Un volo per la pace


Quando ero bambino, mio nonno paterno, un marchigiano verace, orgogliosamente fermano, mi raccontò più volte di un suo concittadino, che aveva compiuto, con un fragile aeroplano, un particolarissimo volo, lanciando sulla città di Vienna, con cui l’Italia era in guerra, una miriade di volantini propagandistici, al seguito del più importante e celebre personaggio di allora, il Vate Gabriele D’Annunzio. Pur non comprendendone, ovviamente, la rilevanza storigrafica e politica, quella vicenda, che gli chiedevo di raccontarmi, ogni volta mi affascinava come la prima.
Divenuto adulto ed appassionato di storia, volli sapere, capire, scoprire, approfondire. I fatti si svolsero una mattina, ancora di guerra, dell’estate del 1918, il 9 agosto per precisione. Alle ore 5,50, da una pista del piccolo aeroporto di San Pelagio, vicino a Padova, decollarono undici biplani militari. Tre, rientrarono immediatamente per problemi tecnici, un quarto fu costretto ad atterrare fortunosamente, per noie al motore, quasi a destinazione, sul campo di Wiener Neustadt. Il pilota, prima di essere catturato, diede fuoco all’aereo.
Alle 9,20, la ridotta pattuglia di sette velivoli, comandata dal Maggiore Gabriele D’Annunzio, sorvolò il cielo di Vienna, inondando la città con quattrocentomila volantini, cinquantamila dei quali con un testo scritto dal poeta stesso. Di quella compagine, faceva parte anche il giovanissimo pilota, di cui mio nonno mi aveva parlato.
Il Vate, su quei fogli, così esprimeva la sua furiosa condanna: “In questo mattino d’agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l’anno della nostra piena potenza, l’ala tricolore vi apparisce all’improvviso come indizio del destino che si volge. Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. È passata per sempre l’ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta. La vostra ora è passata. Come la nostra fede fu la più forte, ecco che la nostra volontà predomina e predominerà sino alla fine. I combattenti vittoriosi del Piave, i combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno, con una ebbrezza che moltiplica l’impeto. Ma, se l’impeto non bastasse, basterebbe il numero; e questo è detto per coloro che usano combattere dieci contro uno. L’Atlantico è una via che già si chiude; ed è una via eroica, come dimostrano i nuovissimi inseguitori che hanno colorato l’Ourcq di sangue tedesco. Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremmo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo. Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non revocabile, o Viennesi. Viva l’Italia!”.
La lirica di D’Annunzio, eccelsa e sublimemente pungente, in verità, venne ritenuta, anche dallo stesso autore, non facile da tradurre efficacemente in tedesco. Così, unitamente al suo, venne stampato un altro manifestino, redatto dal giornalista e scrittore Ugo Ojetti, tradotto in tedesco e riprodotto in trecentocinquanta mila copie, da lanciare sul nemico.
Diceva: “Viennesi, Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni. Viennesi, voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandola. Popolo di Vienna, pensa ai tuoi casi. Svegliati! Viva la libertà, viva l’Italia, viva l’Intesa!”. Parole che, tra l’altro, lette oggi, fanno rabbrividire. Ma questa è un’altra storia!
La missione della pattuglia aerea italiana “La Serenissima” riuscì in pieno ed ebbe un forte impatto mediatico sull’opinione pubblica viennese e tra le maglie del governo austro-ungarico, esausto oramai per la lunga e sanguinosa guerra. Anche l’Italia fu invasa dall’eco della straordinaria missione, soprattutto per il coraggio dei piloti, per la dimostrazione del livello tecnico raggiunto dall’aviazione nazionale e, non di meno, per la straripante e leggendaria popolarità di Gabriele D’Annunzio, che ne era stato il promotore e comandante.
Quel giovane pilota, si chiamava Ludovico Censi. Era nato a Fermo il 21 maggio 1895, da un’aristocratica famiglia. In età da servizio militare, si arruolò, come ufficiale di complemento di cavalleria ma, allo scoppio della guerra, entrò, dopo i corsi di routine, in Aeronautica, indossando il grado di tenente. Partecipando a diverse azioni di guerra, si distinse per abilità e coraggio, qualità che gli valsero una Medaglia di Bronzo al Valor Militare, prima, ed una Medaglia d’Argento, poi.
Sentendo che qualcosa di particolare stava bollendo in pentola, chiese insistentemente ed ottenne, nel marzo del 1818, di venir assegnato alla 87^ Squadriglia “La Serenissima”. Accadde un fatto, che lo vide protagonista. L’8 agosto, il giorno da tempo consolidato per il sorvolo, gli undici arei designati, ed all’ora prestabilita, decollarono, ma un repentino cambiamento delle condizioni meteo, costrinse la squadriglia a ritornare indietro. In quella circostanza, venne particolarmente coinvolto il Tenente Censi che, partito in ritardo per dei fastidi al motore, stava volando a tutta velocità per cercare di raggiungere il resto del gruppo. Non riuscì però ad avvistarlo, perché nel frattempo la formazione aveva invertito la rotta e la visibilità era quasi ridotta a zero.
Sopra le Alpi Giulie, poi, le condizioni atmosferiche erano divenute impossibili, a causa di una forte bufera di vento ed acqua. Censi, nel tentativo di salvarsi, si vide costretto ad alleggerire l’aeromobile, sganciando nel vuoto i volantini. Riuscì, con grande difficoltà, a fare ritorno a San Pelagio, ma si prospettò il pericolo che quei manifestini, caduti in territorio austriaco, avrebbero potuto allertare le difese avversarie. Per evitare questa possibilità, il Comandante d’Annunzio decise allora di compiere il volo il giorno successivo, indipendentemente dalle condizioni meteo. Quell’episodio, non impedì a Lorenzo Censi di far parte dell’operazione, che il 9 agosto arrivò su Vienna.
Nel 1919, con un altro stormo di apparecchi, accompagnò Gabriele D’Annunzio, in un’altra spedizione, quella su Fiume, dove il poeta proclamò la “Repubblica del Carnaro”, con la quale si volle affermare un nuovo modello di ordinamento politico ed economico. Solo nel dicembre 1920, e solo dopo uno scontro tra i legionari fiumani e forze regolari dell’Esercito Italiano, l’avventura ebbe fine. Il “Trattato di Rapallo” assegnò infatti la Dalmazia al Regno di Serbia, fatta eccezione per Zara, che diventò parte del Regno d’Italia. Fiume, considerata inizialmente “città libera” sotto tutela internazionale, venne mesi dopo annessa all’Italia.
Ritornato in Patria, Ludovico Censi lasciò l’uniforme ed intraprese la carriera diplomatica. Fu Console d’Italia in numerosissime città e capitali del mondo.
Il 5 maggio 1950, collocato in pensione, si stabilì a San Severino Marche, dove risiedette fino alla morte, avvenuta il 13 maggio 1964. Venne lì sepolto, dopo la resa degli onori militari, con una solenne cerimonia funebre.
Sulla sua tomba, un’incisione ricopia, in parte, la motivazione della concessione della Medaglia d’Argento al Valor Militare, ottenuta per quella memorabile partecipazione, motivazione che, per esteso, così si esprime:

“Superando ogni precedente ardimento, con magnifico volo, affermava su Vienna la potenza delle ali d’Italia, esempio meraviglioso di fede, di tenacia e di superbo valore. Cielo di Vienna, 9 agosto 1918”.