Proviamo a spiegare l’Ucraina


L’Ucraina ha due anime distinte, separate dal corso del fiume Dniepr. Un’anima russa, propriamente russa, di ucraini che parlano russo, che sono di religione ortodossa e che  sono eredi di quella cultura cosacca che non ha mai conosciuto un confine reale fra Russia e Ucraina. Da notare che in russo la parola stessa У-край на vuol dire: presso il confine.
L’altra anima del paese è invece slava e mitteleuropea, asburgica, considerato che a Leopoli furono incoronati ben due imperatori dell’Austria-Ungheria. La Galizia, i Carpazi e tutti i territori fra Polonia e Ucraina esprimono infatti una cultura diversa, fondamentalmente cattolici, si parla ucraino e si avverte da secoli la Russia come una presenza quasi estranea.
Anche se si guarda la carta geografica si nota che l’Ucraina ha la forma di un ponte, quasi un ponte fra due mondi, che ha sempre trovato nella bellissima capitale Kiev  la sua sintesi ideale. Purtroppo questa vocazione di collegamento tra mondi e culture invece di divenire un vantaggio strategico per il paese è diventato nel tempo un grande handicap.
Per quale motivo? Occorre tornare alla fine dell’URSS, quando nascono, nelle repubbliche dell’ex impero, le pseudo-monarchie dei Lukashenko (Bielorussia), degli Aleev (Azerbaijan), dei Nazarbayev (Kazakistan) e altri. A Kiev si instaura un governo di incapaci attaccato alla mammella russa, che però di latte -ll’indomani del crollo sovietico – ne ha ben poco. Il paese si impoverisce, le infrastrutture non reggono, la gente scende finalmente in piazza a chiedere rinnovamento. Sono i giorni di speranza della rivoluzione arancione, la rivoluzione di Maidan, la grande piazza che si apre sulla via principale della capitale, il Kreshatik. La rivoluzione riesce, il governo in carica di dimette, le elezioni vengono vinte da Victor Yushenko, professore, scacchista, persona onesta, ma pessimo politico, e soprattutto, amministratore incapace. Fra i tanti errori di Yushenko c’è quello di mettersi al fianco di una pasionaria dell’estrema destra, Yulia Timoshenko, che contribuirà non poco ad avvelenare l’aria del paese. Il governo Yushenko non funziona, la grivna crolla, la gente continua ad impoverirsi, le grandi speranze rimangono lettera morta. Si torna a votare e questa volta, l’esito del voto dei disillusi ucraini premia Victor Yanukovich, espressione della parte russofona e russofila del paese, fra cui il Donbass appunto, essendo lui stesso nato a Donetsk. Ex malavitoso, uomo controllato dal FSB (il servizio federale di sicurezza russo), estremamente corrotto. Yanukovich organizza feste faraoniche in un enorme villa sopra l’Arsenalnaya, addirittura si fa costruire una piscina così grande che ci fa galleggiare dentro la copia di un galeone spagnolo a dimensioni reali! Tutto questo produce uno stop all’occidentalizzazione del paese che si riavvicina alla Russia. Alcuni impegni come i colloqui per una preadesione all’UE erano stati già presi dal governo precedente, ma Yanukovich li blocca. Questo scatena la rabbia delle generazioni più giovani e della parte ‘asburgica’ del paese, ad occidente del Dniepr. Yanukovich viene rimosso con la forza da frange neonaziste organizzatissime dietro le quali fra gli altri c’è la stessa Timoshenko. Ma Yanukovich era stato eletto democraticamente e quella parte del paese che lo aveva eletto, non ci sta. E’ la contro-rivolta, vengono occupati i municipi di Lugans’k, Donetsk e Sebastopoli.  In questi giorni (siamo nel 2014) Il nuovo governo di Kiev non trova di meglio che inviare in quelle province i carri armati contro una parte del proprio popolo. Contro questa follia Putin vede un’occasione unica: manda mezzi e truppe paramilitari che l’esercito ucraino non ha la forza di sconfiggere e si prende la Crimea senza sparare un colpo.
La situazione si cristallizza e questo status quo viene sancito internazionalmente dagli accordi di Minsk nel 2014. Fino all’altra sera. Aggiungiamo solo che il nuovo presidente Ucraino, che fino a tre anni fa recitava come comico (suona familiare?) sta alla politica come un bazooka sta alla Santa Messa, il che ci porta a capire un po’ meglio come si sia potuti arrivare a questo punto.
La prima considerazione che occorre fare a questo punto è che in situazioni così complesse la ragione e il torto, il male e il bene, non stanno mai dalla stessa parte.
La NATO non può pensare di inglobare territori e paesi che sono al confine dello spazio strategico vitale della Federazione Russa. Né può giustificare la sua esistenza con il solo spauracchio della Russia cattiva.
La Federazione Russa a sua volta non può violare impunemente la sovranità di paesi che sono comunque indipendenti, ne’ può continuare ad inquinare il processo di integrazione europeo, unico argomento che vede convergere gli interessi russi e americani.
Si può ammettere che l’Ucraina non entri mai nella NATO ma non si può costringere nessuno a firmare un accordo scritto sulla testa di uno stato terzo, come vorrebbero i russi.
Gli USA non possono forzare la mano senza capire che i rapporti geopolitici fra Russia e Europa sono molto più complessi e interconnessi di quello che gli americani stessi vorrebbero. A 6000 km di distanza se ne fregano: per loro l’energia non è un problema, per noi purtroppo si.
L’Europa in tutto questo, duole dirlo, non esiste: non riesce a parlare con una voce sola, e c’è da sperare che il canale privilegiato di Macron con Putin riesca a sortire un esito diplomatico fortunato. Intanto le sanzioni suonano come un solletico solo fastidioso all’orso russo che da anni si è preparato spostando gran parte di accordi e interessi ad oriente (leggi: Cina) e diminuendo enormemente il proprio debito sovrano.
Il bene dell’Ucraina sarebbe (sarà) un futuro da stato neutrale: non dico una seconda Svizzera, ma almeno una seconda Finlandia. Ne trarrebbe un enorme giovamento economicamente e politicamente. Potrebbe addirittura diventare un nuovo paradiso fiscale che attirerebbe capitali da ogni parte.
Ma questa ad oggi è fantapolitica. Stando coi piedi per terra ci troviamo di fronte a una crisi che si chiuderà solo con la capitolazione di Kiev e l’instaurazione di un governo fantoccio. Atteso che la Nato non faccia pazzie nel frattempo, ma l’articolo 5 del trattato atlantico non lascia spazio ai guerrafondai.
Speriamo infine che la diplomazia, quella vera e seria, possa lavorare anche nell’ombra, com’è giusto che sia, per portare a una mediazione che scongiuri altro sangue.