Cavie del “falso scopo”


Ora stanno rabbrividendo, ma prima, i grandi nomi di Tinseltow, il dorato e superficiale mondo di Hollywood, da Leonardo di Caprio a Steven Seagal, erano ben felici di “amoreggiare” con il presidente invasore. È stato uno di quei momenti surreali, in cui l’intrattenimento leggero ha fatto la storia. Vladimir Putin aveva cantato, accompagnato da orchestra e choristers, “Blueberry Hill”, la celebre canzone americana degli anni Quaranta, in una serata di beneficenza a favore dei bambini di San Pietroburgo, nel 2010, ed un vasto stuolo di celebrità dello spettacolo internazionale, lì intervenuto, tra cui Sharon Stone, Kevin Costner, Kurt Russell, Goldie Hawn, Gérard Depardieu, Vincent Cassel e Monica Bellucci, lo aveva applaudito come fosse all’asilo. Quando il nuovo zar, nel suo discorso di commiato, aveva detto che “questa musica mi ha dato un brivido”, i pensieri sull’invasione georgiana o sull’avvelenamento di Aleksej Naval’nyj, non sembravano affiorare nella mente di nessuno.
Oggi, assistendo a quanto sta accadendo, quella “allegra” manifestazione assomiglia incredibilmente alla serie dal titolo “Dottor Evil”, dove lo spietato e diabolico personaggio, nella veste di uno scienziato pazzo, rappresenta una parodia di films, come “Si vive solo due volte” e “Licenza di uccidere”, decisamente molto più divertente. E viene da chiedersi, dopo l’aggressione spietata all’Ucraina, gli ospiti di quella ormai lontana serata, come si sentiranno ora, cosa penseranno di loro stessi, probabilmente si vergogneranno? Samuel Aroutiounian, un newyorkese nato nel 1976 nell’allora Repubblica Socialista Sovietica Armena, “specializzato” nel portare i talenti hollywoodiani in Russia, ha, in questi giorni, dichiarato di non ricordarsi di quell’evento.
Agli inizi del 2000, Vladimir Putin si era limitato a “mordicchiare” qualche ex-provincia sovietica ed a “salutare” qualche dissidente, eventi che non preoccupavano la maggior parte dei lettori della rivista settimanale americana “Entertainment Weekly”, interamente dedicata al mondo dello spettacolo ed alle sue vicende gossip. In quel decennio, la Russia, nell’immaginario collettivo statunitense e non solo, sembrava poter costituire un probabile mercato cinematografico emergente. L’attore Jean-Claude Van Damme, nel 2007, sfoderò le sue credenziali di “macho”, confrontandosi con Putin, ad una manifestazione mondiale di Arti Marziali Miste, a San Pietroburgo, mentre Leonardo Di Caprio gli “fece le fusa”, durante un summit sulla “Conservazione dei Grandi Felini”, sempre in quella meravigliosa città, nel 2010.
Nell’espansione della sua egemonia, ormai consolidata, il presidente russo aveva fortemente voluto la realizzazione di un canale televisivo, a favore dell’intrattenimento domestico, il “Channel One”, discendente dell’emittente statale sovietica RTO. Il nuovo player, tutt’oggi ancora attivo (forse) e dai grandissimi ascolti nella programmazione estremamente ricca, di films internazionali, telefilms e soap opere, aveva prodotto “Night Watch” e “Day Watch”, due “blockbusters” globali, che gettavano una lucentezza manichea sulla caotica Russia post-comunista, da lui soffocata all’inizio del XXI secolo. “L’oscurità significa libertà, la luce responsabilità”, aveva detto il regista russo-kazako Timur Bekmanbetov, che raggiunse una discreta fama anche oltreoceano, con pellicole fantasy piene di virtuosismo scenico, fra il “pulp e “Matrix”, aggiungendo che “nella vita reale, Putin è sicuramente un uomo leggero, che sta cercando di sistemare tutto e di organizzare tutto. Ma fa molto male alla libertà”.
Con il senno del poi, la produzione di pellicole di stampo militare “jingoista” (jingoismo, una corrente sciovinista formatasi negli Stati Uniti, sul finire dell’Ottocento), che l’industria cinematografica russa aveva cominciato a produrre, come “La 9^ Compagnia” (2005), “L’Ammiraglio” (2008) e “Stalingrado” (2013), poteva essere valutata come un campanello d’allarme, nell’evidente programma di “stalinizzazione”, messo in piedi da Putin. Di sicuro, attaccato per le aggressioni in Cecenia ed in Georgia, sospettato dalle agenzie di stampa mondiali dopo le uccisioni del dissidente Aleksandr Val’terovič Litvinenko, già appartenente al KGB, e della giornalista russo-americana Anna Stepanovna Politkovskaja, il capo del Cremlino aveva un disperato bisogno di legittimità internazionale. Le foto con le grandi stars e l’ingresso implicito nell’area VIP dell’intrattenimento di massa, avevano contribuito, anche se solo in piccola parte, a mitigare il suo stato di canaglia, agli occhi del mondo. O almeno lui così pensava. Infatti, nel 2014, dopo l’annessione della Crimea e la consapevolezza generalizzata, che non avrebbe ceduto la leadership a breve, Hollywood cominciò raffreddarsi timidamente. Parlando alla nota rivista “Time”, sui rapporti del mondo del cinema americano con il “cattivo zar”, Aroutiounian, aveva dichiarato solo alcuni giorni fa: “I VIP sono molto più preoccupati di non uccidere le loro carriere, che del resto”. Comunque, nell’attuale clima di guerra, che sta scuotendo coralmente anche gli animi dei “lontani” americani, certi confidenziali atteggiamenti, anche se riferiti a tempi passati, non passeranno sicuramente inosservati. Con la sua aria imperscrutabile ed i suoi machiavellici piani geopolitici, Putin rappresenta, già da tempo, per l’opinione pubblica statunitense, il cattivo per eccellenza, quell’Ernst Stavro Blofeld, personaggio immaginario, acerrimo nemico di 007, nato dalla fantasia di Ian Fleming e capo dell’organizzazione criminale SPECTRE. Nella realtà, anche quell’agenzia di cui faceva in gioventù, era un qualcosa di spettrale. Affiancava il KGB e si chiamava GRU (Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie), in italiano “Direttorato Principale per l’Informazione”, braccio militare dei servizi segreti, rimasto sconosciuto al mondo occidentale fino a quando, verso la fine degli anni settanta, un disertore ne rivelò l’esistenza.
Tornando ai nostri attori, quelli che si sono dimostrati i più “affettuosamente” interessati al nuovo imperialista, sono stati sicuramente Gérard Depardieu, Mickey Rourke, Steven Seagal ed il regista Oliver Stone. Il francese, ad esempio, ha ricevuto, direttamente dalle mani del presidente, il passaporto russo nel 2013, dopo aver criticato il proprio governo per i suoi piani di riscossione. In uno dei loro incontri amichevoli, Depardieu definì la Russia “una grande democrazia”, da cui prendere esempio ed in occasione di un festival cinematografico lettone, nel 2014, in evidente stato di eccitazione nazionalista, si spinse nel dichiarare l’Ucraina “logica parte della Russia”. All’attuale ingresso dei carri armati in territorio ucraino, però, sembra abbia detto: “Sono contro questa guerra fratricida. Fermate le armi e negoziate!”. Si è forse riscattato? Non si sa, staremo a vedere.
Rourke, che non si stupì dell’incursione in Crimea, definì Putin “un vero gentiluomo”, mentre era intento a comperare, in un grande magazzino di Mosca, una maglietta con su il volto del leader russo. Durante un’intervista rilasciata ad un’emittente televisiva, confidò: “L’ho incontrato un paio di volte ed è un “ragazzo” normale, molto figo. Ci siamo subito guardati dritto negli occhi”. Trovata pubblicitaria, infatuazione o solo interesse strettamente personale? Sicuramente, fattore determinante, il fatto di avere una fidanzata russa, Anastassija Makarenko. Del resto, sono sintomatiche le sue parole, pronunciate subito dopo gli inizi del conflitto con l’Ucraina: “È tutta una questione di famiglia. Non me ne frega un cazzo della politica. Non è il mio campo [lett.]”.
Steven Seagal, divenuto famoso, come altri interpreti cinematografici, per una particolare abilità nel campo delle arti marziali, ha ottenuto la cittadinanza russa, nel 2016. Aveva, però, già commentato l’annessione della Crimea come “un evento molto ragionevole”, definendo Putin “uno dei più grandi leader viventi al mondo”. Ora che il suo vecchio amico sta distruggendo l’Ucraina, ha abbassato il suo sostegno, ma solo di poco. “Guardo alla Russia e all’Ucraina come ad una sola famiglia e credo davvero sia stata un’entità esterna che, dopo aver speso enormi somme di denaro in propaganda, abbia spinto i due paesi nel conflitto”, ha dichiarato a Fox News.
Il caso di Oliver Stone, veterano della guerra del Vietnam, è più complicato. Il famoso regista aveva già realizzato, in passato, dei documentari su Fidel Castro ed Hugo Chávez. La sua particolare propensione per le realtà rivoluzionarie, gli aveva fatto intravvedere in Vladimir Putin il prossimo candidato logico. In una miniserie televisiva dal titolo “The Putin Interwiews”, uscita nel 2017 su Showtime, l’importante network televisivo a pagamento statunitense, di proprietà della Paramount Global, Stone, che in questi giorni ha fatto marcia indietro, criticando apertamente Vladimir Putin per l’invasione armata dell’Ucraina, pur continuando ad incolpare il proprio Paese ed i suoi alleati di aver provocato il Cremlino, giustificava apertamente i metodi politici di Putin, sfidandolo, però, con scottanti argomenti, riguardanti la Crimea, la Cecenia, la “democrazia” russa e le interferenze elettorali. Ora, viene da chiedersi se quella serie televisiva, che tanto insisteva sull’equivalenza tra l’espansionismo americano e quello russo, per il “novello zar sovietico” non sia stata un’ampia strategia di disinformazione? Quella cioè di lanciare un osso allettante ai simpatizzanti antimperialisti liberali, per distoglierli dal suo vero obbiettivo, quello di radicalizzare la destra nativista degli Stati Uniti e dell’Europa. Nell’ultima puntata, con uno scioccante colpo di scena, Oliver Stone aveva fatto apparire in lontananza, alle spalle del protagonista, che impersonava il leader imperialista, la tragica immagine del fungo atomico. Putin, durante la proiezione privata in anteprima, sembrava debolmente divertito da quelle immagini di distruzione reciproca. In effetti, nulla è cambiato. Forse è questo, che il “treno” delle celebrità di Mosca ha contribuito a nascondere, fin dall’inizio?
Per Vladimir Putin, si è sempre trattato di una realtà assai più fredda e più dura, e lo sta dimostrando.