Le radici della guerra


Non nascondiamocelo: i corrotti ci sono da tutte le parti. Non ci sono buoni e cattivi, questa guerra e gli otto anni precedenti ce lo stanno insegnando.
Zelenskji è uno di questi corrotti: salito al potere come l’uomo nuovo senza macchia, si è lasciato subito coinvolgere nel malaffare come i suoi predecessori. Oggi gli ucraini si sono stretti intorno a lui solo perché ha dimostrato di avere “le palle”, perché fino a un mese fa lo volevano cacciare. Zelenskji è uno che paga i deputati per farli votare come vuole lui, però nonostante i probabili coinvolgimenti con il figlio di Biden che possiede parecchi gasdotti in Ucraina, oggi è il capo indiscusso della resistenza Ucraina, e probabilmente è bene così.
Putin invece, o non l’avevamo capito prima, o è impazzito. Perché il Putin di otto anni fa, all’inizio della guerra civile nel Donbass non aveva questo piglio, non lasciava presagire delle situazioni o delle minacce di questo tipo. Sapevamo che non si faceva scrupoli di imprigionale o “colonizzare” gli avversari, come se ancora fosse un colonnello della Stasi, ma cosa sia successo dopo non è per nulla chiaro. A mio avviso gli americani sono riusciti a farlo imbestialire, e tanto, e lui ora si trova in qualche modo obbligato a portare avanti le sue ragioni. Certamente lo sta facendo nel modo sbagliato, il più sbagliato possibile, ma è giusto considerare che, mentre gli errori militari sono tutti da attribuire a lui e ai suoi militari, gli errori politici sono stati fatti soprattutto dalla NATO e dagli Stati Uniti. La NATO, infatti, che a suo tempo aveva aperto le porte alla Russia, non ha mai capito che una grande potenza non può accettare che i paesi confinanti adottino una politica contraria alla sua sicurezza nazionale ed in questi casi è sempre accaduto che la potenza dominante schiacciasse le velleità non gradite dei vicini. Una prova? La crisi dei missili di Cuba, che fu scatenata esattamente dalle stesse ragioni. Perché non furono iniziate le ostilità? Perché Kennedy fece un accordo segreto con Krusciov che prevedeva il ritiro bilaterale di missili russi da Cuba e dei missili Jupiter dalla Turchia, che in effetti entro l’anno successivo furono smantellati. Questo accordo doveva rimanere segreto (e fu reso pubblico solo dopo molti anni) perché di fronte al mondo gli USA avrebbero mostrato di massimizzare la loro sicurezza minimizzando quella degli europei.
Come asserisce giustamente il Prof. Orsini della LUISS, le grandi potenze, o i grandi blocchi, dovrebbero avere una o più linee rosse che non devono essere oltrepassate da nessuno. Gli USA hanno una linea rossa in Israele, che infatti è intoccabile. La Russia ce l’ha, lo stiamo vedendo, in Ucraina e in Georgia. La Cina forse un domani l’avrà a Taiwan.
L’Europa occidentale, purtroppo, non ha linee rosse. Nel caso specifico la linea rossa dell’Europa dovrebbe essere quella di rifiutare qualunque politica che metta in pericolo la vita degli europei. Un grave errore è stato quello di non dire agli Stati Uniti: “Non stiamo con voi, siamo alleati, siamo tutti (o quasi) membri della NATO, ma tu non devi permetterti d superare la nostra linea rossa.
Per queste ragioni si può sintetizzare che il grave errore dell’Unione Europea è stato quello di permettere un allargamento delle alleanze a Est, ancor di più perché la questione è stata demandata alla NATO: l’alleanza atlantica, infatti, a differenza dell’UE, non è composta solo da Paesi europei, e USA, Canada e Australia non temono come l’Europa una guerra ai propri confini. Pertanto la questione dell’allargamento prima a Polonia, Ungheria, ex-Cecoslovacchia, Romania e Paesi Baltici, e poi una strizzatina d’occhio a Ucraina e Georgia, è stato un grave errore politico e storico, di cui paghiamo ora le conseguenze.
La Russia, come detto, mantiene la responsabilità militare di un attacco illegale e folle: Putin dice esplicitamente che l’Ucraina è russa, parla di neonazisti come si 45 milioni di ucraini fossero la brigata Azov, mentre manda mercenari ceceni senza scrupoli e la compagnia Wagner a uccidere in un Paese indipendente e sovrano. La sua politica imperialista fa impallidire quella americana del secondo dopoguerra e l’indipendenza del Donbass è stato solo un pretesto per mirare poi alle risorse ucraine, non enormi, ma interessanti.
Ora l’Europa si trova tra l’incudine e il martello (che è un po’ come stare tra Dolce e Gabbana): da una parte Biden che spinge perché i paesi che si affacciano ad Est si diano più da fare, e infatti Germania ha mandato in Ucraina 2800 missili Javelin, un bel numero non c’è che dire, la Polonia un treno di munizioni, e così via. Dall’altra parte cioè Putin, e il timore che a questo punto se la pigli anche con suddetti Paesi, con le repubbliche baltiche e probabilmente con la Moldavia non è così peregrino. Quindi, o lo si ferma (ma questo è un rischio nucleare, lo sappiamo benissimo), o si trovano altri metodi.
A mio avviso si fermerà da solo, perché sommando le tre tornate di sanzioni, i blocchi informatici, quelli finanziari, la cancellazione di tutti i voli da e per Russia e Bielorussia e tutto ciò che ancora l’Occidente gli sta buttando addosso, è probabile che a breve la Russia fallisca. Un quotidiano ha fatto i conti in tasca a Putin: questa guerra gli sta costando 235 milioni di dollari al giorno. Sperava che fosse una guerra lampo e che non desse tempo al blocco occidentale di reagire imponendo sanzioni efficaci e invece si trova adesso piuttosto a mal partito, con una resistenza eroica ed encomiabile, seppur nel medio termine destinata a soccombere, e con un’opposizione interna che si fa di giorno in giorno più aspra. I militari sono demoralizzati (informazione certa, non propaganda): gli avevano raccontato di una specie di scampagnata e adesso molti si trovano in mezzo alla pianura del Dniepr senza benzina, sperduti e con gli Ucraini che li sbeffeggiano chiedendo loro se li devono riaccompagnare in Russia.
I filmati in cui si vedono camion con la Z bianca e il simbolo della Croce Rossa carichi di missili anticarro non hanno fatto bene a quella parte di popolazione russa che ha potuto vederli. Non va ignorato, tra l’altro, che molti russi hanno parenti in Ucraina e viceversa, e il compenso di 60 mila euro che Putin intende dare alle famiglie dei soldati morti suona come un insulto che non fa che far montare la rabbia nelle madri che hanno un figlio al fronte.
Gli oligarchi pare si stiano sfilando, ancor più da quando i loro patrimoni e le loro ville in Occidente vengono sequestrate. La borsa chiusa fino alla prossima settimana è un ulteriore brutto segnale per un’economia che – un tempo in forte ripresa – sta sempre più sprofondando, con i titoli russi ormai classificati spazzatura da tutte le agenzie di rating. E non si capisce quale aiuto, al di là di acciaio e un po’ di tecnologia, possano fornire India e Cina.
Quindi, se non ci pensa il cuoco del Cremino, c’è da sperare che l’Occidente gli fornisca una soluzione onorevole, una exit-strategy che gli consenta di uscire vittorioso senza al contempo danneggiare troppo la già troppo martoriata terra ucraina.