Ucraina, una guerra tra primari e secondari


L’economia primaria rizza il capo contro la trasformazione, tra missili, gas e carrozzine.

Quando scrivo che questa guerra è fatta col goniometro, non alludo soltanto all’angolo di tiro dei cannoni vecchi e di quelli nuovi, i lanciamissili di terra, su navi o aerei. E anche di missili locali ipersonici Kinzhal (pugnale in russo) che sembra non possano essere fermati a livello di 1000-2000 km, già divenuti spauracchio dell’opinione pubblica come la Bertha, il Parisgeschütz della Prima Guerra mondiale nel bombardamento di Parigi o le V1 e V2 d’hitleriana memoria nel bombardamento di Londra. Vero o falso (il dubbio è assolutamente lecito in era di mediatizzazione spinta e di manipolazione dell’informazione) solo i “4 salvanews” (la ricerca, l’informazione, la cultura e i sensi) ci possono mettere parzialmente al riparo dalle menzogne, fake-news, costruzioni propagandistiche di una parte o dell’altra.
Ma va considerato che è già guerra questa delle notizie. Lo si vide benissimo fin dall’inizio, quando Sky24 sul canale 50 già il 23 febbraio mattina chiuse un’intervista al Generale Bertolini, tenacemente obiettivo malgrado le molte bucce di banana su cui avrebbe potuto scivolare anche un militare espertissimo in quel momento precoce della crisi ucraina, trasfigurando il suo pensiero nei saluti senza lasciargli possibilità di replica, per aumentare il pathos della situazione. Ingenuità del giornalista o schema prefissato? La mia impressione, utilizzando i 4 salvanews sopra, è che ci fosse un mix di entrambi, con prevalenza del secondo…
Ed ecco perché questa guerra, come ogni evento nell’era della Trivoluzione del GlobAntropocene Mediatizzato, deve essere analizzato soprattutto alla luce delle tre rivoluzioni.
E cosa ci dice il modello allora? Che questa guerra è l’espressione chiarissima, a differenza delle altre che ricordiamo dal 1945 in qua, tutte, di un grave (va detto) disallineamento tra poteri politici e poteri economici nella globalizzazione. Prima di tutto, facciamo chiarezza su un punto, dove i poveri filosofi (coloro che osservano leggono e ragionano senza essere sul campo) prendono granchi con morsi di chele anche alla giugulare come Dugin, il filosofo di Putin, dei no-global, degli anti-liberali, degli anti-capitalisti, dei figli dei fiori e di molte altre categorie in parziale e ovvio conflitto tra loro: è solo conoscendo il mondo della economia direttamente, in field, competenza molto rara, che si può capire il senso di una guerra, e di una guerra oggi.
Vediamo se ci aiuta la storia, cosa non ovvia in era rivoluzionaria. È pensiero comune e diffuso, ma molto banale e fragile anche solo filosoficamente, che le guerre si facciano per ricostruire ciò che si è distrutto e così dare slancio all’economia. Una grandissima menzogna storica. Le guerre, almeno dalla rivoluzione scientifica e industriale in poi, non si sono mai fatte per distruggere ciò che Tizio costruì in modo che lo ricostruisse Caio, come forse prima di scienza e industria; in questo frangente, Tizio e Caio si sarebbero messi statisticamente d’accordo: se tu distruggi là e io qua, e poi ricostruiamo, chi ci ha guadagnato (legge dell’economia che si afferma)? Né Tizio né Caio. Allora perché distruggere? Il buon motivo è che dietro alla distruzione, dal 1600 in poi, c’era il rinnovamento (una cosa distrutta era perché era vecchia o brutta o di ostacolo) e, soprattutto, la crescita. Facile immaginare o, meglio “avvertire, sentire” ancora negli anni ’40 che lo sviluppo economico sarebbe stato enorme, e che distruggere non era che un modo per ripartire senza freni nel progredire, trovando slancio nel ripristino per andare più in là, bello o brutto che sia in religione e filosofia. Ed ecco allora la globalizzazione e il suo segno di successo: la moltiplicazione dell’umanità (Antropocene) e Legge di Malthus, che dice che con lo sviluppo dell’economia cresce in rapporto la popolazione (legge verificabile in tutte le popolazioni animali).
Dunque, che guerra è questa. La ricchezza mondiale è all’80% di trasformazione, segnatamente industriale. Non a caso, quindi, i popoli più poveri del mondo sono quelli che vivono di risorse naturali, l’Africa, il Sudamerica e anche la grande Russia (17 milioni di kmq circa e 144 milioni di abitanti) è molto più povera dei manifatturieri. Se facciamo alcune operazioni logiche, possiamo estendere il teorema anche all’opulento Canada, che è molto più ricco perché è legato al mondo occidentale e industriale, secondario, che, con la Democrazia, ha trovato un equilibrio sociale, civile e politico con lo sviluppo economico, quindi ha oggi anche classe media e trasformazione, cioè industria. Il Canada ha un rapporto tra territorio (risorse naturali…) e popolazione, cioè una densità, molto inferiore alla Russia: 10 milioni di kmq circa, più della metà del territorio russo, e circa 38 milioni di abitanti, dunque un quarto della Russia. Ergo? L’efficienza di una economia primaria (includo l’estrattivo e il minerario), come anche quella del Canada, è rilevabile in rapporto alla densità, e allora ecco che il dato sul reddito pro-capite (ragionato attuale su fonti FMI, Banca Mondiale e C.I.A.) di Russia e Canada va da 20 a 45 mila dollari/anno, con un gap di ricchezza enorme.
Ma se il Canada è legato alla filiera industriale e le sue materie prime sono soggette alle regole (diciamo pure un po’ viziate, ma in buona sostanza naturali) della domanda e dell’offerta, integrate nelle catene del valore della economia industriale mondiale, con popoli occidentali abbastanza avveduti, informazione abbastanza libera, una certa capacità di resistenza e di protesta in casi di abusi, in Russia questa integrazione economica non può avvenire: il secondario è troppo poco e, come quasi ovunque, oggi, in epoca Trivoluzionaria, quello che c’è ora può rimanere, ma quello che non c’è non ci sarà. E molto, molto peggio che in altri Paesi, come la Cina ad esempio, che è invece integratissima nelle stesse catene del valore dell’Occidente, essendo terra di industria e quindi di economia secondaria, come è anche l’Occidente, anche se con regole un po’ diverse.
Ma non la Russia. E come può fare a proteggere i “suoi” prezzi di minerali petrolio e gas? Con le armi.
Sempre con beneficio d’inventario, perché quello che succede precisamente all’uomo a tutti è ignoto fuorché a Dio (dal tempo di Adamo ed Eva viviamo, in questo mondo, con sofferenza, in spaesanti sistemi aperti, non in rassicuranti sistemi chiusi, come in teologia e matematica…), la guerra di Putin è governata dall’economia, sia all’andata che al ritorno: lui l’ha infiammata in armi per motivi economici e gli altri la stanno conducendo con tecniche prevalentemente economiche, lasciando le armi agli invasi, l’Ucraina. E quindi, chi la vincerà sarà chi fa meglio i conti economici, anche malgrado i supposti missili ipersonici (c’è chi dice che siano una mezza bufala) e le minacce di guerra mondiale, cioè atomica, più o meno esagerate dalla stampa, sempre interessata all’audience e forse al potere.
E vediamo allora alcuni aspetti del conto della serva:
1. Non si distrugge se oltre la ricostruzione non c’è un vantaggio. Domanda ingenua: ma allora le bombe a Mariupol? Non sono per dare respiro all’edilizia russa o filorussa, sono per mettere cose, paure, minacce su un piatto della bilancia ben più importante… Per questo sono gravi ma calibrate, fatte col goniometro e soppesate accuratamente. Il mito della resistenza del popolo ucraino e l’inefficienza delle forze armate russe rilevano pochissimo. Il problema di Putin è fare il massimo senza sollevare l’onda contraria, il cui confine è ben chiaro: ci si misuri in Ucraina e sui mercati commerciali, finanziari e monetari, ma non ci si tocchi sul vivo del pre-1997, cioè Polonia, Baltici, ed ex Cecoslovacchia nella NATO.
2. Le risorse naturali dell’Ucraina, importantissime. Analogamente a quanto fatto in Africa con altri mezzi, il controllo sulle materie prime è un fatto strategico per l’oligarchia russa. E dire che hanno avuto 30 anni per far qualcosa di buono nell’industria, e per il popolo russo… La cultura del primario (il minerario e l’estrattivo in genere stanno meglio accanto ad agricoltura e allevamento che alle trasformazioni), lo dice la parola stessa, è primitiva. Antropologicamente inferiore, soprattutto se svincolata dal secondario che comunque la induce. Miniere, cioè, non fabbriche automatiche gonfie di tecnologie e di civiltà organizzativa. Pozzi e scavi dannosissimi per l’ambiente e pericolosi per il lavoro, non Kyoto e ISO 9000…
3. Le risorse naturali si difendono con le forze armate. Ricordate in altra epoca una frase emblematica del Duce, che appariva sulle terre primarie? “È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”? Ormai proverbio russo.
4. Il valore delle materie prime della Russia. I 21 oligarchi putiniani (selezione naturale dei 100 oligarchi Eltsiniani del 1992) che tengono un popolo al 50% del suo potenziale di benessere, si vogliono tenere la propria enorme ricchezza, fatta, oltre che dallo sfruttamento privato di miniere e fonti di risorse naturali, anche molto di franchigia di prezzo da semi monopolio sulle risorse naturali, contro le catene del valore di trasformazione occidentali e cinesi, dominate dalla logica della domanda e dell’offerta…
5. Attenuanti. Se è vero che in Russia non hanno fatto quello che avrebbero potuto per creare industria e classe media (ma non era facile in quest’ultimo trentennio: c’è riuscita la Cina, grazie a un mercato interno grande come quello di tutto l’Occidente e un bacino logistico asiatico più che doppio…) è vero pure che la Federazione Russa ha tentato di entrare nella NATO e non le è stato reso facile il cammino. Perché? Per lo stesso motivo per cui Putin fa la guerra ed è indifendibile, malgrado le ridicole voluzioni filosofiche di Dugin “Putin paladino della vera umanità, contro i globalizzatori selvaggi affamatori del mondo, pericolosi liberaloidi…”. Accettare la Russia degli oligarchi nella NATO significava snaturarla: la NATO protegge la nuova forma di ostilità (controllata per quanto possibile e moderata, ma qualcosa scappa sempre) dell’Uomo, che è la concorrenza economica. La NATO difende anche il potere economico ormai consolidato a livello globale, mondiale, quello del secondario, che domina il primario, e che è ormai guidato dal terziario (e, per i gourmet, dal quaternario). Una banda di primitivi, armatissimi oligarchi nel mezzo del panorama di raffinatezza di tutti i tipi della società occidentale? Meglio tenerli fuori e strangolarli, che siamo fortissimi noi in Occidente… Ed ecco che, dopo vari tentativi di strangolamento, l’orso ha reagito. Strangolare non è mai giusto. Ma strangolare un primitivo pericoloso è meno ingiusto, soprattutto davanti all’evidenza primitiva e nauseante di 21 grezzi personaggi, come i peggiori imprenditori nostrani che però almeno sono costretti dalla concorrenza a essere civili, che si appropriano dei beni di 144 milioni. Ci sta… Discutibile marginalmente, ma ci sta. Dunque, Putin ha come alibi il teorema sballato di Dugin no-global anti-liberal, e la difesa dell’economia degli oligarchi, facendola risaltare come l’economia dei russi, ed è falso.

In questo unico senso va inteso “l’attacco all’Occidente”. Che non ci sarà. Perché se Putin si muove troppo viene distrutto e lo sa. Se non si muove troppo gli verrà lasciato un contentino momentaneo, ma poi si lavorerà sul medio lungo per sradicare il suo potere e quello dei primitivi 21 oligarchi e di un’economia, feudale forse quanto quella dell’Occidente ma ben più rozza, e destinata comunque a integrarsi con quella mondiale complessiva sino-occidentale.
Putin ha fatto un errore strategico, ed è un errore umano, suo o dei suoi consiglieri, di anacronismo: ha usato le armi come una volta, anziché la cultura per trovare il miglior vantaggio per tutti. Un vantaggio, tra l’altro, che solo la Russia può: la razionalizzazione logistica dell’economia del continente eurasiatico con la cucitura infrastrutturale tra Orient-express e Transiberiana, cioè una linea terrestre veloce per i traffici intereurasiatici, che oltre che a Vladivostok porti anche verso sud a Pechino e a Shenzen. Su questa connessione, infrastruttura pienamente condivisa da cinesi ed europei, passa la razionalizzazione logistica dell’intera economia mondiale. Questa doveva essere la sua guerra, e avrebbe vinto. Ma non ci è arrivato. Il primario ti lascia primitivo. E così si è rafforzato l’asse atlantico, ritardando un fattore fondamentale di progresso dell’umanità, la razionalizzazione logistica dell’Eurasia. Ha prevalso l’interesse personale e del suo piccolo gruppo di oligarchi nella speculazione sulle materie prime.
Primitivo, e barbaro. Peccato.