Il diavolo di Papefiguière


Incisione di Charles Eisen – cm 17,8 x 11,4 – per “I Racconti di Jean de La Fontaine”.

Il diavolo di Papefiguière è un racconto libertino di Jean de La Fontaine pubblicato nel 1674 nella raccolta “Contes et Nouvelles en vers”. La Fontaine, il favolista francese alla corte di Luigi XIV, non ha scritto solo le favole che noi tutti conosciamo ma anche racconti per adulti, ispirati a Rabelais ed a Boccaccio, mostrando furbizie e difetti degli uomini ancor più evidenti che nelle favole. Uno di questi racconti si intitola “Il diavolo di Papefiguière” e narra di come una giovane contadina sia riuscita a beffare un diavolo mostrandogli la vagina. Il gesto di alzare la gonna è antico, in greco è detto ‘nasyrma’ ed è usato in relazione a certi rituali religiosi, erotismo e scherzi oppure come scherno o mezzo di ripulsa verso un nemico soprannaturale.
Stando al riassunto dal francese dell’Obluraschi, il racconto narra la vicenda accaduta in un immaginario paesino francese, Papimanie, dove le persone erano felici e gioiose. A poca distanza vi era invece un altro paese, Papefiguière, dove le persone erano tristi e odiose. A Papefiguière gli abitanti avevano messo un fico nel ritratto del Santo Padre e per questo sono stati puniti e la loro terra era stata data in appannaggio a Lucifero che la usava come casa di campagna per sé e per i suoi diavoletti. Un giorno arriva un diavolo giovane ed inesperto e vede un contadino che si chiama Phlipot intento a lavorare la terra con molta fatica. Il diavolo chiede al contadino di lavorare per lui e si accordano per coltivare frumento e divederlo: al contadino le spighe e al diavolo le radici. Dopo il raccolto vanno al mercato e il diavolo si accorge di esser fatto fesso perché il contadino vende la sua parte di raccolto ma nessuno compera le radici del diavolo. L’anno successivo Phlipot coltiva carote e rape e il diavolo decide di prendere le foglie e lasciare le radici al contadino ma così viene fatto fesso per la seconda volta. Infuriato il diavolo va a casa di Phlipot minacciandolo con l’intenzione di vendicarsi dei raggiri che ha subito ma lo sorprende con una donna che gli dicono essere vergine. Perrette, la donna del contadino, non sembra tanto vergine e dice a Phlipot di non farsene troppo cruccio: si occuperà lei del diavolo. Phlipot impaurito va nascondersi in un otre d’acqua santa in chiesa mentre tutti i curati intorno cantano ‘vade retro’ per scacciare il diavolo. Perette e restata a casa e aspetta il diavolo, quando lo vede esce urlando: “Phlipot mi ha distrutta, il traditore! Il cattivo! Mi ha detto che doveva allenarsi prima di battersi contro di te e per allenarsi mi ha graffiato orribilmente, guarda!” e fa vedere al diavolo un lungo graffio che in realtà graffio non è…
Il diavolo spaventato si fa il segno della croce (!) e fugge per paura della forza di Phlipot, capace di procurare ferite cosi grandi! Così i preti e tutto il villaggio festeggiano la sconfitta del diavolo (Sigismondo Obluraschi “Eh” Melopuppi, “La mi’ nonna sì che sapeva cocere il pollo alla cacciatora”, Vergate sul Membro ì, 1976).
Secondo il Criceti (Amerigo Schiaccia-Criceti, “Racconti per contadini ignoranti della Dalmazia” in: Boll. Trim. del Pulit. d. Ces. della Staz. Centr., Milano, 1988-III) che riprese il racconto con aggiunte gustose ma apocrife, il Diavolo rappresentato dal La Fontaine sarebbe Asmodeo, lo stesso raffigurato nella chiesa della Maddalena a Rennes le Chateau nell’atto di sorreggere un’acquasantiera. Sembra che il curato di quel luogo, Berenger Saunière, noto cultore di riti esoterici, lo avesse commissionato ad uno scultore locale a voler proteggere il contenuto di un doppiofondo in cui custodiva i pegni d’amore (giarrettiere e altri indumenti intimi) ricevuti dalle donzelle che riceveva presso la canonica.
Sebbene molti volumi siano stati scritti su questo personaggio, nessuno è ancora riuscito a trovare il famoso doppiofondo e qualcuno comincia a pensare che il Criceti si sia inventato tutto.
Tuttavia, a giudicare dalle sembianze del diavolo effigiato nell’incisione di Eisen, si nota in effetti una notevole somiglianza con l’Asmodeo di Rennes, tanto che il Sommaruga si compiace di chiosare la sua conosciutissima esegesi dell’opera dichiarando che “… senza alcun dubbio l’Asmodeo di Saunière e il diavolo di Papefiguière sono lo stesso demone”. (Butangàs Sommaruga di Scappellotto, già controllore di cambiali presso il Credito Cooperativo Mungitori & Vacche della Val Camonica: “Il diavolo come volontà e rappresentazione – Somiglianze e differenze in Schopenauer”, Firenze Rifredi, 2003.
Resta da comprendere il collegamento tra le due presenze demoniache, al momento ancora del tutto oscuro. Una parvenza di spiegazione può forse venire da un episodio che si tramanda nella marca labronica, secondo cui il diavolo poteva assumere sembianze morfologicamente identiche a persone malviste o di cui si dicevano cose malvagie.
In effetti l’abate Saunière aveva una perpetua, che nominò sua erede dopo averne occupato il letto per un ventennio, della quale l’intero borgo pirenaico diceva le peggiori cose; allo stesso modo – almeno stando a quanto afferma il Manfruiti (Don Eusebio Manfruiti, “Le fiabe del curato pei suoi amati bimbi” in Giornalino Parrocchiale, Palma Campagna, 1968) – il diavolo di La Fontaine probabilmente non era altri che la madre del contadino Phlipot, preoccupata che il figliolo potesse farsi traviare dalla navigata Perrette.
Vale anche la pena di citare a tal riguardo quanto accaduto anni fa al mi’ cognato Oreste, allorché ricevette l’inaspettata visita della suocera, donna di bruttezza esasperante, mentre stava ultimando la dilapidazione del doppio litro di Sangiovese vinto alla gara di bocce la sera precedente.
Obnubilato dall’alcool, il buon uomo scambiò l’arpia per un demone e le scagliò addosso il bicchiere vuoto colpendola sull’arcata sopraccigliare sinistra e riducendola come Benvenuti dopo la sconfitta con Griffith, profferendo al contempo la giaculatoria “Vade retro, maledetta bestia!” seguita da un rosario di officina laica e assai triviale.