L’amore, la morte e il sogno


Roberto Ferri (Taranto 1949 – vivente).

Le pose sensuali e lo stile caravaggesco dell’artista denotano la sua passione per la rappresentazione pittorica della figura umana in tutte le sue configurazioni, maschile, femminile e di qualsiasi altra natura, ma ancor più evidenziano la passione del Ferri per la topa. Si notino le luminose quanto conturbanti linee che disegnano i tratti soavi del corpo femminile contrapposte ai tratti duri seppure estremamente realistici che definiscono e mettono in risalto la muscolatura maschile.
Il candore dell’epidermide della fanciulla fa da contraltare al rosa carnicino del capezzolo sinistro, il quale è palesato rispetto all’adelfo quasi a sottolineare che in una pervietà ad esso ima giace un cuore pulsante.
La bocca semisocchiusa alla evidente ricerca di un osculare contatto con l’amante ci trasmette la beatitudine di una femmina insensibile al male fisico e morale, pronta comunque alla tenzone amorosa sebbene costretta in ferrei e dolorosi vincoli, specie in un consesso di tal fatta in cui le promiscuità umane si fondono con archetipi dell’immaginario. Il verdastro corpo di arpia, l’umano con la manovella nel cuore, il rettile dietro ad esso e la donna all’estrema sinistra il cui livido colore ne annuncia la sua probabile essenza di cadavere, sono rappresentazioni oniriche e mitologiche che stanno a rappresentare il mondo dell’inconscio dell’artista, in cui i sentimenti più alti vengono sfumati da ricordi e paure ancestrali, quasi a ricordare che anche l’attimo più sublime può essere guastato in un nonnulla.
La scena ricorda, non senza un penoso rammentar di stoviglie infrante, l’occasione in cui il mi’ cognato Oreste scoperse l’allora fidanzata Clorinda, ora maritata Marmugi, mentre si rotolava tra quattro stalloni diversamente indoeuropei suggendo a turno le protuberanze ematoceliche dei quattro mandingo mentre gli altri la zifonavano a dovere ritmando una danza bantù. Al che il cornificato levava il disturbo apostrofando la fedifraga con la frase: “Te sei più budella tu della fogna di Calcutta!”