Mattarella bis: chi ha vinto e chi ha perso


Analizzare quanto è successo la scorsa settimana a Montecitorio è impresa ardua, al limite delle capacità umane. I commentatori politici si sono profusi in dotte dissertazioni dietrologiche, tutte tese ad interpretare il pensiero e le azioni di questo o quel protagonista dell’elezione presidenziale, e probabilmente se si mettessero insieme tutti i commenti si otterrebbe lo stesso manzoniano risultato di accoppiare a due a due gli opposti pareri, mandandoli alla fine tutti a spasso.
Non v’è, non può esistere, una Verità in politica. Sarà sempre la mia idea contro la tua, e tanto vale anche nel caso delle interpretazioni e delle scelte di ognuno. Ma è comunque opportuno, almeno per non essere in difetto nei confronti di altri opinionisti, cercare una logica in quanto messo in scena dai protagonisti e dalle comparse di questo gioco di ruolo.
Ritengo che giudicare i fatti nel loro insieme sia inutile in quanto non fattibile a causa della complessità dell’evento. Conviene invece valutare le azioni dei singoli per cercare di capire se, come penso, esiste un fil rouge, una trama entro la quale si sono mossi gli attori.
Chi sono allora i protagonisti? Escludiamo il Presidente uscente il quale, poverino, non ha colpe gravi nella vicenda, essendo la sua unica pecca quella di non aver insistito con sufficiente accanimento nella decisione presa di lasciare il Colle. E dire che aveva anche la scusa buona: un contratto di affitto per un lussuoso apparta mento romano che invece ha dovuto a malincuore disdire. Ci mettiamo nei panni della padrona di casa e ci uniamo al suo dolore.
Il primo protagonista che cronologicamente si è affacciato alla scena della vicenda è stato l’on. Berlusconi, il quale è stato lungamente candidato in pectore del centrodestra. Solo il giorno prima dell’inizio delle votazioni il Silvio nazionale ha sciolto negativamente la riserva, richiamandosi a quell’unità del Paese che per la prima volta abbiamo visto stargli così a cuore. Sappiamo che non lo ammetterà mai, ma il suo sogno nel cassetto era in realtà di vedere la propria fotografia nell’ufficio di tutti i giudici della Repubblica e, pur sapendo che gli mancava una cinquantina di voti, stava cercando di addensare intorno a sé tutte le forze del centrodestra, nella speranza di raggiungere questo obiettivo.
Probabilmente, pensiamo noi, il suo piano segreto era: faccio anche il bel gesto e mi faccio da parte, poi quando non sapranno più che pesci pigliare, verso la trentesima votazione mi ripresento con la candida veste di Salvator Mundi e gioco l’asso di coppe. Scopa, primiera, carte e settebello.
E invece la realtà anche questa volta ha superato la fantasia. Peccato, potrà riprovarci se Zangrillo continuerà a tenerlo in piedi.
Veniamo adesso a Giorgia Meloni. Persona la cui integrità morale e politica non è in discussione. Peccato che anche lei, come Marine Le Pen oltralpe, non riesca a superare quelle percentuali di consenso che la proiettino definitivamente verso la stanza dei bottoni. Oggi come oggi ha probabilmente più consensi di Salvini (più di Forza Italia li aveva già dalle ultime Politiche) ed è sicuramente l’elemento portante di un centrodestra in crisi. Ma sa benissimo che da sola non va da nessuna parte, almeno non ancora. Lo stesso naturalmente vale per gli altri due membri della Sacra Triade: Salvini è una Ferrari con tre ruote e Berlusconi la ruota di scorta provvisoriamente montata sul mozzo di trazione.
Eppure la Meloni ha mantenuto in tutta la settimana un atteggiamento fermo e coerente: sapeva che non avrebbe portato a casa alcun risultato ma ha avuto il merito di aver proposto forse il nome del miglior candidato che sia uscito dalle urne: Carlo Nordio. Se Nordio fosse diventato presidente avremmo avuto una vera e propria rivoluzione nella magistratura e anche il ruolo del Presidente della Repubblica sarebbe stato esercitato in tutte le sue forme, come ai tempi di Pertini e di Cossiga. Ma questo per molte forze presenti in Parlamento sarebbe stato funesto, pertanto il nome del grande magistrato trevigiano è stato anch’esso bruciato inutilmente. Eppure ha avuto il merito di proporre un altro nome, quello di Guido Crosetto, che ha incassato ben più dei 63 voti messi a disposizione da Fratelli d’Italia, giungendo alla terza votazione alla considerevole cifra di 114 suffragi, solo 11 in meno di quelli raccolti da Mattarella nella stessa giornata.
Terzo protagonista avrebbe dovuto essere Giuseppi Conte, l’avvocaticchio del popolo, che in realtà non esistendo non ha potuto manifestarsi. Il fatto che Conte non esista è opinione condivisa da molti, primo tra tutti il direttore de Il Riformista, che continua a ripeterlo instancabilmente nei suoi editoriali e in ogni trasmissione televisiva a cui partecipa. In effetti è difficile considerare qualcosa più di un ologramma una raffigurazione che si presenta sugli schermi sempre uguale a sé stessa, con lo sguardo fisso verso il punto di convergenza della prospettiva e solo due possibili espressioni facciali: con cravatta blu o con cravatta nera, per di più con l’audio costantemente disturbato tanto che è impossibile capire qualsiasi cosa dica. Tuttavia alcuni personaggi di altri schieramenti, ad esempio Di Maio dei 5 Stelle, dicono di lui cose e sembra che abbia anche avuto abboccamenti con uomini politici importanti per giungere ad accordi su nomi “inclusivi”, “di alto profilo”, “indiscutibili” e così via.
Fra l’altro pare che molti di questi nomi appartenessero a grandi donne.
Il fatto che nessuno di questi nomi sia mai stato proposto all’assemblea dei Grandi Elettori, è un’ulteriore prova del fatto che sia del tutto probabile che il leader dei pentapitechi davvero non esista.
In ogni dramma (o tragedia, se volete) che si rispetti ad uno o più protagonisti si oppone un antagonista, ovvero l’attore che gioca il ruolo del rompipalle, che milita nel campo opposto, quello che cerca costantemente di disturbare o demolire i piani del protagonista. Il Gian Maria Volontè di Per qualche dollaro in più, il Joker di Batman, il Malcon Mcdowell di Arancia meccanica. Il cattivo, insomma.
Ma in tutti questi esempi l’antagonista gioca un ruolo attivo, propone cose, effettua atti malvagi o controproducenti per i protagonisti. In questa vicenda, invece, l’antagonista è quasi un gregario, una comparsa. È l’Alfred Hitchcock che compare per due secondi vestito da bigliettaio su un tram.
È, per capirci, Enrico ‘Stai sereno’ Letta. Sì, perché durante la passata settimana non ha fatto nulla, non ha proposto nulla. Aveva richiesto che l’Assemblea votasse un personaggio non divisivo, di alto profilo istituzionale, possibilmente donna, e poi non ha proposto nemmeno un nome banale, che so, Rosy Bindi al limite. Notiamo, per inciso, che gli unici nomi femminili sono stati proposti proprio dal centrodestra, ma nessuno di questi è comunque risultato gradito al Signor No del Parlamento italiano e ai suoi leccaterga. Non un solo nome è trapelato da via del Nazareno, limitandosi il segretario Pidiota a cassare senza pietà qualsiasi nome, anche i più qualificati che tutti gli altri proponevano. Ha bocciato Casini, la Casellati, la Cartabia, Gentiloni, Nordio (ovviamente), Cassese e chi più ne ha più ne metta. In realtà il suo è stato un non-gioco, un voler sistematicamente smontare qualsiasi proposta senza peraltro formularne una propria, sapendo che per vendetta sarebbe stata automaticamente affossata.
Tutto ciò ha fatto di lui, agli occhi dei meno scafati, il vero perdente di questa partita. Vedremo tra poco che in realtà non è così.
Renzi questa volta non ha potuto essere protagonista. Non aveva i numeri per essere ago della bilancia né da una parte né dall’altra. Nell’incertezza ha mantenuto un bassissimo profilo (c’era gente nel transatlantico che lo scambiava per Brunetta) e si è limitato a fare battute sui candidati che più o meno gli stavano sull’anima. Una comparsa, non un protagonista.
Veniamo ora a Draghi. Super Mario si è defilato sin dalle prime battute dell’ouverture, prima ancora che il sipario si aprisse sul primo atto. Il suo dichiararsi un semplice fuscello in mano al Volere dei venti dello Stato (fate di me ciò che volete, sarò il nonno di tutti voi) lo ha messo al riparo da voti e impallinamenti prematuri. Per molti commentatori televisivi e della carta stampata era il nome sicuro per succedere a Mattarella. Persino i bookmakers lo davano a solo uno e mezzo. Ma Draghi covava veramente, nonostante tutte le belle parole, il desiderio di salire al Colle sulla Flaminia blu. Peccato che non abbia trovato l’assist giusto al momento opportuno. Sì, perché – come spiegheremo tra poco – la sua tattica era studiata a tavolino e prevedeva che il suo nome saltasse fuori nell’attimo in cui tutti gli sguardi avrebbero dovuto convergere verso l’inquilino di Palazzo Chigi che per l’ennesima volta sarebbe quindi corso a salvare l’Italia. Sarebbe stato il ‘trisalvatore’: prima alla BCE, poi come Premier e quindi come Presidente della Repubblica. Una bella carriera, non c’è che dire.
Ma il diavolo si nasconde nei dettagli, nella fattispecie nella proterva volontà di un capo di partito che assolutamente non lo voleva nel palazzo che ospitò trenta papi e quattro re d’Italia.
E veniamo quindi all’ultimo protagonista: Matteo Salvini, l’uomo che non ne azzecca una. Impacciato, ignorante delle arti diplomatiche, cialtrone negli atteggiamenti di sfottò verso chi lo avrebbe poi forse dovuto sostenere. Si incontra con Conte (se non era un gioco di specchi) e ne parla sottovoce come di un segreto di Stato. Si incontra con Letta e probabilmente giocano a domino invece di decidere checchessia. Va a trovare Cassese e forse quello non lo riceve nemmeno, però il nome viene buttato nell’urna un po’ a caso, come fosse la carta di una caramella.
Si muove, insomma, come un elefante in una cristalleria di Murano e in tuto questo trambusto non si accorge di avere la possibilità di fare un gol a porta vuota.
Gli basta proporre un nome. Uno solo: Mario Draghi.
Avrebbe spiazzato tutti e fatto felice la padrona di casa del Senatore a vita Mattarella.
Eh sì, perché se ci pensate, una proposta così avrebbe spaccato definitivamente il centrodestra: Meloni lo voleva al Colle, Forza Italia assolutamente no.
Ma avrebbe spaccato anche la sinistra: Letta lo avrebbe gradito, ma come si sarebbe comportato con un Conte che assolutamente era contrario? E Di Majo che avrebbe aggiunto alla discussione? E i vari prefissi telefonici tipo Articolo Uno e compagnia perdente?
Sarebbe stato un colpo da maestro, di quelli che, comunque vada, ti fanno triplicare i voti alle prossime elezioni. Poi che Draghi venisse eletto o meno non avrebbe avuto la benché minima importanza. Il risultato politico che Salvini avrebbe messo in berta sarebbe stato di quelli da chapeau.
Così non fu, il che ci fa capire la cifra dell’uomo e quanto poco perdente sia stato in realtà Letta nella sua apparente nullafacenza: ha portato a casa più pesci lui semplicemente guardando il mare rispetto a tutti i pescatori che avevano gettato le reti, anche se ora i suoi lo criticano, ma sono dei criticoni nati, quindi non fanno notizia.
Salvini ha affondato il centrodestra proprio nel momento in cui con la mossa del cavallo avrebbe potuto fare un balzo in avanti, mettere in crisi questo esecutivo, liberare gli italiani dalla pandemia infinita e da uno stato d’emergenza basato sul nulla cosmico e andare alle elezioni con lo stesso umore di Tito tornato a Roma da vincitore. Il ci fa sperare che il timone della barca del centrodestra venga affidato, prima del marzo 2023, ad altre mani, che speriamo femminili.
Ma questa è un’altra storia.