Chernihiv, la città che ha fermato i russi


La città di Chernihiv (si pronuncia Chernigov, con l’accento sulla i) è soltanto a ottanta chilometri confine con la Russia e l’invasione da nord russa l’ha investita già nei primi giorni di guerra. Il 24 febbraio, nel pomeriggio, le prime cannonate risuonavano ai margini della città e la notte successiva tutta la popolazione la passò nelle cantine o nei rifugi.
Nella testa di Putin questa doveva essere una guerra lampo ed era prevista una manovra a tenaglia verso Kiev per chiudere la capitale in una sorta di assedio e farla capitolare in poco tempo. Per questo motivo le truppe di Mosca non si sono fermate: non c’era tempo per assoggettare la città al loro pieno controllo; ci avrebbero pensato dopo, con tutta calma.
Così nel frattempo due terzi dei trecentomila abitanti hanno avuto la possibilità di fuggire, chi in auto, chi con altri mezzi. Alcuni, soprattutto gli anziani che non erano in grado di affrontare un lungo viaggio verso la Polonia o l’Ungheria, si sono rifugiati in campagna, nelle fattorie dove era anche più facile trovare cibo e riparo. Ai russi sembrava non interessare né la città né la sua provincia. Poi però i militari russi ci hanno ripensato, l’operazione speciale che doveva portare alla capitolazione del Paese ha rallentato e col tempo si è trasformata in una guerra di logoramento, così hanno deciso che non potevano lasciarsi alle spalle un’area così grande non ancora sotto il loro controllo. Così è cominciato un assedio che ci riporta ai tempi di Sarajevo: dentro la città i civili, tutt’attorno una forza militare schiacciante che ogni giorno bersaglia i palazzi e le infrastrutture con missili e bombe. Anche a grappolo. Anche al fosforo.
I russi isolano la città e provano a entrare, metro per metro. Le forze ucraine sono occupate a combattere nelle aree a nord-ovest di Kiev e le perdono una dopo l’altra, Hostomel, Irpin, Bucha (le stesse dalle quali sono poi arrivante le immagini dei massacri della popolazione civile). Nessuna speranza quindi di ricevere aiuti. Così la gente ha iniziato a vivere in catacombe e in rifugi di fortuna, spesso scavati sotto le macerie di palazzi crollati. Il novanta per cento delle persone in questa città è di etnia e di lingua russa, ma non hanno nessuna voglia “di fare parte di questa Russia”.
Chi è rimasto ha ricevuto da coloro che sono partiti il cibo rimasto e le chiavi degli appartamenti, così alcuni dei superstiti hanno trovato alloggi confortevoli, anche se provvisori. Alcuni hanno le chiavi di decine di appartamenti e posson prendere tutto il cibo che gli serve. Frigo permettendo, perché quando i russi hanno preso Chernobyl hanno tolto la corrente alla città e molti cibi sono andati in malora.
Chernihiv è rimasta isolata dal 5 marzo, quando un raid aereo russo al sesto tentativo ha fatto saltare il ponte su fiume Desna che bagna la città. I genieri ucraini avevano salvato questo ponte mentre hanno distrutto tutti gli altri per rallentare l’avanzata dei russi. Per un po’ la gente ha provato a uscire in macchina attraverso i campi, ha funzionato quando faceva molto freddo e il terreno era gelato ma poi lo stesso fango che fermava i carri e i camion russi ha bloccato anche questi tentativi.
Gli abitanti di Chernihiv hanno costruito un ponte di barche per evacuare i feriti gravi, ma è finito sotto il tiro dell’artiglieria russa.
Entrare era impossibile. Uscire pure. Alcuni convogli ci hanno provato, ma non ha funzionato. Le strade sono costellate di crateri di colpi di mortaio e di cannone. Anche un parlamentare ucraino che con un convoglio di cinque bus ha tentato di sfidare il blocco russo è stato ucciso da un proiettile piovuto sulla strada
Poi, finalmente, i russi si sono ritirati verso il confine a Nord. Hanno distrutto tutte le infrastrutture civili, per costringere gli abitanti alla resa. Prima hanno bombardato l’aquiedotto e la centrale del riscaldamento, che ci vorranno almeno tre anni per rimettere in funzione. Hanno distrutto la centrale elettrica e non c’è stata la luce per tre settimane. Anche i telefoni per molti giorni non risultavano collegati. Non c’era connessione quasi da nessuna parte, soltanto nelle ultime settimane le linee sono di nuovo attive.
L’hotel Ukraine, gli ultimi piani sfondati e fatti sparire da un missile Iskander, è stato colpito perché secondo gli occupanti era una base di combattenti stranieri, mentre in realtà era vuoto.
Davanti a una panetteria si vedono i resti di una devastazione: c’era gente in coda per il pane, è arrivato un missile e ha falciato trenta persone tra morti e feriti. Hanno colpito l’ospedale psichiatrico l’ospedale generale della regione e quello oncologico”. Per non dimenticare nulla, i russi hanno bombardato anche il deposito dei camion della nettezza urbana. Però alcune strade sono pulite. “anno ripreso a pulire appena i russi hanno smesso di bombardare. Non lo fanno per orgoglio,ma perché tutti hanno bisogno di lavorare il doppio, adesso che le famiglie sono all’estero”.
La città è ridotta a un cumulo di macerie. Case, strade, edifici, ponti e biblioteche che non esistono più, inceneriti dai raid aerei
La polizia documenta quotidianamente gli orrori della guerra postando foto delle conseguenze degli attacchi aerei.
Nei raid è stato distrutto anche lo stadio – un tempo intitolato a Yuri Gagarin – dove gioca il Desna, la squadra in cui ha mosso i primi passi uno dei  più famosi calciatori ucraini, Andriy Yarmolenko.
Chernihiv sta ancora resistendo.