Chitarra Classica – Intervista a Fernando Lepri


L’intervista di oggi è dedicata ad un eccellente concertista e didatta: Fernando Lepri.
Potete visitare il suo sito per le note biografiche, per musiche, partiture e altre notizie: www.fernandolepri.com

W.M.: Grazie Maestro per la disponibilità. La conosciamo come docente di conservatorio, autore di Cd, video musicali e pubblicazioni nonché concertista e fondatore del Trio Chitarristico di Roma; ci racconta di quelli che sono stati i suoi primi contatti con la musica e il perché della chitarra?

F.L.: Intanto grazie dell’invito a partecipare a questo interessante ciclo di interviste.
I miei primi contatti con la chitarra sono stati piuttosto tardivi. In casa c’era un pianoforte in quanto mia madre da giovane ne aveva preso lezioni per qualche anno (tra i suoi insegnanti c’è stato anche Letterio Ciriaco autore del noto metodo di solfeggio). Ho cominciato quindi a suonare il pianoforte e mi sono avvicinato alla chitarra più tardi, intorno ai 16 anni come autodidatta. In seguito ho svolto un percorso regolare di studi, prima con Modesto Ricchi proseguendo al Conservatorio di Santa Cecilia nella classe di Carlo Carfagna e quindi frequentando vari corsi di perfezionamento. Il perché della chitarra? Per essere sincero, inizialmente per cercare di fare colpo sulle ragazze (ride ndr.) ma poi fui letteralmente rapito dalla fisicità del contatto con lo strumento anche nel rapporto così immediato tra dita e corde e dalle tante combinazioni di colori che si potevano ottenere. Ricordo ancora la mia prima chitarra acquistata presso lo storico negozio Ceccherini a Via Nazionale a Roma. Era una Yairi.

W.M.: Di Lei si dice: impeccabile stile … grande tecnica e musicalità … prezioso saggio di nobiltà interpretativa…” vivace sensibilità … tecnica brillante… effetti coloristici corposi e di bellissima qualità…”.
Insomma, il segreto del suo suono è nella cura dei particolari e nella mano destra?

F.L.: La chitarra non ha una grande voce: sia nelle grandi sale da concerto sia quando suona con l’orchestra è uno strumento che soffre un po’. Allo stesso tempo, la tavolozza timbrica di cui dispone è infinita e affascinante e il chitarrista ne deve essere consapevole e deve utilizzarla al meglio in maniera duttile assecondando, allo stesso tempo, sia lo stile del brano sia il proprio animo musicale. È importante chiarire che, anche se il suono viene prodotto dalle dita della mando destra, al suo colore e alla sua qualità partecipa in modo importante anche la mano sinistra, sia perché deve lavorare con il giusto equilibrio tra agilità e solidità sia per la scelta delle posizioni sulla tastiera e delle diteggiature.
Il suono, inoltre, non parte dalle mani ma dalla testa e dal cuore dell’interprete: deve essere prima chiaro nel “progetto estetico” e nel gusto dell’esecutore che poi lo ri-crea sullo strumento con un adeguato attacco della mano destra e appropriate diteggiature della sinistra. Potremmo dire che le dita per il musicista sono come il pennello per il pittore: danno vita e colore a quello che l’artista ha nella testa e nell’anima. Per finire non parlerei di “suono” ma di “suoni”. Un unico tipo di suono non potrebbe coprire tutte le necessità interpretative e alla lunga, per quanto bello, risulterebbe monotono.

W.M.: Oltre all’attività concertistica, affianca quella di docente di Conservatorio e quella di organizzatore di eventi nell’ambito chitarristico. Ce ne parla?

F.L.: Si, insegno al Conservatorio Casella di L’Aquila e, insieme a Giulio Tampalini, organizzo già da qualche anno l’Italian Guitar Campus che vede la partecipazione di oltre 200 studenti e 25 docenti provenienti da tutta Italia e dall’estero. È una formula molto particolare: i ragazzi, infatti, fanno lezione con più docenti secondo le preferenze che possono esprimere al momento dell’iscrizione e possono partecipare come uditori a tutte le lezioni che si svolgono durante i cinque giorni del campus che è anche arricchito quotidianamente da seminari, concerti ed eventi vari. Le attività musicali, il pernottamento e i pasti si svolgono all’interno della stessa struttura e questo fa sì che i partecipanti in quei giorni siano costantemente a contatto diretto tra loro, con tutti i docenti e con le varie realtà musicali. Tutto ciò contribuisce all’arricchimento della loro personalità umana e artistica.

W.M.: E per quanto riguarda la sua attività discografica?

F.L.: Gran parte della mia discografia è quella con il Trio Chitarristico di Roma: dal 1992 al 2013 abbiamo pubblicato sei cd per varie etichette che spaziano dalle trascrizioni alla musica originale del ‘900. Tutti i cd si possono ascoltare sul mio sito. Come solista è appena uscita per la PVR un cd dal titolo Promenade che raccoglie gli audio di alcuni miei video prodotti negli ultimi 2-3 anni: una passeggiata, appunto, tra epoche e stili.

W.M.: Qual è il repertorio più affine alla Sua sensibile personalità artistica?

F.L.: Sicuramente la musica barocca mi ha da sempre affascinato in modo particolare. Negli anni 90 studiai a lungo la prassi esecutiva barocca con la clavicembalista Annamaria Pernafelli. La musica barocca è un mondo infinito dove l’autore, ancor più che negli altri repertori, deve entrare in una sorta di simbiosi con il compositore e il suo tempo sia per l’elaborazione di fioriture e diminuzioni appropriate sia per la ricerca dei corretti andamenti ritmici (penso ad esempio all’inégalité) che possano ricreare la prassi esecutiva.

W.M.: Che tipologia di chitarre preferisce, le storiche o le moderne? Preferisce l’abete o il cedro? Ha un liutaio di riferimento?

F.L.: In alcuni periodi ho preferito il cedro, in altri l’abete. Le scelte sono influenzate sia dallo stato d’animo personale dei vari momenti sia dal repertorio affrontato. Ultimamente, eseguendo molta musica da camera, sto suonando con una chitarra in double top in abete di Leonardo De Gregorio, che da qualche anno è il mio liutaio di riferimento, ma amo suonare anche con la mia Gallinotti in abete del 1958 che è anche il mio anno di nascita.

W.M: Cosa pensa degli attuali programmi ministeriali? Andrebbero rivisti? Ci dica la Sua.

F.L.: Il discorso è, ovviamente, molto complesso. L’introduzione di nuove discipline e argomenti di studio all’interno dei corsi di strumento contribuiscono certamente a formare la personalità e la cultura del musicista in modo globalmente più solido e aperto rispetto al passato. Dall’altra parte, inevitabilmente, il tempo che lo studente può dedicare allo studio dello strumento si è ridotto notevolmente. Trovare il giusto equilibrio tra i due aspetti è l’unica strada percorribile.
Ma il cambiamento più radicale rispetto al vecchio ordinamento è proprio la figura del “Maestro” di strumento principale. Prima rappresentava la vera e quasi unica guida nell’intero percorso di apprendimento, alla quale si rimaneva legati per i dieci anni di frequenza. La sua aula era considerata dagli studenti una seconda casa dove ci si radunava per ore ascoltando tutte le altre lezioni in attesa della propria. Ora l’insegnamento è decisamente più variegato e frazionato tra vari “Professori” divisi sia tra i vari gradi di studio (i vari corsi di base, Licei musicali, Conservatori) sia anche all’interno dello stesso Conservatorio. Questi “frazionamenti” e “varietà” possono essere portatori di negatività o positività a seconda di come vengono gestiti.

W.M: Ha citato la figura del Maestro. Secondo Lei quali sono le qualità di un buon Maestro?

F.L.: Potremmo parlare all’infinito di questa figura. Ad esempio, il buon Maestro può limitarsi ad insegnare esclusivamente la musica e lo strumento o deve accompagnare l’allievo anche oltre? Per circoscrivere la risposta alla musica potrei dire che al Maestro sono indispensabili tre caratteristiche: Conoscenza, Empatia e Sensibilità. La conoscenza di ciò che deve insegnare è ovviamente indispensabile ma affinché il sapere possa essere trasmesso in modo efficace è necessaria l’empatia, cioè la capacità di entrare in comunicazione con l’interiorità dell’allievo comprendendola ma, nello stesso tempo, rimanendone distinto. La sensibilità è indispensabile per dosare la trasmissione della conoscenza. Il docente non deve necessariamente esporre all’allievo tutto il proprio sapere su una determinata questione appena questa si presenta. Deve invece percepire cosa dire e, soprattutto, quando dire. Troppe informazioni, o informazioni date nel momento o nel modo sbagliato, rischiano di non essere assimilate dall’allievo, di essere accolte in modo distorto o di bloccarlo. Sarebbe auspicabile far crescere la conoscenza all’interno della personalità dell’allievo limitandosi a piantarne i semi e a nutrirli facendo in modo che, alla fine del percorso, l’allievo sia diventato il maestro di se stesso.

W.M.: Come vede il futuro della ns. amata chitarra classica?

F.L.: Vedo tanto entusiasmo, energia, capacità e preparazione nelle nuove generazioni, per cui sono decisamente ottimista.

W.M.: Nel ringraziarla per la disponibilità, Le auguro tanta buona musica.

Nota: Lasciamo ai lettori il link per ascoltare il Suo cd Promenade sulle varie piattaforme: https://music.imusician.pro/a/60Vr31D_/promenade/
Chi preferisse ascoltare gli stessi brani nei video ecco il link della playlist di Youtube: https://www.youtube.com/playlist?list=PLphIUnC9AnZnAymMayzyRkuWe4bcrEfq-