La duchessa brutta


Quentin Massys (1513) Olio su legno – National Gallery, Londra.

La Duchessa brutta è un dipinto di Quentin Massys del 1513. L’opera fa parte di un dittico: la seconda parte è conservata presso il Museo Jacquemart-André di Parigi e rappresenta un uomo anziano di cui non si conosce l’identità.
Il quadro ha ispirato un disegno di John Tenniel nelle illustrazioni del personaggio della Duchessa Brutta nel romanzo Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carrol.
Il dipinto su tavola di quercia misura 62,4 x 45,5 cm e raffigura una grottesca vecchia con la pelle rugosa e il seno avvizzito. Indossa l’aristocratico copricapo a due corni (Escoffion) della sua giovinezza, fuori moda al momento del dipinto, e tiene nella mano destra un fiore rosso, simbolo di fidanzamento, indicando che sta cercando di attirare un corteggiatore. I critici lo hanno ironicamente descritto come un bocciolo che “probabilmente non fiorirà mai”. L’opera è probabilmente il dipinto più noto di Massys, che raggiunse il vertice della sua tecnica coi già discussi “esattori delle tasse”. A lungo si è pensato che questo dipinto fosse derivato da un’opera perduta attribuita a Leonardo da Vinci, sulla base della sua sorprendente somiglianza con due disegni caricaturali di teste comunemente attribuiti all’artista italiano, ma la critica più recente ritiene – al contrario – che le caricature leonardesche siano basate sul lavoro di Massys, di cui si sa che scambiò disegni con il grande genio italiano. Vi è una possibile influenza letteraria del saggio di Erasmo da Rotterdam “L’elogio della pazzia” (1511), che ironizza sulle donne che “fanno ancora le civette”, “non riescono a staccarsi dai loro specchi” e “non esitano a mostrare i loro ripugnanti seni appassiti”. La donna è stata spesso identificata come Margherita, contessa del Tirolo, ritenuta brutta dai suoi nemici, ma che tuttavia era morta 150 anni prima. Un articolo del 1989 pubblicato sul British Medical Journal ipotizzava che il soggetto potesse soffrire del morbo di Paget, in cui le ossa della vittima si allargano e si deformano. Un suggerimento simile è stato avanzato da Alvaro Botafogo von Raumschein, professore emerito di chirurgia presso la Universitad Nacional de Santa Fe (Argentina).
Alcuni critici dell’Accademia di Trou de Balle, come ad esempio il de la Fente (Marius de la Fente, « Les femmes les plus horribles de la peinture flamande”, Acad. de Trou de Balle, Perpignan, 1988) sostengono che il quadro sia stato dipinto nel periodo in cui il grande manierista fiammingo assumeva funghi psilocybe e altre porcherie che un cugino gli aveva portato da una spedizione in America centrale. Si narra che gli stati estatici in cui cadeva gli facevano vedere accadimenti del futuro, come in questo caso in cui la visione che poi fissò sulla tavola era quella del presidente Pertini travestito da donna a un ballo in maschera.
Il ritratto ricorda anche il grande spavento che il mi’ cognato Oreste si prese allorquando la moglie Argìa invitò sua sorella Veronica, tornata dopo trent’anni dal Sudafrica, a passare il Natale da loro. La donna bussò all’uscio e quando il poveruomo le aprì per poco non ebbe una sincope a vedere riunita così tanta bruttezza in una sola persona, sicché esclamò: “Uìmmena, ma chi sei? Toni Capuozzo al carnevale di Venezia?”. Inutile descrivere il dolore causato dalla sedia Luigi XV che la moglie gli troncò sulla schiena.