutte pronunciate in perfetto accento lombardo. Penso: meno male che non si parla di droga. Sono consolazioni.
Padre e figlio vestiti con muta in neoprene nuotano snorkelizzando verso gli scogli. Si trascinano dietro una boa da sub rossa, di quelle che quando ti immergi segnalano la tua presenza ai motoscafi per evitare che l’elica ti riduca a una tapenade provenzale. Peccato che dove sono loro l’acqua è alta si e no un metro e venti e i motoscafi non si possano avvicinare a meno di 50 metri dalla costa. Loro comunque da bravi sub normali continuano imperterriti a fare la sauna nel neoprene e a colare sudore che si mescolerà con l’acqua marina (inutile provare disgusto, sapeste cosa fanno fare certe mamme ai bambini…).
Due anziane signore (anzi, no: sono proprio vecchie!) passeggiano con l’acqua alla vita nascondendo per lo meno la cellulite della zona meridionale, ma essendo probabilmente inette al nuoto non sono in grado – tra una maldicenza e l’altra verso una tale Susanna – di celare alla vista gli orribili rotoli di pelle cadente dell’emisfero boreale.
Vedendo giungere il carretto delle granite, che almeno qui ha sostituito il caro vecchio “coccofresco coccobello”, mi avvicino al bagnasciuga e mi arriva la voce dalla cadenza toscana d’un ventenne che potremmo definire ‘nerd’ intento a leggere il Corriere seduto all’ombra su una sedia pieghevole. Occhiali da vista tondi, capello fluente non troppo lungo e striato dal sole, camicia avana fresca di bucato, scarpe di tela e nessuna intenzione di tuffarsi in acqua, si rivolge agli amici seduti intorno sugli asciugamani dicendo: “Ma allora Draghi è caduto?”
Le risposte sono tutte degne di menzione, quanto meno perché così verbalizzate potranno un domani essere usate come prove a carico al Tribunale dell’Intelligenza.
“Boh!” (la più accettabile)
“E chi e?”
“Draghi chi?”
“Ma che mi fotte!”
“Fatti una birra, leggi troppo!”
“Tanto anche lui è un ladro”
“Così impara a mandare missili a Putin” (qui ci vorrebbe un TSO).
Capisco che il danno è partito da molto prima: da quando i sessantottini hanno procreato generando insegnanti più imbecilli di un ascensore guasto e politici più idioti di una capra con la sindrome di Down. Queste due abbiette categorie, poi, si sono messe in combutta per crescere questi esseri decerebrati definiti “millennial”, il cui acume raggiunge tali vette negative da non permettergli nemmeno di definire la non esatta equivalenza tra un donut e un vibratore. In fondo non è solo colpa loro, tuttavia mi si torce lo stomaco a pensare che costoro non sanno nemmanco perché hanno diritto al voto. L’unica speranza è che non esercitino questo diritto, o che almeno lo facciano con moderazione.
Mi consolo con una granita al limone che neanche a Catania saprebbero fare meglio (ci manca solo la brioscia) mentre cammino calpestando pezzi di conchiglia e posidonie spiaggiate, e intanto osservo la moda mare di quest’anno. Per i maschietti non cambia nulla, come al solito; per le signore e signorine mi accorgo che vanno di moda costumi molto sgambati sul davanti e ridotti a filo interdentale nel lato B. Fortunatamente devono fare solo taglie piccole perché al di sopra della 44 non vedo nessuna (sospiro di sollievo). La parte superiore dipende – ça va sans dir – dalla volumetria dell’indossatrice. E qui iniziano le dolenti note. Sarà un caso, non può essere che così, ma a differenza degli scorsi anni in cui ragazze e signore portatrici di quarta o di quinta si sprecavano, oggi la più formosa assomiglia al fante di picche.
Rattristato dall’amarissima constatazione che nemmeno l’occhio oggi può più avere la sua parte, mi allontano verso casa. Incrocio un nonno con la nipotina per mano che alza appena la testa in segno di saluto e gli dico: “Draghi è caduto”.
E lui: “Si è fatto male?”