ANPI: buona o cattiva depositaria dei valori della Resistenza?


Con un’illustrazione di Igor Belansky.

Nell’imminenza delle commemorazioni del 25 aprile, Igor Belansky dedica una sua illustrazione ai fatti accaduti, il 10 settembre 1943, presso Porta San Paolo, a Roma. Qui si consumò l’estremo tentativo dell’esercito italiano, con il supporto da parte di alcuni civili, di evitare l’occupazione tedesca della Capitale. Nella 27° ricorrenza dell’episodio, ampiamente considerato uno dei primi drammatici ed eroici atti della Resistenza, sulle prospicienti Mura Aureliane, l’Amministrazione capitolina pose la lastra lapidea recante l’iscrizione: “ALLA RESISTENZA CHE EROICAMENTE QUI SEGNO’ IL SECONDO RISORGIMENTO IL 10 SETTEMBRE 1943 + S.P.Q.R 10 SETTEMBRE 1970”.

Indiscutibile fu il valore della componente riconducibile alle Forze Armate nella Lotta di Liberazione. Dei 70.000 Caduti, ben 47.500 sono militari. Delle 365 Medaglie d’Oro concesse nel periodo 1943-45, 229 sono attribuite a militari che operanti nelle formazioni partigiane (191 dell’esercito – 18 della marina – 20 dell’aeronautica). A tale determinante contributo, tradizionalmente più attenta ad altre anime del variegato fronte d’opposizione al nazifascismo, la più grande associazione resistenziale, l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) soltanto tardivamente, e non senza difficoltà, giunse a tributare il dovuto riconoscimento.

Nondimeno, l’ANPI ha manifestato talora sufficienza nel trattare violenze postbelliche – dalle circostanziate efferatezze di cui pure si macchiarono membri di formazioni partigiane fino al vasto orrore delle foibe -, in conseguenza delle quali alcuni storici hanno ritenuto plausibile collocare il termine della guerra civile in Italia oltre la fine ufficiale della Seconda Guerra mondiale in Europa.

Venendo ai nostri giorni, l’Anpi ha gradualmente palesato le contraddizioni tipiche di associazione condannata a perdere (soprattutto per motivi anagrafici) la propria vocazione a raggruppare i combattenti della Resistenza o i loro successori diretti (ad esempio, i figli). Tutto ciò, favorendo anche nuove e talvolta improbabili forme di proselitismo, mantenendo così furbescamente elevati gli introiti dovuti ai finanziamenti erogati dallo Stato ai sodalizi combattentistici in base al numero degli iscritti, trasformandosi in un organismo autoreferenziale, ascrivibile a una certa sinistra, facente di fatto politica.

Non stupisce inoltre che, strumentale al prendere posizioni successive su eventi emergenti da scenari nazionali e internazionali, per siffatto organismo sia diventata prassi consolidata l’arrogarsi il diritto di poter distribuire, a proprio insindacabile giudizio, patenti di conformità o meno agli ideali della Resistenza.

Ma veniamo al dunque, ossia il casus belli del momento. Di nuovo al centro di polemiche come spesso negli anni recenti, dichiarazioni provenienti dall’Anpi riguardo alla crisi ucraina, riportate dagli organi stampa nei giorni scorsi.

Pur esprimendo formale diniego innanzi all’invasione russa e alle stragi di civili, come a Bucha – si badi bene chiedendo comunque una commissione d’inchiesta internazionale per accertare quanto effettivamente accaduto -, il presidente nazionale pro tempore, Gianfranco Pagliarulo (ex senatore, una lunga militanza a sinistra, giornalista, classe 1949, quindi primo non partigiano a rivestire la carica), ha contestato l’invio di armi all’Ucraina, sostenendo che “si stia creando a una reazione a catena apocalittica che potrebbe portare ad una catastrofe”. Inoltre, presentando le celebrazioni per il prossimo 25 aprile, lo stesso ha ribadito: “Faremo il possibile per impedire qualsiasi incidente o provocazione. Le bandiere Nato sono inappropriate in questa circostanza in cui bisogna parlare di pace”.

Come se non bastasse, sono rispuntati pure dei vecchi post sui social, risalenti al biennio 2014-2015, in cui Pagliarulo avrebbe bollato il governo ucraino come «il regime nazistoide di Kiev», dovendosi in seguito difendere da accese insinuazioni di essere “filo putiniano”. Per inciso, la stampa aveva già ripreso altre affermazioni secondo cui sarebbe sbagliato paragonare l’attuale resistenza ucraina a quella che fu l’italiana, di avviso apertamente contrario si era però dichiarato qualche tempo prima il “past president” Carlo Smuraglia (unitamente a Liliana Segre), 99 anni in agosto, consigliere regionale Pci e presidente del Consiglio in Lombardia dal 1970, consigliere Csm, senatore Pds. Un monumento vivente della sinistra. E soprattutto partigiano nelle sue Marche e presidente dell’Anpi.

La Festa della Liberazione, insomma, continua a dividere. “Basta retorica: è resistenza anche quella di Kiev”, più o meno questi i toni di disparate reazioni alle posizioni dell’associazione dei partigiani in merito alla guerra in Ucraina. Addirittura, frange della sinistra, le cui radici affondano naturalmente nella Resistenza, non hanno risparmiato pesanti critiche.

Ad esempio, i giornali del 19 aprile, menzionano la profonda indignazione, verso Pagliarulo, di Maurizio Verona, il sindaco di Sant’Anna di Stazzema, la Mariupol d’Italia, lì dove il 12 agosto del 1944 le SS massacrarono in meno di tre ore 560 civili, donne incinte e bambini. Inoltre, nel corso della puntata del 16 aprile di Controcorrente, talk show serale di Rete4 condotto da Veronica Gentili, altrettanto dure erano state le parole di Matteo Ricci (sindaco di Pesaro e coordinatore dei sindaci del Partito Democratico): “Non vedere che in questo momento in Ucraina c’è un popolo che resiste significa non vedere la realtà. Non stare dalla parte del popolo che resiste significa non portare avanti con orgoglio i valori della Resistenza italiana, come io faccio anche da sindaco. È chiaro che ogni momento storico e ogni guerra non è paragonabile ad un’altra e ci sono delle peculiarità, ma quando c’è un invasore ed un popolo oppresso coloro che credono nei valori della Resistenza non sono ambigui, ma stanno dalla parte del popolo che sta resistendo. È evidente – ha concluso con irritazione Ricci – che dentro l’Anpi ci sono posizioni che spesso e volentieri sono posizioni politiche…”.

Oltre a dilaniare evidentemente la sinistra, tutte queste controversie, purtroppo, si innestano inesorabilmente sull’animato dibattito che da lungo divide quanti vogliono imbalsamare la Resistenza da quanti ritengono che debba esser vivificata dall’attualità. Appartengono a questa seconda posizione probabilmente coloro che intravedono attinenze con l’attuale condizione del popolo ucraino, considerando che se i valori della Resistenza sono tali, e profondamente sentiti, vanno visti nell’epoca che si è dato di vivere.

In definitiva, l’ANPI è una buona o cattiva depositaria dei valori della Resistenza?

Di sicuro è una domanda a cui è difficile rispondere. In ogni caso, un’associazione che si professa custode dei valori di una parte (per meglio dire, soltanto…) dei combattenti della guerra civile e della storia non dovrebbe tenere condotte che possono scadere in agitazione politica, rischiando di sbiadire valori a propria volta propugnati dalla nostra Costituzione.

In conclusione, il 25 aprile dovrebbe essere inclusivo, non proprietà privata di qualcuno. In Italia purtroppo si verifica spesso un abuso della storia. Solo dal riconoscimento della verità storica, e nella fattispecie da una corretta storicizzazione della Resistenza, potrà venire la ormai troppo agognata pacificazione nazionale.