PsicologicaMente – Petti di ferro e cuori irritabili


“Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò, andò ad aprire e non c’era nessuno.” (Johan Wolfgang Von Goethe)

Cari lettori,
questa settimana non posso fare a meno di dedicare la nostra Rubrica a qualche riflessione sugli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto, ormai, il mondo intero…
In questi giorni, guardando la tv, ascoltando i notiziari, leggendo i post sui social, innumerevoli pensieri hanno attraversato la mia mente….
Di tutte le immagini di sofferenza, morte e violenza che stanno entrando nelle nostre case è inevitabile soffermarsi sui volti dei soldati, giovanissimi e non, che un destino di nascita ha costretto in queste ore ad imbracciare un fucile e rischiare la propria vita per il più alto e nobile obiettivo di difendere la patria. Dietro quei volti, centinaia sono le famiglie dilaniate dalla separazione e dall’incertezza di potersi riunire… Difronte a tutto questo l’ansia, l’angoscia sale anche da semplici spettatori.
Ho voluto solo provare ad immedesimarmi, a spiegare, lo stato d’animo di coloro che di questa guerra sono i protagonisti, ma come uomo devo ammettere che non ci sono riuscito… Sono sentimenti che credo sia impossibile comprendere ed analizzare se non si provano personalmente.
Allora ho provato a soffermarmi, da terapeuta, sulle conseguenze psicologiche a carico di quelle famiglie, le mogli, i figli dei militari, ovvero coloro che subiscono gli effetti della guerra al pari di chi la combatte.
Spesso sento dire che essere militare è una scelta di vita, una vocazione con la quale si nasce, certo questo è vero ma non si diventa forti da soli, non basta un slancio patriottico o un duro addestramento a trasformare un giovane ragazzo in un uomo dalle spalle forti, è necessario il supporto di chi gli insegni a tenere duro, qualcuno che rappresenti un posto più sicuro di una trincea, dove sperare di poter far ritorno dopo la battaglia: la famiglia.
Le famiglie dei militari sono quelle più sottoposte a stress: il distacco è, ovviamente, sempre percepito come negativo, tende a generare ansia ed un senso di privazione, soprattutto in chi resta a casa ad aspettare. A ciò si aggiunga che spesso simili problematiche vengono taciute per evitare di gravare ulteriormente sulla condizione psicologica di chi, per giuramento, non può sottrarsi ai suoi obblighi, con il risultato di incancrenire sempre di più la taciuta patologia e rendere faticosa anche la fase del “ritorno”.
L’importanza della famiglia e il suo ruolo centrale a sostegno della figura del militare sono storicamente noti, tante sono le canzoni ed i versi dedicati a questo argomento, tra tutte una poesia di Giuseppe Ungaretti, il grande poeta soldato, mi ha sempre affascinato per la semplicità e chiarezza nelle parole, recita così “Sorpresa dopo tanto d’un amore. Credevo di averlo sparpagliato per il mondo”. È evidente come il poeta esprima un concetto ampio quale quello del ritorno a casa e la sua successiva sorpresa nel realizzare che l’amore per i cari sia rimasto sempre lo stesso, nonostante lo scorrere del tempo.
Quella di Ungaretti rappresenta la testimonianza di un uomo che ha vissuto due realtà: quella del campo di battaglia e quella dell’ambiente familiare, quel nido dove ogni soldato spera sempre di potersi rifugiare.
Alla luce di questo ruolo importantissimo, si è parlato, anche nel documento ufficiale dello Stato Maggiore della Difesa, di supporto psicologico offerto alle famiglie quale ausilio per accompagnarle a metabolizzare un lutto o un evento potenzialmente traumatico.
In aggiunta a questo anche per il militare stesso è stata prevista la possibilità di accedere a percorsi riabilitativi al fine di ristabilirsi dopo un incidente, un ferimento, un trauma, il tutto ovviamente col supporto di personale specializzato come psicologi, psicoterapeuti, medici.
Lo scoppiare di una guerra ovvero traumi legati a simili eventi producono un’interruzione improvvisa nel presente delle famiglie, dei militari o di entrambe le parti, offuscano la possibilità di progettare un futuro degno di essere vissuto. In contesti come questi lo psicologo interviene per insegnare a reagire in maniera resiliente a tali situazioni, per ripristinare l’equilibrio e riprendere nella maniera migliore possibile il proprio cammino.
Come dicevamo, i continui addestramenti, l’abitudine e la capacità di affrontare rischi, incertezze e minacce, non risparmia certo ripercussioni a livello emotivo e psicologico: per un militare perdere un proprio compagno equivale a perdere un membro della propria famiglia ed è noto come il supporto psicologico, sociale e familiare acceleri il processo di ripresa.
L’intervento di sostegno psicologico può essere individuale o di gruppo, tuttavia non può essere imposto né può prescindere da una consapevole richiesta da parte della famiglia o del militare. Esso dovrebbe essere garantito, se possibile, da psicologi militari e civili della Difesa o da personale appartenente a strutture convenzionate.
Personalmente ritengo che, soprattutto in ambito militare, il supporto psicologico sia fondamentale per chi parte, e a volte non sa quando farà ritorno, e soprattutto, per chi, con il tempo ha solo imparato ad attendere, non si tratta di “abituarsi”, ma di essere disposti ad aspettare, un’arte che in pochi conoscono e che le famiglie dei militari esercitano da sempre.
Non dimentichiamo, poi, che oltre ai militari ci sono i civili. Vivere in un Paese dove i conflitti sono all’ordine del giorno, dove si è costantemente in allarme per sé e i propri cari, dove non si ha mai un senso di certezza o di tranquillità, provoca in chi riesce a sopravvivere profonde ferite psicologiche che possono protrarsi per tutto il resto della vita.
Studi psicoanalitici effettuati in seguito ai grandi scontri mondiali del passato, hanno evidenziato come i traumi da guerra originino nelle persone gravi disturbi post traumatici da stress anche a distanza di anni.
Abitazioni, strutture ospedaliere, scuole, tutto ciò che di materiale viene distrutto, una volta terminato il conflitto piano piano può essere ricostruito, se però un palazzo può essere rimesso in piedi, forse anche meglio di prima, certo non si può facilmente fare altrettanto con la psiche umana. Non è semplice annullare il trauma di ciò che si è visto con i propri occhi, dimenticare la sensazione di costante pericolo che si è vissuta per mesi, e molto spesso anni.
Bisogna considerare che ogni persona vive ed affronta uno shock diversamente: c’è chi ha maggior capacità di resistenza agli eventi dolorosi e chi meno. Comunque la maggior parte degli individui, in seguito ai traumi di una guerra, sviluppa un disturbo post traumatico da stress più o meno grave. Chi vive in zone di combattimento sviluppa la sensazione di vivere costantemente in pericolo, manifesta episodi di agorafobia, una ridotta capacità ad interagire emotivamente, stati depressivi, disturbi del sonno e ha la tendenza a rivivere con immagini, pensieri e sogni l’evento traumatico. Capita anche che si cerchi di annullare questi disturbi abusando di alcol e droghe o addirittura tentando il suicidio.
Oltre a tutto questo, siamo tutti certamente d’accordo nel ritenere che il trauma più grande della guerra lo subiscono i bambini. Vivere fin dalla tenera età situazioni di pericolo costante, fa sviluppare disturbi dell’attenzione, problemi di concentrazione, cali di memoria, si cresce con una sfiducia dei propri simili e uno scarso senso di amicizia. Inoltre la circostanza che gli adulti non possano provvedere al sostentamento e alle cure dei piccoli, contribuisce a creare nel bambino una sensazione di “tradimento” sicché viene a mancare la fiducia.
Chi poi rimane orfano avrà difficoltà a sviluppare modelli di attaccamento sicuri e crescerà con la paura dell’abbandono. A tutto ciò si aggiunga anche la difficoltà a trovare genitori adottivi o strutture che si prendono cura del piccolo, che non fa altro che bloccare nel bambino lo sviluppo affettivo normale, originando disturbi somatici e depressivi e talvolta alimentando il senso di vendetta e odio.
Insomma la guerra è il peggiore dei nemici del corpo ma soprattutto della mente e, come scriveva Rodari “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.”

Notazioni Bibliografiche:
-“Linee guida sulle attività di supporto morale, psicologico e assistenziale-previdenziale al personale militare e ai rispettivi familiari in caso di particolari eventi”. C. Graziano, Stato Maggiore della Difesa. Ispettorato Generale della Sanità Militare.
-“La famiglia militare è una famiglia come le altre.”, G. Sertorio, M. Nuciari, Anthropos.