Presidenti, non DRAGHI


Quando questo articolo uscirà, avremo probabilmente un nuovo presidente di questa Repubblica. Ho già fatto capire quanto gradirei una vera, seconda Repubblica, con una profonda riforma costituzionale che sciolga l’attuale architettura di vertice dello Stato Italiano, che ha dimostrato efficienza sì nel salvare le istituzioni ma non la sostanza della Repubblica e della Democrazia: ha prodotto una serie di situazioni in cui le regole classiche di ogni casa, e anche di quella democratica, sono state invertite e anziché dal popolo, dalle fondamenta, quella stessa casa gli equilibri li ha presi dal tetto, appunto il presidente critpo-monarca elettivo previsto dalla Costituzione, con una sensazione d’instabilità sostanziale.
Credo che i tempi siano maturi per una maggiore democrazia, per tornare a lavorare dal basso verso l’alto, a dare al popolo il controllo sui vertici, non ai vertici il controllo sul popolo. Poi, i vertici dovranno fare il loro mestiere, e così il popolo; ma senza la cinghia di trasmissione tra Paese reale e paese legale, popolo repubblicano e Stato, e cioè senza sani organismi dei partiti, ovunque funzionanti nel mondo democratico evoluto, non ci sarà pace tra gli ulivi. E l’Italia è piena di ulivi. Per questo, è molto rilevante che il prossimo presidente della Repubblica Italiana sia qualcuno idoneo alle attuali esigenze e dinamica istituzionale del Paese.
Un paio di passioncelle io ce le avrei, e molti lo sanno, perché in questi mesi di lotteria, iniziati quasi un anno fa con il Governo Draghi, voluto dal cripto-monarca Mattarella, non le ho nascoste. Non si vede all’orizzonte nessun “Gorbačëv” che avvii una perestroika italiana (solo Berlusconi avrebbe potuto mostrare “l’ardire” un po’ eroico e un po’ folle) basata sulle misure democratico-costituzionali delle elezioni dirette da parte dei titolari di questa Repubblica (i cittadini italiani) dei vertici dei 3 poteri dello Stato ristrutturato (Esecutivo, il premier; Legislativo, Parlamento e partiti; Giustizia, presidenti dei tribunali e Procuratori capo). Allora, almeno meglio uno che ne capisca, e che abbia mostrato una vita di dedizione vera alla Repubblica, ancor prima che allo Stato (che ne deve essere l’espressione e non il gendarme cannibale). Mattarella poteva fare meglio (ha dribblato meglio di Sivori le possibili elezioni quando ce n’era motivo) ma si è salvato in extremis con l’avallo degli endorsement europeo-occidentali alla nomina di Draghi, esterni alla Repubblica; il suo governo in effetti ha dato all’Italia qualche tensione prevedibilissima ma anche un poco di serenità e respiro. Perfezione è altro, ma scartato l’andare “a monte”, è stato il minore dei mali. Mattarella, grazie e ciao.
Le passioncelle, allora.
La prima è Sabino Cassese (86 anni, ahimè…). È bravo, serio, un ottimo istituzionalista; capirebbe, se adeguatamente incoraggiato, il progetto di ri-democratizzazione delle istituzioni italiane con la votazione diretta dei vertici suddetti. Mi ha voluto come suo consulente personale ai tempi (veloci, poco più di un anno, 1993-1994), in cui è stato Ministro per la Funzione Pubblica (l’organizzazione dello Stato, in prima sostanza) del Governo Ciampi. L’ho rivisto un paio di anni fa e continua a piacermi, anche se sono passati la bellezza di 30 anni: ho notato un certo irrigidimento ma rimane brillante, serissimo e molto presente su tutta la materia del funzionamento dello Stato. Pur sempre 86 anni…
La seconda è di un profilo molto diverso, anche se figlio della stessa principale temperie, quella del grande tentativo di risanamento degli anni ’90: attenzione, non mi riferisco tanto a Mani Pulite, che ha fatto anche troppo la sua parte, ma soprattutto al clamoroso ciclo della riforma della Pubblica Amministrazione, che partì dalla L. 142 del 1989 e sfociò nell’ultimo tassello dei Decreti Bassanini (Bassanini precedette Cassese alla Funzione pubblica nel governo Amato I) del 2000, ma passando attraverso la grande, favolosa spallata della Legge Delega 421 del 1993 con cui il Governo Amato I appunto, cambiò il volto al nostro Stato sul piano operativo grazie a riforme centrali di Diritto amministrativo. Avete capito. Sì. È Giuliano Amato. Un politico, ma di quelli coi fiocchi.
Quanto interessa a me della sua biografia (oltre all’età, 83 anni, non pochi…) è soprattutto il suo percorso accademico, che è venuto da un parallelo percorso politico nel socialismo riformista anche estremo, ma è sempre stato avveduto di lucido pragmatismo e di profonda consapevolezza istituzionale (non “de noantri”, per intenderci). È stato infatti professore di diritto costituzionale comparato (significa che conosce i vari modelli possibili di Stato democratico…) alla Sapienza dal 1975 al 1997. Ha insegnato anche all’Università di Modena e Reggio Emilia, di Perugia, di Firenze, alla New York University School of Law, all’Istituto Universitario Europeo e, ancora, a Firenze. Attualmente è professore della School of Government presso l’Università LUISS di Roma. Dal 2016 è presidente del comitato scientifico del Cortile dei Gentili, dipartimento del Pontificio Consiglio della Cultura. Tutto molto, molto rilevante. E abbastanza chiaro… Per i più giovani, un paio di pennellate in più: in un’epoca, gli ’80 e anche i ’90, in cui i politici erano più profondi di quelli del terzo millennio, pur coi loro detestabili vizietti di rubare e non solo, Amato era soprannominato “Il Dottor Sottile” per la sua intelligenza istituzionale ed era sempre stato considerato un’anima pura, infatti lo è. È stato lì lì per salvare Craxi, si è saggiamente tenuto a debita distanza da Berlusconi, senza schifarlo, è montato in groppa (dopo il suo primo eroico governo 1992-1993) ancora una volta nel 2000, per completare il lavoro della Riforma con le leggi Bassanini e il celeberrimo Testo Unico che tutti conoscono e che è rimasto il vangelo organizzativo delle Pubbliche Amministrazioni, locali in particolare. Pure sempre 83 anni…
A parte i due vecchietti sopra, che se sopravvivessero lucidi per un settennato andrebbero bene perché no ed eviterebbero rischi come la Casellati e la Cartabia (sì certo ma), ci restano solo confusione e… Casini (66 anni)! E che Dio la mandi buona a questa povera Repubblica.