L’affair du collier (1a parte)


In un brano, qui pubblicato lo scorso 3 aprile, che racconta le inverosimili peripezie di un inverosimile personaggio, il Conte Cagliostro, viene menzionato, solo di sfuggita, una vicenda, apparentemente banale che, al contrario, contribuì a lesionare la millenaria granitica consistenza della monarchia francese. Potrebbe risultare interessante studiare l’accaduto, con più attenzione.
Nonostante il caldo torrido che opprimeva Parigi, una folla straordinaria si accalcò nella Galleria degli Specchi, intorno a mezzogiorno, il 15 agosto 1785. I cortigiani gareggiavano tra loro in eleganza, per poter partecipare alla celebrazione della messa solenne, in onore della regina. Il Cardinale Louis-René-Édouard de Rohan, principe di Guéménée, con cotta e veste talare, passeggiava nervosamente, pavoneggiandosi, in attesa dei sovrani, quando un lacchè gli comunicò che il re lo attendeva nella Sala del Consiglio. Maestoso, ma con intima preoccupazione, il Grande Elemosiniere si avviò verso l’appartamento reale, accompagnato dal cadenzato fruscio del suo abito di seta. Ad attenderlo, trovò un vero e proprio tribunale. Infatti, Luigi XVI, la sua consorte Maria Antonia Giuseppa Giovanna d’Asburgo-Lorena (più comunemente Maria Antonietta), il Ministro della Maison, Louis Charles Auguste Le Tonnelier, Barone de Breteuil e de Preuilly, il Presidente del Consiglio delle Finanze, Charles Gravier, Conte di Vergennes ed il Guardasigilli, Armand-Thomas Hue de Miromesnil, erano seduti a semicerchio davanti a lui, in attesa.
Sbalordito, per quanto aveva appena appreso, Luigi si era consultato con Vergennes e con Miromesnil, entrambi in disaccordo con Breteuil. Quest’ultimo era favorevole all’idea di un’azione pubblica nei confronti del cardinale, reo di aver insultato la regina e commesso il crimine di lesa maestà, trattando affari a suo nome in maniera irrispettosa, e proponeva che gli venisse inflitta una punizione esemplare. Mentre i suoi due colleghi, più prudentemente, avevano proposto di interrogare Rohan, prima di giungere a qualsiasi decisione. Il re aveva seguito il loro consiglio. Non appena si ritrovò di fronte ai sovrani ed ai tre ministri, il cardinale capì di non essere di stato convocato per discutere il protocollo della santa messa. Il re, che ruppe il glaciale silenzio, gli chiese se mai avesse acquistato dei diamanti dal gioielliere tedesco Charles-Auguste Böhmer. Ricevuta una risposta positiva, volle sapere dove li stesse custodendo. Rohan, balbettando, si disse sicuro che fossero stati consegnati alla regina ed ammise di averli ordinati, secondo i desideri della sovrana, così come aveva letto in una lettera di lei, mostratagli da Jeanne de Saint-Rémy-de Luz de Valois, contessa de La Motte. Maria Antonietta, alzatasi di scatto e rossa in volto per l’ira, gridò, indignata, alla contraffazione, all’inganno. L’alto prelato, incredulo, le rivolse uno sguardo talmente irrispettoso, che la fece arrossire e, non appena Rohan ebbe lasciato la sala, scoppiò in lacrime. Più tardi, confessò a Madame Jeanne Louise Henriette Campan, sua prima cameriera, che un pensiero spaventoso le aveva attraversato la mente, come un lampo. E se tutto quel complotto fosse stato ordito al solo scopo di disonorarla agli occhi del marito? Il cardinale avrebbe potuto sostenere che lei aveva ricevuto la collana…..
Persuaso dalle lacrime della moglie e dalle preghiere di Breteuil, Luigi XVI concordò con l’idea di fare imprigionare il porporato. Il Guardasigilli uscì di corsa dalla Sala del Consiglio ed ordinò a gran voce di arrestarlo. L’ora della messa era passata oramai da parecchio e la folla, che aveva subodorato qualcosa di strano, si aspettava una notizia sorprendente, ma di certo non l’arresto di un principe della Chiesa, con indosso i paramenti sacri, dentro la reggia di Versailles. Era uno scandalo senza precedenti, scoppiato così, alla luce del sole, che avrebbe potuto infangare l’immagine di Luigi e specialmente quella di Maria Antonietta. La monarchia stessa ne sarebbe uscita sicuramente indebolita. Ma ne’ il re né la regina, e neppure Breteuil, sembrarono rendersene conto. Prima di essere preso in custodia, Rohan si piegò, come se si stesse aggiustando il fermaglio della giarrettiera, scarabocchiò poche parole per il suo segretario personale, l’Abate Georgel, e fece scivolare di nascosto l’appunto nelle mani del valletto, che era con lui. Ordinava di bruciare subito le carte più compromettenti. Nonostante fosse stato condotto nel suo palazzo di Parigi, sotto scorta, il cardinale venne lasciato solo per circa un’ora, il che gli diede l’opportunità di continuare a distruggere prove. Quando Breteuil ed il luogotenente della gendarmeria entrarono in casa sua, i soli reperti che riuscirono a porre sotto sequestro, furono quelli che lui stesso aveva ritenuto vantaggioso preservare. Il giorno seguente fu condotto nella prigione della Bastiglia dove, ventiquattro ore dopo lo raggiunse la Contessa de La Motte, arrestata nella sua dimora di Bar-sur-Aube, in alta Champagne-Ardennes. Il Conte, suo marito, aveva avuto il tempo di fuggire. Iniziarono le indagini ufficiali. Il re chiese a Vergennes ed al Maresciallo di Francia, Charles Eugène Gabriel de la Croix, Marchese de Castries, Ministro della Marina Militare, di raccogliere i documenti e di procedere agli interrogatori preliminari. Il Principe de Rohan fu chiaro nel raccontare quanto sapeva della storia. La prima confessione non si allontanò molto dalle ultime deposizioni. La sua immutabile versione dei fatti era precisa. Dichiarò che, nel 1781, la Marchesa di Boulainvilliers gli aveva raccomandato una giovane donna, che aveva salvato dalla povertà e che diceva essere la discendente di un figlio illegittimo di Enrico II di Valois (Re di Francia dal 1547 al 1559). Dopo la morte della sua protettrice, la ragazza, molto spesso, aveva fatto appello alla sua generosità. Infatti, nonostante il matrimonio con un sedicenne, il Conte Nicolas de La Motte, versava ancora in difficoltà finanziarie. A partire dal 1784, una volta trasferitasi a Parigi, lo aveva incontrato spesso e lo aveva convinto di godere una grande amicizia con la regina. Sapendo del suo rammarico, per essere in caduto in disgrazia presso la sovrana, si era offerta di intercedere per lui. E lui si era profuso in generosissimi “ringraziamenti”, quando la donna gli aveva rivelato, che Maria Antonietta aveva accettato di concedergli un incontro segreto nei giardini di Versailles, una notte di luglio, intorno a mezzanotte. Cosa che accadde. All’ora fissata vide effettivamente comparire una donna, che indossava un copricapo nero e teneva in mano un ventaglio, posizionato davanti al volto. Riuscì a scambiare solo poche parole, sottovoce, perché lei se ne andò quasi subito ed improvvisamente. Sicuro, dopo quell’appuntamento segreto, di essere entrato nelle grazie di Sua Maestà, aveva dato a Madame de La Motte cinquantamila lire francesi da devolvere a favore dei bisognosi, ed a novembre, altre centomila lire, pretese per lo stesso fine. Ammise di aver concesso alla nobildonna qualunque cosa lei gli aveva chiesto. Nel gennaio 1785 la stessa gli confidò, che la regina lo voleva promotore di trattative con Böhmer, ed il suo socio Bassange, per definire l’acquisto di un particolare collier, tempestato di diamanti. Ed aveva aggiunto, che la sovrana lo riteneva il solo in grado di condurre, con successo, quel genere di affari. Era andato personalmente dai gioiellieri ed aveva consegnato alla de La Motte le condizioni di vendita scritte, che lei gli restituì , con la firma “Maria Antonietta di Francia”. Quando Böhmer e Bassange gli avevano consegnato la collana, aveva mostrato loro il contratto firmato, peraltro, ancora in suo possesso. Il 1° febbraio aveva portato il gioiello a Madame de La Motte ed un uomo vestito di nero aveva preso in custodia l’oggetto, per consegnarlo alla regina. Parecchi giorni dopo, aveva ricevuto la visita del banchiere della corona, Saint-James, che voleva garanzie sull’avvenuto acquisto del pezzo, per versare un acconto ai due orefici. Era stato lieto di mostrare il contratto a Saint-James. Da quel momento, non aveva più avuto notizie dell’affare, fino al giorno, di giugno, in cui Madame gli aveva spiegato, che la regina giudicava il gioiello troppo costoso ed pretendeva nuovi termini di pagamento. Dopo aver reso quella deposizione, che comprendeva la testimonianza dei due artigiani, il Ministro de Castries chiese al Cardinale se avesse una qualche prova, a conferma delle sue affermazioni. Con celato imbarazzo, Rohan ammise di aver bruciato tutto, ad eccezione del contratto. Anche se lui non lo aveva ammesso, Vergennes e Castries pensarono, che sicuramente Sua Eminenza aveva “opportunamente” distrutto le lettere della regina. In effetti, come avrebbe potuto, quell’uomo così scaltro, evidenziare una simile ingenuità, se non col fatto di aver creduto di essere stato in contatto epistolare con la sovrana? Venne interrogata Madame de La Motte. Tutte le sue dichiarazioni contraddissero quelle del cardinale. Lei non aveva mai parlato con la regina e Rohan non le aveva mai dato una collana. Lei gli aveva semplicemente affidato il compito, su ordine regale, di vendere alcuni diamanti a degli ebrei. Castries e Vergennes rimasero perplessi. Sebbene le prove puntassero inequivocabilmente contro Rohan, non riuscivano a crederlo colpevole di una truffa così gigantesca. Al contrario, Madame de La Motte appariva come una perfetta avventuriera. Era sicura di sé e sembrava capace delle bugie più atroci. Ma in quel momento non esistevano indizi contro di lei. Il contratto, del resto, era scritto a nome del cardinale, il quale era, al momento dei fatti, convinto di aver avuto un incontro segreto notturno con la regina. I due ministri ebbero la sensazione, che quell’indagine, condotta con più determinazione, avrebbe condotto alla scoperta di segreti ignobili.
La regina, dal canto suo, non aveva interrotto le prove della commedia “Barbiere di Siviglia”, scritta da Pierre Beaumarchais, nel 1775, ma la sua mente era occupata da “l’affare del cardinale”. Il 25 agosto, Luigi XVI convocò Breteuil, Miromesnil, Castries e Vergennes, per valutare attentamente la situazione. Pallida e tesa, Maria Antonietta fu presente all’incontro. Era preoccupata del giudizio dei sudditi, i quali avrebbero potuto credere, che lei avesse ricevuto la collana e non l’avesse pagata. Voleva che Rohan fosse a tutti i costi processato.