PsicologicaMente – La rabbia


“Trattenere la rabbia è come trattenere un carbone ardente con l’intento di gettarlo a qualcun altro; sei tu quello che si scotta.” (Buddha)

Cari lettori,
Quest’oggi andremo ad esplorare un sentimento, ahimè, conosciuto a noi tutti: la rabbia.
Espressione inferocita, sguardo cattivo, denti stretti, questo è il volto con cui si presenta un impulso considerato estremo e negativo, la rabbia ci induce a smarrire l’autocontrollo, ci rende autori di affermazioni cattive ed offensive o, peggio, ci istiga ad avere comportamenti aggressivi e pericolosi per noi stessi e per gli altri.
Certo ammetteremo che, per molti di noi, arrabbiarsi è piuttosto facile e frequente, accade soprattutto in famiglia per gli innumerevoli impegni domestici, sul lavoro che ci stanca e ci stressa, per strada dove complice è il traffico e la frenesia della folla, spesso è un sentimento incontrollabile che ci porta a rompere rapporti, amicizie ed anche oggetti.
Eppure parliamo pur sempre di un’emozione umana, la cui esistenza ha comunque un ruolo ed un significato non trascurabile nella nostra crescita.
Spesso mi viene sottoposta la domanda: “a cosa servono le emozioni?” e c’è anche chi si chiede se a volte non sarebbe meglio fuggirle.
In effetti tutte le emozioni che ci capita di percepire sono importanti, non solo perché ci consentono di assecondare e lasciar emergere il nostro inconscio ma soprattutto perché ci garantiscono un contatto col mondo circostante, coinvolgendo in questa relazione anche il nostro corpo e dandoci delle direttive tali da farci comprendere cosa ci sta accadendo.
Non sono poche le persone che non hanno una buona intelligenza emotiva, cioè non riescono ad interagire ed assecondare le proprie emozioni, e perciò riscontrano difficoltà nell’entrare in contatto con se stesse, non riescono a riconoscere alcuni bisogni e quindi soddisfarli o risolverne le relative problematiche.
A fronte di tale confusione potrebbe accadere che un’emozione intervenga al posto di un’altra e che, quindi, la rabbia si trasformi da comparsa a protagonista, divenga una maschera di altre emozioni non riconosciute.
Darwin sosteneva, ed io non posso che condividere a pieno, che le emozioni rappresentano un campanello d’allarme naturale, esse ci avvertono che abbiamo un problema che necessita della giusta attenzione e di una celere risoluzione.
‍Ma allora perché tendiamo a qualificare la rabbia come un’emozione “negativa”? In effetti stiamo discorrendo di un sentimento primordiale, che nasce insieme all’uomo, che è un prodotto dell’istinto di difesa, che è spinto dalla necessità che l’essere umano ha di sopravvivere ed adattarsi all’ambiente in cui è immerso. Ne consegue che la rabbia ha originariamente una funzione adattiva, di supporto per l’uomo e solo se denaturata si trasforma in un’emozione disadattiva.
Ampio è il ventaglio delle possibili ragioni che inducono a perdere la calma, si pensi alla percezione di un ostacolo imprevisto nel raggiungimento di un obiettivo personale, al caso in cui riteniamo che un’altra persona ci abbia arrecato un danno, ovvero ancora quando ci sentiamo incapaci di realizzare qualcosa che fino a quel momento ci appariva di primaria importanza.
Il sentimento analizzato può, così, rivolgersi sia nei confronti di noi stessi, sia nei confronti di altre persone e questo genera in noi una reazione ed un pensiero disfunzionale, quale può essere il rompere un oggetto, esprimersi con grida, con pianto, ecc…
Quando simili impeti rabbiosi si manifestano ripetutamente bisogna immediatamente intervenire perché certamente rappresentano le prime avvisaglie di una profonda sofferenza interiore.
Non è raro che proprio quelle persone che si arrabbiano spesso e in modo particolarmente acceso si rivelano individui spiccatamente fragili e sensibili, magari a loro volta provati da esperienze di perdita, rifiuto, abbandono o violenza.
Tipicamente si tratta di persone che si chiedono continuamente come mai tutti ce l’hanno con loro, oppure perché tutti si comportano male, ovvero ancora perché mai gli altri non li capiscono.
Simili personalità avranno un atteggiamento ostico nei confronti della vita, si porranno in modo negativo difronte ad ogni esperienza ed il minimo segnale di rifiuto o di disinteresse da parte di una persona significativa sarà capace di innescare una sensazione di frustrazione, apatia, tristezza e rassegnazione, che si esprimeranno con atteggiamenti rabbiosi e vendicativi.
‍In effetti, se riflettiamo a fondo, ci rendiamo ben conto che, a farci arrabbiare non è mai un evento in sé, ma ciò che esso rappresenta per noi, il modo in cui lo decodifichiamo e lo interpretiamo.
Se non si riesce a controllare la rabbia è normale anche intendere il comportamento delle persone in senso negativo ed ostile, esasperare comportamenti innocui, giungere a conclusioni affrettate ed infondate, confermare timori del tutto irreali.
Abbiamo già accostato la percezione della rabbia al gesto di indossare una maschera, cioè un oggetto che ostacola la vista, nasconde il nostro volto agli occhi degli altri ma impedisce anche al nostro sguardo di osservare bene la realtà e tutti i suoi dettagli, non favorisce le angolazioni, non lascia penetrare la luce e adombra ciò su cui lo sguardo si posa.
Così quello che accade quando proviamo rabbia è un senso di accecamento, del quale non comprendiamo l’origine e che non ci sentiamo capaci di gestire. Entriamo in un circolo vizioso di sensazioni e comportamenti, meccanismi di pensiero che ci trasformano in vittime delle più grandi ingiustizie senza esserlo veramente, che ci fanno sentire odiati o non riconosciuti nel nostro valore reale.
Ecco che la rabbia diventa una corazza che da un lato ci protegge dagli “attacchi” stranieri, dall’altro nasconde le nostre vere sensazioni.
Potrebbe celare uno stato di depressione reattiva, magari nata a seguito di un fallimento percepito come irrimediabile, vissuto nell’incapacità di trovare soluzioni alternative.
Ancora, dietro la rabbia potrebbe nascondersi un senso di colpa, dovuto alla convinzione di aver causato danno a qualcuno o di non aver rispettato principi morali.
Ulteriormente questo sentimento potrebbe occultare una forma di vergogna, un presagio di minaccia o danno per la propria immagine pubblica, la classica brutta figura.
Tutto questo stato d’animo, può certamente comportare una difficoltà nel rapportarsi con gli altri, tanto da convincersi di vivere relazioni tossiche e sentirsi impossibilitati nel raggiungimento degli obiettivi.
Purtroppo a molti capita di stare meglio sentendosi in colpa, e questo perché, paradossalmente, la sensazione di essere in colpa riesce a dare una parvenza di sollievo, in quanto diventa un modo per veicolare su sé stessi le attenzioni e l’altrui compassione. Abbandonarsi a questa sensazione colposa, il sentirsi prigionieri di un destino avverso, induce a fuggire l’impegno di affrontare e confrontarsi con quella spiacevole emozione e, quindi, impegnarsi nel modificare quei comportamenti di cui non ci sentiamo autori soddisfatti e consapevoli.
‍A questo punto, la domanda fatidica é: come fare per fuggire la rabbia e gestire le emozioni cui essa fa da baluardo?
Prima di tutto direi che, per partire col piede giusto, sarebbe ottima cosa evitare di attribuire sempre la colpa delle nostre sventure e dei nostri stai emotivi agli altri, anche il solo dire “non farmi sempre arrabbiare”, significa addossare la responsabilità di una nostra percezione ad un terzo, ritenere che il problema sia l’altra persona ma la verità è che siamo noi a considerare un dato comportamento intollerabile.
Bisogna soffermarsi ad ascoltare i propri reali bisogni e necessità, chiederci, prima che la rabbia prenda il sopravvento, se davvero l’altro ci abbia mancato di rispetto, abbia travalicato il nostro più intimo confine ovvero abbia leso un nostro bisogno indispensabile.
Sarà bene adoperare una forma di comunicazione assertiva, così facendo, non solo ci si renderà in grado di esprimere all’altro come effettivamente ci sentiamo e quali sono i comportamenti che ci arrecano sofferenza, ma si raggiungerà anche una concreta possibilità di soddisfare le nostre esigenze di benessere psichico.
Molto importante, nella lotta contro la rabbia è ricevere il giusto supporto dalle persone che ci stanno intorno: essere tolleranti, esprimere l’affetto e l’amore che comunque si prova verso la persona rabbiosa possono rappresentare i più validi antidoti contro questa sgradevole emozione. Fare terapia, ed iniziarla anche tempestivamente, poi, diventa un ulteriore supporto e rimedio che si rende, talvolta, addirittura indispensabile.

Notazioni Bibliografiche:
-“Lavorare sulla rabbia”, T. Chodron, Ubaldini;
-“Attaccamento e rabbia. Un’analisi della letteratura psicologica” A. Gorrese, Liguori;
-“Emozioni distruttive. Liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio e illusione”, G. Tenzin, D. Goleman, Mondadori.