Chitarra Classica – L’intervista al M° Piero Viti


Chitarrista napoletano, si è formato sotto la guida dei maestri Stefano Aruta e Angelo Gilardino. Diplomato con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio di Avellino, ha conseguito sempre con il massimo dei voti la Laurea di II livello in “Chitarra del ‘900” (docenti Lucio Matarazzo ed Evy De Marco) e si è perfezionato con Angelo Gilardino (Diploma Triennale di Alto Perfezionamento, Accademia “L. Perosi” di Biella), Maria Luisa Anido, Manuel Barrueco, il Duo Assad, Oscar Ghiglia, Marco della Chiesa d’Isasca (Analisi Musicale, Accademia Musicale Pescarese) e Nuccio D’Angelo (Composizione, “Centro Studi Musica & Arte” di Firenze).
Vincitore di numerosi Concorsi nazionali ed internazionali, ha ben presto intrapreso un’intensa attività concertistica in qualità di solista, al fianco di prestigiose orchestre (Orchestra “Le Stagioni” di Mosca, Orchestra “Chaikowskij”, Orchestra di Stato della Transilvania, “Nuova Orchestra Scarlatti”, Orchestra “B. Maderna” di Cesena, Orchestra “Tartini” di Latina, etc.) e come componente di affermati insiemi cameristici (duo Lombardi-Viti, duo Lambiase-Viti), tenendo concerti per le maggiori istituzioni concertistiche italiane e straniere.
Nel settore della musica contemporanea è primo esecutore e dedicatario di nuovi lavori, di cui ha curato la revisione per note case editrici. Ha inciso numerosi CD per le etichette Nuova Era, Kicco Classic, Whell Records, Konsequenz, Niccolò e Suonare Records, tutti favorevolmente accolti dalla stampa specializzata internazionale.
È docente titolare di Chitarra presso il Conservatorio “N. Sala” di Benevento
Nel 2012 ha istituito nel Conservatorio “N. Sala” di Benevento un gruppo di ricerca dedicato a Ferdinando Carulli, di cui è fondatore e coordinatore scientifico.

W.M.: Salve Maestro, benvenuto e grazie per la gentile disponibilità a questa intervista per “WeeklyMagazine”. Su questo spazio, dedicato alla chitarra ed alla liuteria io ed il ns. comune amico Vincenzo Di Guida, direttore della rivista, ci dedichiamo a diffondere al mondo chitarristico e non, le figure di molti artisti nell’ambito concertistico e nell’ambito della liuteria.

P.V.: grazie a voi per l’invito a partecipare a questa interessantissima rubrica che seguo da tempo! Un caro saluto anche al direttore Vincenzo Di Guida, persona squisita e grande cultore della chitarra e della musica, che ho avuto il piacere di conoscere di persona nell’Autunno Chitarristico che organizziamo nel Conservatorio di Benevento.

W.M. Ci parla dei suoi inizi e del percorso di formazione musicale intrapreso?

P.V.: ho iniziato a studiare la chitarra in giovane età, attratto dallo strumento grazie ad un cugino che la praticava ad “orecchio” come strumento di accompagnamento della musica leggera, eravamo agli inizi degli anni ’70, avevo circa 9 anni, ed era il repertorio così detto “da spiaggia” dell’epoca, comprendente capisaldi di quel tipo di musica come Lucio Battisti, i Beatles, e a seguire i cantautori impegnati, come Guccini, De Gregori, Venditti e i primi gruppi del rock progressivo, la PFM e tutti i grandi gruppi inglesi, e la chitarra – che era ampiamente utilizzata in questo tipo di musica – mi affascinava in quelle vesti. Però, dopo circa un anno di studio del pianoforte, passai subito a studiare la chitarra classica grazie ad un appassionato dello strumento, Generoso Veglione, che veniva da Napoli ad insegnare chitarra in un corso privato presso una struttura sportiva della mia città, Aversa. Gli esordi “classici” furono con il glorioso Metodo di Carulli e con le Lezioni di Sagreras – uno dei testi imprescindibili dell’epoca! – e mi si schiuse subito un mondo musicale nuovo verso il quale mi sentii immediatamente attratto! Poi il caso volle che ad Aversa pochi anni dopo si aprisse un Liceo Musicale, a cui mi iscrissi, dove insegnavano la chitarra dapprima due giovani virtuosi napoletani dello strumento, Vincenzo Cortese e poi Gianni Palazzo, che fortificarono la mia passione per la chitarra dandomi le prime più solide basi tecniche, mentre insegnante di teoria e solfeggio era il M° Antonio Orabona, ottimo musicista, membro di una vasta e valida famiglia aversana di musicisti da generazioni, che mi guidò fino all’esame di solfeggio in Conservatorio, conseguito da privatista al Conservatorio di Napoli. Il M° Orabona fu anche il mio primo mentore, invitandomi ad esibirmi nella prestigiosa stagione musicale da lui diretta in città, la “Pro Arte”, dove tenni giovanissimo il mio primo concerto professionale in un cartellone al fianco di stelle del firmamento musicale classico! Ma le vere svolte nella mia vita chitarristica degli esordi furono due: la prima, l’ascolto di un disco di Segovia nel quale il grande maestro andaluso suonava opere di Bach, regalatomi da mia mamma, insegnante di Lettere, che un giorno tornando da scuola me lo portò in dono e fu per me l’immediata rivelazione di un mondo musicale sublime, un’ideale di chitarra a cui incondizionatamente mi votai, come un obiettivo da perseguire in maniera esclusiva; la seconda, l’incontro come allievo poco dopo con il M° Stefano Aruta, ottimo esecutore e – benché giovane – già affermato didatta dello strumento, pupillo di una figura mitica della chitarra napoletana, Maria Teresa de Rogatis, trasferitasi a Napoli in anziana età dopo una lunga residenza all’estero. Eravamo all’incirca alla metà degli anni ’70, Aruta subentrò nel Liceo Musicale al posto di Palazzo e fu per me subito una figura di riferimento a cui mi affidai con grande passione, grazie anche al grande entusiasmo che sapeva infondere. A lui devo il rigore per la ricerca di un bel suono, di un’espressività e di un fraseggio musicale da perseguire sempre come esigenza primaria del fare musica con la chitarra. Inoltre, con i suoi numerosi allievi napoletani, che lo seguivano in un fervido cenacolo – molti dei quali divenuti degli ottimi professionisti, cito tra i tanti Aniello Desiderio, Clara Campese, Paolo Lambiase, Enzo Amato, Alessandro Petrosino e poi Edoardo Catemario – si instaurò un proficuo scambio di idee e stimoli e una sincera amicizia, mantenutasi duratura sino ad oggi! Sotto la guida di Aruta cominciai a vincere i primi Concorsi e tenere i primi concerti, sempre molto applauditi, e questo alimentò e rafforzò in me lo slancio a dedicarmi allo strumento. Ad Aruta devo anche l’opportunità di aver potuto seguire alcuni corsi di perfezionamento a Napoli con una vera e propria icona della chitarra, Maria Luisa Anido, che mi schiuse le porte a quella saggezza chitarristica antica, d’altri tempi, nella quale si riverberavano i ricordi e gli insegnamenti diretti di Llobet e della scuola di Tárrega, in una nobile e molto espressiva visione dello strumento, che ha anch’essa influenzato le mie direzioni artistiche sulla chitarra. Di questi incontri con l’Anido ricordo anche un prontuario di esercizi, studi e formule tecniche che portava con se manoscritti e che praticava tutti i giorni per tenersi in forma, una sorta di toccasana per lei di lunga vita sulla chitarra, di una disarmante validità senza tanti arzigogoli a cui oggi siamo a volte abituati!
Intorno ai primi anni ’80, sentii, poi, il bisogno di allargare ulteriormente i miei orizzonti, cercando spunti didattici anche in altri docenti. Il successivo incontro con il grande didatta Angelo Gilardino, che conobbi nei corsi estivi di Lagonegro, fu per me illuminante e rappresentò la definitiva svolta nella mia formazione, al punto da decidere di continuare gli studi e il perfezionamento con lui, prima nei celebri corsi estivi di Trivero, sulle Alpi biellesi – nei quali si condivideva insieme a tantissimi allievi provenienti da tutta Europa uno stimolante ed entusiasmante ambiente artistico -, e poi a Biella nell’Accademia “Perosi”, un’istituzione che annoverava tra i docenti, oltre a Gilardino, alcuni esponenti del gotha della Musica Classica. La scelta da parte mia di lasciare Napoli – anche se seguivo i corsi con Gilardino in maniera itinerante, continuando a vivere ad Aversa – e di terminare gli studi con il maestro Aruta, fu agli inizi alquanto sofferta. Il percorso intrapreso con Gilardino portò, però, sin da subito dei nuovi frutti importantissimi per me, aprendo la mia mente ad affrontare lo studio dello strumento con un’ottica a 360 gradi, sia riguardo gli aspetti più squisitamente tecnici, che riguardo i risvolti musicologici ed analitici del repertorio, sotto la guida di un maestro, come Gilardino, vero e proprio punto di riferimento in questo senso, nonché musicista di caratura internazionale dalle ampie conoscenze e vedute. Devo tanto agli insegnamenti di Gilardino e alla sua persona, specialmente per l’importantissimo contributo dato alla mia definitiva formazione, che ha permesso di affacciarmi al mondo del professionismo con un ricco bagaglio di esperienze e contenuti, segnando positivamente la mia successiva carriera! Sono stati quelli gli anni in cui mi sono diplomato presso il Conservatorio di Avellino da privatista, conseguendo il Diploma con il massimo dei voti e la lode, e in seguito gli anni in cui ho vinto il Concorso a Cattedra nel Conservatorio, cosa che mi ha condotto, poi, ad insegnare in Conservatorio come titolare di Chitarra. Ma la sete di conoscenza e di esperienze mi ha ancora guidato a seguire master class con altri nomi importantissimi del panorama chitarristico, per un certo periodo in maniera più assidua con Manuel Barrueco, nei corsi estivi che teneva in Italia a Nettuno, poi con Sergio e Odair Assad e, ancora, con Oscar Ghiglia. La stessa fame di sapere e di conoscenza mi ha poi spinto a studiare Analisi Musicale presso l’Accademia Musicale Pescarese e Composizione Chitarristica con Nuccio D’Angelo (a Firenze, esperienza fantastica!), nonché, in età più matura, quando già lavoravo stabilmente, a rimettermi in gioco ed iscrivermi ai corsi delle Lauree Trienniali e Bienniali istituiti in maniera sperimentale nel Conservatorio di Avellino – nei primi anni 2000 -, il cui docente titolare dell’indirizzo Chitarra del ‘900, da me scelto, era l’amico e grandissimo chitarrista Lucio Matarazzo. Ritornare tra i “banchi” come allievo, sotto la guida di un didatta preparato e scrupoloso come Matarazzo, tra l’altro unitamente a tanti giovani e tanti coetanei amici di sempre, confluiti tutti insieme in questi corsi che erano una vera e propria novità, è stata per me come una vera e propria scarica di energia propulsiva, che mi ha aperto ancora nuovi orizzonti, grazie anche ai corsi complementari di Orchestra di Chitarre, di Musica d’Insieme e di Analisi Musicale, quest’ultimo seguito con la validissima Evy De Marco, con la quale ho anche pubblicato alcune mie tesi, di cui una molto bella sul “Polifemo de oro” di Reginald Smith Brindle.
Vorrei infine ricordare che, poiché all’epoca del mio diploma di scuole superiori (fine anni ’70) la chitarra in Conservatorio era uno strumento ancora non ufficiale, con un corso straordinario che rilasciava solo un attestato di frequenza non equiparato legalmente al diploma, nell’incertezza mi iscrissi anche all’Università, conseguendo la Laurea in Geologia, materia che mi attirava molto e che ho anche affrontato con grande profitto, ma la passione per la chitarra e le affermazioni che man mano si susseguivano hanno, poi, definitivamente ed esclusivamente indirizzato la mia carriera nei confronti della chitarra!

W.M.: Lei svolge un’intensa attività concertistica sia in ambito solistico che non. Spesso in duo con la chitarra (P. Lambiase) che con il flauto (S. Lombardi). Non poche sono le collaborazioni in altri ambiti musicali (J. Sorrenti) etc. Come si conciliano questi molteplici aspetti dell’attività musicale?

P.V.: ho sempre pensato alla chitarra come uno strumento dalle molteplici anime. La sua storia così lunga e ramificata tra musica colta e popolare l’ha caratterizzata come un ‘unicum’ nel panorama strumentale e forse è stata anche questa la ragione della sua immutata fortuna! Nel campo della Musica classica ho sempre cercato di affiancare l’esperienza solistica, che mi ha portato anche a cimentarmi numerose volte con il repertorio per chitarra e orchestra, con quella della Musica da camera, che annovera per il nostro strumento un repertorio sterminato ricco di capolavori assoluti. Purtroppo, spesso i chitarristi si sentono solo dei solisti, facendo leva unicamente sul repertorio scritto per la chitarra sola. Però è proprio dalla pratica della musica cameristica, che permette di relazionarsi e di mettersi in gioco alla pari con esecutori di altri strumenti, che a volte provengono i migliori insegnamenti e la migliore comprensione del linguaggio comune della musica. I chitarristi solisti spesso operano in maniera solipsistica nella propria “torre d’avorio” perdendo a volte la “bussola” del fare musica secondo una prassi e un linguaggio universale, con il rischio di risultare per i nostri colleghi come una “razza” a parte che parla una lingua a volte incomprensibile. Di qui anche un certo “snobismo” che accompagna a volte nel mondo della Musica i giudizi sulla chitarra, cosa che spesso ci fa innervosire come diretti interessati, ma che a ben vedere avviene a causa proprio delle nostre stesse incongruenze. Alcune scelte di fraseggio e articolazione, a dire il vero a volte bislacche, e anche le “distrazioni” agogiche e ritmiche che costellano spesso le nostre esecuzioni non passerebbero così facilmente in altri contesti! In questo senso, devo, quindi, molto alla “palestra” derivatami dalla continua pratica di musica d’insieme, che ha da sempre accompagnato la mia attività. Ciò mi ha permesso, tra l’altro, di poter contare su delle collaborazioni importantissime con affermati musicisti, esponenti dei più disparati strumenti, cosa questa che mi ha dato anche adito di poter calcare palchi e eventi musicali altrimenti irraggiungibili per me con la sola chitarra!
Altro discorso sono le mie collaborazioni stabili avute sempre in campo cameristico: la prima quella che ho da tanti anni con il chitarrista Paolo Lambiase, amico sin dai miei primi esordi, e la seconda, anch’essa longeva da tanto tempo, con il flautista Salvatore Lombardi. Credo fermamente che una formazione che riesca a, studiare e lavorare insieme per anni, condividendo tante esperienze non solo artistiche ma anche di vita, sia un valore aggiunto nella proposta musicale. Incontrare un partner giusto, con cui instaurare questo magico rapporto di lavoro non è cosa sempre facile (in agguato ci sono sempre le differenze caratteriali, i possibili obiettivi artistici differenti, le naturali insofferenze che possono crearsi con il tempo nella vita di tutti i giorni). Ma quando quest’alchimia si crea e si riesce a perpetuare nel tempo, perché guidata innanzitutto dalla medesima passione per un certo tipo di musica, allora il lavorare insieme, il proporre la propria ricerca e il proprio punto di vista musicale diventa un’esigenza irrinunciabile, primo requisito per giungere a risultati artistici certamente di rilievo. Questo è un po’ quello che è accaduto con Paolo Lambiase, conosciuto, entrambi giovanissimi, al Consorso di Stresa come concorrenti solisti nella stessa categoria. Con Paolo, sin da subito, ho poi trovato anche una grande sintonia nel suonare insieme in duo di chitarre (formazione che entrambi adoriamo sia per la bellezza del suo repertorio, che per la ricchezza delle possibilità espressive offerte dai due strumenti utilizzati insieme!). Era il 1982 quando abbiamo iniziato ufficialmente questo percorso costellato di successi in duo, tra alterne vicende mai fermatosi fino ad oggi, tra cui l’affermazione al secondo posto al celebre Concorso Internazionale di Montélimar in Francia, unica manifestazione mondiale dedicata a questa particolare formazione strumentale, che ha laureato tanti duo di successo, e poi i CD dedicati a Mertz e Giuliani, accolti con grande favore dalla critica, e i tanti concerti tenuti in sedi prestigiose. Più di recente, per alcuni anni abbiamo, poi, condiviso l’insegnamento di chitarra nello stesso Conservatorio, il “Sala” di Benevento, tenendo anche dei corsi di perfezionamento specifici per il duo di chitarre in Conservatorio e in strutture private.
Parabola abbastanza simile, è quella avuta con il flautista Salvatore Lombardi, una delle attuali stelle del firmamento flautistico internazionale, con il quale nel lontano 1985, ancora freschi studenti, abbiamo iniziato una collaborazione anch’essa mai conclusasi fino ad oggi. A presentarci fu un comune amico flautista, Luigi Ottaiano, con il quale avevo tenuto un concerto, e tra noi scoccò subito la scintilla di una perfetta intesa musicale. Con Salvatore abbiamo realizzato dischi di successo, tenuto centinaia di concerti, corsi e conferenze in prestigiose sedi internazionali – tra cui il mitico Conservatorio Tchaikovsky di Mosca! -, partecipato a programmi radiofonici per note emittenti e realizzato un libro unico nel suo genere, pubblicato dalle edizioni milanesi Suonare News, con la storia ed il repertorio del flauto e chitarra (che nel nostro censimento annovera migliaia di lavori scritti per la formazione). Insieme abbiamo poi avuto collaborazioni di rilievo, come quella con Enzo Avitabile e tanti altri noti musicisti, e svolto ricerche specifiche sul repertorio inedito della formazione, realizzando un primo nucleo di pubblicazioni di revisioni di brani Carulli, che hanno rappresentato anche la base per le mie ricerche successive su quest’autore.
Vorrei segnalare anche il bellissimo rapporto di amicizia e di collaborazione artistica che mi lega da alcuni anni con il chitarrista siciliano Nello Alessi, un decano della chitarra in Sicilia, conosciuto quando nel 2006 ebbi l’incarico di insegnamento in Conservatorio a Trapani. Nello era il docente di riferimento in questo Conservatorio e con lui si instaurò una bellissima collaborazione didattica e anche artistica, corroborata dal fervido ambiente che si respirava in quel Conservatorio – a dagli splendidi vini siciliani che Nello da grande estimatore mi faceva apprezzare nei momenti conviviali! -. Abbiamo suonato insieme tantissime volte in duo, varcando anche i confini nazionali, in una feconda collaborazione che dura a tutt’oggi e a cui sono molto legato.
Un altro aspetto che, inoltre, non ho mai tralasciato, è stato poi la possibilità di far interagire la chitarra classica in altri territori musicali, quelli indicati comunemente “cross over”, vuoi per i miei trascorsi anagrafici, che mi hanno fatto vivere in presa diretta l’affermarsi della musica Rock e Pop specialmente nei miei esordi adolescenziali, vuoi per la mia napoletanità musicale, legata alla grande tradizione della canzone partenopea e agli influssi mediterranei presenti nella nostra musica popolare. Quindi ho da sempre coltivato, a volte per solo puro divertimento tra amici e, poi, anche come impegno professionale a latere, la pratica di questi generi “paralleli”, cercando però di poterne coglierne sempre gli aspetti più vicini alla mia modalità di chitarrista “classico”. In questo senso sono nate le mie incursioni nel genere “mediterraneo”, con alcune mie composizioni scritte in questo stile, che hanno avuto anche gli onori delle registrazioni discografiche e delle presentazioni in concerti e programmi radiofonici e televisivi nazionali (spesso utilizzate come colonne sonore di documentari), collaborando tra gli altri con musicisti di grande rilievo, come il percussionista e polistrumentista tunisino Marzouk Mejri, un vero genio, a cui sono legato anche da una grande amicizia nata ai tempi in cui viveva anche lui ad Aversa dopo il suo arrivo in Italia. La vena mediterranea si è, poi, in me amplificata grazie alla frequentazione sin da piccolo dell’Isola di Ventotene (dove avevo parenti), vero paradiso dei nostri mari e mia seconda patria, in quanto mia moglie è originaria dell’Isola e trascorriamo lì insieme tanto tempo, con tanti amici, organizzando anche molte attività musicali. Ma di certo, una delle collaborazioni più importanti in questo ambito di “frontiera” è quello che mi lega da anni alla cantautrice Jenny Sorrenti, sorella di Alan, una musicista straordinaria per le sue stupefacenti doti vocali e compositive, che, nel suo essere idealmente a cavallo tra il nord (sua madre era gallese) e il sud (il padre era invece napoletano), ha trovato nella sua originale e apprezzata proposta artistica un fervido connubio tra la musica popolare, la musica classica e il rock di ricerca. Con Jenny e con il compianto suo compagno, Marcello Vento – scomparso alcuni anni fa -, eclettico ed eccezionale percussionista e batterista storico del Canzoniere del Lazio, ed insieme all’amico Vincenzo Zenobio, valido fisarmonicista e clarinettista, abbiamo realizzato il CD “Burattina”, accolto favorevolmente dalla critica, e tenuto insieme tantissimi concerti, tra cui la partecipazione indimenticabile – senza Marcello che ci aveva purtroppo già lasciati! – al fantasmagorico spettacolo “Napule è – Tutta n’ata storia” di Pino Daniele, come ospiti dello show accanto allo stesso Pino Daniele e tanti altri musicisti storici napoletani, replicatosi per cinque serate di seguito in un Palapartenope di Napoli gremitissimo di migliaia di persone: una sensazione da brividi!
Insomma, si può dire che non mi sono fatto mancare nulla! Ma forse il segreto che mi ha permesso e mi permette ancora di poter spaziare tra esperienze musicali così diverse tra loro è sempre una sana curiosità, una voglia di sperimentarmi, ma anche una “genuinità” nelle mie scelte artistiche, basata sempre su un vero e sincero trasporto e mai figlia solo di un mero calcolo di mercato!

W.M.: Dal punto di vista prettamente didattico, cosa cambierebbe negli attuali programmi ministeriali?

P.V.: cominciamo con il dire che un vero e proprio programma ministeriale oggi, se parliamo del Conservatorio, non c’è più! La riforma ha parcellizzato il corso di studi in più segmenti autonomi, a partire dalle Scuole Medie ad Indirizzo Musicale, per passare ai Licei Musicali e finire nei due Corsi di Laurea, Triennale e Biennale, impartiti nei Conservatori e Istituti Musicali Pareggiati. La logica che ha guidato tutto ciò ha un suo legittimo fondamento, normativo e didattico, ma l’applicazione in molti casi ha lasciato a desiderare! Scuole Medie e Licei Musicali sono stati lasciati correre un po’ in ordine sparso, senza un reale collegamento tra loro, che permettesse un percorso privilegiato almeno per chi si sia particolarmente distinto per meriti e attitudini. È stato tutto indirizzato verso un insegnamento più che altro generalista della Musica, certamente giusto se si punta a una sua più capillare diffusione tra i giovani e ad affermare l’importanza di questa disciplina nella formazione dell’individuo, ma ciò è andato in parte a discapito poi della valorizzazione delle eccellenze, per le quali non resta altro che procedere un po’ per proprio conto nel prosieguo degli studi. Certamente ci sono ottime Istituzioni e ottimi insegnanti anche in questi compartimenti scolastici, ma mi sembra che ancora si debba navigare un po’ a vista per giungere a una filiera lineare e geograficamente omogenea nell’apprendimento strumentale, senza salti ad ostacoli nei passaggi successivi fino al Conservatorio, e di certo i programmi esistenti in questi due particolari segmenti scolastici non mi sembra diano ancora una esaustiva mano in tal senso! Venendo ai Conservatori, che conosco più da vicino, anche qui la riforma ha portato una serie di importanti novità, basti pensare alla introduzione di corsi obbligatori di Teoria e Analisi Musicale, accanto a quelli già collaudati di Storia e Armonia, indispensabili per la formazione di un buon musicista e strumentista. Venendo alla parte più strettamente strumentale, anche parecchi altri corsi che sono stati affiancati a quelli più propriamente di Prassi Esecutiva, mi riferisco ai Trattati e Metodi, Letteratura e Metodologia Strumentale, rappresentano un importante contributo alla conoscenza e consapevolezza da parte degli studenti della reale essenza degli strumenti studiati. Cosa ancora non va? Sicuramente la definizione almeno di una griglia di partenza più condivisa sulla formulazione dei programmi di studio, lasciata oggi alle singole Istituzioni con alcuni margini di libertà, andrebbe meglio chiarita a livello centrale (in questo senso i Programmi Ministeriali del Vecchio Ordinamento, pur con tutte le loro incongruenze e mancanze rappresentavano una maggiore garanzia di omogeneità e imparzialità dei corsi di studio tra chi frequentava un Conservatorio piuttosto che un altro). Diciamo che tutte le Istituzioni in questa riforma si sono affidate ad un buon senso, c’è stata una sorta di consultazione generale, prendendo a modello alcune realtà, ma ancora a mio avviso ci sono delle disparità nei piani di studio che andrebbero almeno approfondite ad un livello più alto. Il risvolto della medaglia è stato però quello che così è stato possibile “svecchiare” parecchio le programmazioni, inserendo nuovi brani ed autori non inclusi in quelle precedenti ministeriali (penso anche alla letteratura per chitarra e orchestra prima non contemplata), adattando le stesse anche ad esigenze più specifiche ed in alcuni casi alle vocazioni delle singole Istituzioni. Poi, come sempre accade, sono i singoli docenti a fare la differenza tra le mura della propria aula!

Il M° Piero Viti con una chitarra Fabricatore

W.M.: Il settecento, l’ottocento, il novecento sono tre secoli in cui la chitarra si è evoluta in maniera significativa ma, nello stesso tempo, ha visto una “frattura” tra il passaggio dall’ottocento al novecento con la scuola di Tarrega. Cosa ne pensa?

P.V.: Il repertorio chitarristico è sterminato e – checché se ne dica! – di grandissimo valore! Se consideriamo quello più specificatamente scritto per lo strumento “moderno”, intendendo per questo quello a 5 e poi 6 corde semplici, affermatosi proprio a Napoli dopo la metà del Settecento, grazie alle famiglie storiche dei liutai Vinaccia, Fabricatore, Filano, e poi diffusosi in tutta Europa, l’arco temporale di questo repertorio si estende dalla Musica Galante tardo settecentesca a quella contemporanea dei nostri giorni. Sono quindi abbracciate varie epoche, con stili e linguaggi del tutto differenti. La stessa chitarra ha subito delle evoluzioni nella sua struttura organologica, che hanno comportato anche variazioni delle sue tecniche esecutive e degli approcci allo strumento, il tutto in un contesto che ha interessato evoluzioni significative anche in altri ambiti strumentali, si pensi ad esempio al pianoforte e agli strumenti a fiato. In questo generale clima di cambiamenti, che specialmente nel corso dell’800 ha interessato la Musica e gli strumenti, la chitarra ha avuto un percorso abbastanza singolare. Le sue trasformazioni strutturali hanno influenzato in primo luogo le modalità di scrittura della sua stessa letteratura, in una maniera a volte più traumatica che in altri contesti. La scuola chitarristica ha, infatti, sofferto di una serie di ‘stop and go’ nella sua evoluzione storica, con la creazione di vere e proprie fratture – si pensi alla rinascita e ricostruzione della tecnica operata dalla scuola tarreghiana nei confronti di quella ottocentesca, passata, poi, in subordine –, che non hanno permesso un’osmosi continua con i principi guida del suo passato, cosa, invece, registratasi, pur nel succedersi delle innovazioni, in altri strumenti. La grande rinascita post tarreghiana, che con Segovia si è trasformata in una definitiva affermazione dello strumento, ha puntato maggiormente sui caratteri acustici peculiari della nuova chitarra, figlia diretta di Torres, costruendo per essa un repertorio ex-novo ad hoc, in parte ignaro o almeno immemore delle acquisizioni avutesi nell’epoca dei fasti sette-ottocenteschi dello strumento. Mentre, ad esempio, per strumenti tipo il violino o il violoncello, le nuove acquisizioni avutesi nel corso dei secoli hanno conservato al loro interno degli elementi “fossili” e degli archetipi riguardanti alcune particolari consuetudini di approccio al repertorio e alla tecnica dello strumento, segnando un percorso per certi versi abbastanza univoco, per la chitarra, invece, si sono registrati dei veri e propri sconvolgimenti, che hanno offuscato non solo parti significative del proprio repertorio, ma le stesse modalità tecniche di approccio ad esso. Se ci pensiamo, non solo la tecnica, ma anche la maggiore coscienza del repertorio primo ottocentesco e di quello romantico è, in fondo, nella chitarra una riacquisizione solo degli ultimi decenni, e di tutto ciò ne risentiamo. La mia passione proprio per il repertorio di queste epoche e l’insofferenza che provo quando esso viene presentato in una maniera iper-modernista, specialmente riguardo le scelte tecniche, per non parlare di quelle di fraseggio musicale (con delle esecuzioni di scale e arpeggi che rasentano le sventagliate di mitragliatrice o l’abbandono continuo a sdilinquimenti iper-romantici fuori luogo e a irrispettose alterazioni agogiche ed espressive dei testi, operati in brani ottocenteschi di tutt’altra fattura!), mi hanno portato a compiere delle riflessioni più accurate in merito. Il recupero dei testi originali, dei trattati dell’epoca e il lavoro di revisione che compio da anni su questo repertorio (ricordo le edizioni pubblicate per la Ut Orpheus di brani di Carulli e di Mertz), mi hanno fatto acquisire nel tempo, infatti, una maggiore consapevolezza, non solo stilistica, ma anche tecnica, di queste musiche, imprescindibile per un approccio corretto ad esse. Il rifarsi ai modelli del canto e del Teatro Musicale, della musica strumentale orchestrale, solistica e cameristica coeva, con le loro prassi e modalità, sono poi la chiave di lettura se vogliamo restituire sulla chitarra il clima espressivo di brani nati sotto la stessa temperie artistica. Il recupero di tecniche chitarristiche che sono state trascurate o in parte dimenticate dalla corrente “modernista” dello strumento, certamente integrate insieme alle nuove acquisizioni di quest’ultime, e la piena consapevolezza dei coevi modelli musicali di riferimento, rappresentano, quindi, la strada maestra per cercare di restituire queste pagine nella loro originaria freschezza e espressività. Ricordiamoci, infatti, che queste musiche erano musiche ”vive” alla loro epoca, riflettevano tutto un mondo di affetti e di consuetudini sociali, che, in fondo, nella loro essenza non sono cambiate di molto rispetto ad oggi, e quindi è nostro compito saperle riportare in luce con tutta la loro freschezza. Naturalmente, va da sé, che è inutile cercare in un certo tipo di repertorio della chitarra il Beethoven, il Mozart o lo Chopin che non c’è, basta solo puntare a restituire le musiche in esso contenuto nella loro giusta luce, sapendo che all’epoca queste musiche non erano affatto considerate musiche minori, come alcuni giudizi musicologici, poi, affermatisi in seguito hanno cercato di presentare!

W.M.: Oltre ad essere un musicista a “360” gradi è anche un felice possessore di bei strumenti di liuteria. Ce ne parla?

P.V. posseggo numerosi strumenti – anche troppi secondo mia moglie, che vede gli spazi liberi in casa sempre più ridursi! – che vanno da quelli moderni a quelli antichi. Suono abitualmente strumenti moderni, che ho spesso scelto anche per soddisfare le esigenze foniche legate alla pratica della Musica d’Insieme, tra essi una bellissima chitarra di Alessandro Marseglia del 2005, con una doppia tavola in cedro all’esterno e abete all’interno (un modello realizzato poche volte da Alessandro), dal suono sontuoso e sempre affidabile, che adopero in maniera preferenziale. Ma vorrei ricordare anche una bellissima chitarra in cedro di alcuni anni precedente, che mi ha accompagnato in giro per il mondo con tante soddisfazioni, uno strumento del compianto liutaio napoletano Ottavio Caiazzo – scomparso prematuramente -, anch’esso di straordinaria bellezza, ma ora in panchina perché bisognoso di una serie di lavoretti di ripristino. A queste due si accompagna, poi, una bellissima Luis Arbàn in abete del 1979, ottimo strumento con il quale ho registrato i miei primi dischi e adoperato specialmente nei miei primi anni di carriera. Accanto a queste posseggo anche alcune chitarre storiche, legate alla mia passione per gli strumenti d’epoca maturata di pari passo con gli approfondimenti di studi che ho condotto sul repertorio ottocentesco. Ad un certo punto mi sono, infatti, convinto che se volevo veramente comprenderlo sarebbe stato utile approcciarlo su strumenti originali. Nel ricercare sul mercato questo tipo di strumenti ho, inoltre, scoperto una mia propensione al collezionismo, che non pensavo avere così forte: tenere tra le mani uno strumento antico di alta fattura, con tutto il fascino della sua storia anche umana stratificatasi (segni, macchie, interventi successivi), è in fondo come rimirare un’opera d’arte, bellissima anche nel solo guardarla! Posseggo, quindi, una bellissima chitarra attribuita a Stauffer o alla sua Scuola, di inizi ‘800 su modello napoletano di Fabricatore, dal suono chiaro e potente, recentemente restaurata da Gabriele Lodi, una Antonio Vinaccia del 1801, restaurata dal liutaio Ciro Marzio, e poi una bella chitarra tedesca, Zumsteeg, di metà ottocento circa, che all’epoca era venduta insieme a partiture e altri strumenti nell’omonimo negozio di musica di Stoccarda di proprietà della famiglia di musicisti e compositori Zumsteeg. Accanto a queste, ho altre chitarre sempre ottocentesche di autori minori, più che altro bei pezzi da collezione! Questa passione per gli strumenti ottocenteschi è trasmigrata anche nei confronti della liuteria di fine ottocento – primi decenni del ‘900. Ho, quindi, acquistato qualche anno fa una bellissima Casa Nuñez degli inizi degli anni’30, restaurata da Gabriele Lodi e poi rettificata da Roberto Sansone, che utilizzo specialmente per il repertorio di quel periodo. Voglio infine segnalare che da alcuni mesi mi è stata concesso in uso dal liutaio napoletano Vincenzo Anastasio, specialista di violini, una splendida Gennaro Fabricatore appartenente alla sua collezione di strumenti, che ho utilizzato parecchie volte in concerto e che sarà protagonista di alcune mie prossime incisioni.

W.M.: Preferisce utilizzare strumenti storici o moderni? Per i legni preferisce l’abete o il cedro?

P.V.: come ho già anticipato nel rispondere alla precedente domanda, uso i miei vari strumenti scegliendoli di volta in volta principalmente in base a cosa dovrò eseguire e a come vorrei eseguirlo. L’uso delle chitarre ottocentesche ha per me comportato un periodo abbastanza lungo di conoscenza e assestamento della tecnica esecutiva prima di potermi cimentare in maniera credibile su esse. Suonare, infatti, uno strumento storico con la tecnica moderna, anche se sopraffina, vuol dire il più delle volte mortificarlo! Una volta stabiliti gli assetti giusti nel toccare le corde, regolato le unghie in base al tipo di tocco da utilizzare (molto differente se parliamo di una chitarra dei nostri giorni o di una di due secoli fa!), scopri, poi, che magicamente queste chitarre, spesso tacciate di avere poco suono, acquistano una voce e una proiezione da non fare invidia a quelle moderne! Specialmente con la Fabricatore, ma anche con quella attribuita a Stauffer, ho suonato in sale molto ampie e capienti, non soffrendo minimamente il confronto con strumenti moderni, e questo mi è stato fatto notare proprio dal pubblico! Chiaramente l’uso di questo tipo di chitarre va ad influenzare la stessa l’interpretazione delle pagine che affronto, e come se esse avessero un’anima sintonizzata su quel tipo di musica per le quale sono state create, suggerendomi delle soluzioni e delle letture che spesso non riesco ad ottenere con la stessa vivezza sugli strumenti moderni. E questo vale anche per la Casa Nuñez, specialmente quando affronto con essa il repertorio più o meno coevo dei primi del ‘900. Comunque non sono un integralista, e quando ho bisogno di soddisfare determinate esigenze foniche o espressive scelgo senza problemi gli strumenti moderni, anche per suonare la musica antica, e quelli che ho in uso non mi lasciano mai a piedi! Venendo al secondo punto della domanda, sui legni non nutro particolari propensioni, cerco quelli che meglio restituiscono il mio ideale di suono, e questo spesso non dipende solo dal tipo di legno della tavola. Mediamente posso dire che su strumenti di concezione e progetto moderno la mia mano sembra adattarsi e rendere meglio con il cedro, ma mi è successo numerose volte che la stessa sensazione d’immediata sintonia mi sia capitata su analoghi strumenti in abete: non nutro quindi pregiudizi, mi affido sempre alle sensazioni reali che uno strumento di volta in volta mi restituisce (mi è anche capitato in passato anche di rifiutare chitarre di ottima fattura, realizzate per me, ma che nelle mie mani non rendevano, costringendomi con disagio ad un ‘tour de force’ per cercare di governarle!).

W.M.: Che tipo di corde utilizza per i suoi strumenti?

P.V.: anche qui mi baso di volta in volta sulle chitarre che adopero. Ho alcuni strumenti, come la Marseglia, tarati già in fase costruttiva per un certo tipo di tiraggio e di corda (essenzialmente corde al carbonio di tiraggio forte per i cantini – di solito uso Savarez Alliance blu o anche La Bella Vivace – , a cui però sostituisco sempre la prima corda con una di nylon sempre a tiraggio forte – di solito una D’Addario Pro Artè -, perché sotto le mie dita la prima in carbonio mi suona quasi come una corda di metallo per chitarra acustica ed è per me una sensazione insopportabile!). Sulle altre chitarre setto di volta in volta le corde, spesso dopo lunghe prove. Ricordo che sulla mia Caiazzo, un consulente non vedente di alcune case costruttrici di corde, dall’orecchio straordinario, mi tarò lo strumento con un set di corde che ne prevedeva una differente per ogni tipo. La provai e devo dire il vero che suonava in maniera straordinaria, mai udita prima, unico difetto, le corde non si vendevano singolarmente ed erano di varie marche, quindi dovevo acquistare sei cambi completi con un costo esorbitante ad ogni cambio: con rammarico ho dovuto centellinare questa scelta solo per grandissime occasioni! Per gli strumenti d’epoca, ma spesso anche per l’Arbàn, invece, uso solo corde di Aquila Corde, delle quali sono anche Endorser, utilizzando come modelli, a seconda delle chitarre, quelle in Nylgut, Ambra ‘800, Ambra ‘900, Alabastro, nonché, a volte, quelle di budello originale della stessa casa e spesso anche dei prototipi che Mimmo Peruffo, proprietario della Aquila Corda e vero genio del settore, mi fornisce in anteprima.

W.M.: Ci parla di qualche progetto che ha in cantiere ora che si sta ritornando alla “normalità”?

P.V.: Uno dei progetti principali a cui da anni mi sto dedicando è quello su Ferdinando Carulli, sul quale conduco ricerche da anni, con pubblicazioni di articoli, incisioni discografiche e di revisioni pubblicate per la Ut Orpheus di Bologna. Inoltre, ho istituito un convegno annuale proprio su questo autore presso il Conservatorio di Benevento dove insegno, penso sia l’unica manifestazione del genere a livello mondiale! Credo che Carulli sia uno dei grandi maestri dell’Ottocento Chitarristico più maltrattato dalla critica e dagli stessi chitarristi, che si basano nei loro giudizi solo su degli stereotipi. Le ricerche che conduco da anni mi hanno fatto scoprire, invece, un autore tra i più interessanti del panorama chitarristico dell’Ottocento, innanzitutto perché esponente a pieno titolo della cosiddetta Scuola Napoletana, non solo per la sua nascita e formazione a Napoli, ma per la piena aderenza del suo stile compositivo alle istanze tipiche di questa celebre Scuola. Nei miei studi – presentati spesso in conferenze in varie Istituzioni mondiali – ho evidenziato le grandi affinità tra Carulli e uno dei maggiori maestri della Scuola Napoletana, Domenico Cimarosa – autore a cui anche mi dedico, specialmente perché nato ad Aversa, la mia città! -. Da Cimarosa, Carulli ha tratto numerosi elementi stilistici e le stesse musiche di Cimarosa sono state spesso trascritte o arrangiate da Carulli in sue pubblicazioni. Queste affinità si leggono specialmente nel periodo napoletano e più in senso lato italiano di Carulli, prima della sua definitiva partenza per Parigi intorno al 1809, purtroppo, però, questo anche il periodo in cui la vasta produzione del chitarrista napoletano – che già in Italia era riconosciuto come un maestro di grande fama – era diffusa in gran parte solo manoscritta, essendo l’editoria italiana dell’epoca molto avara di pubblicazioni esclusivamente strumentali, nonché chitarristiche! Accanto a Carulli, poi, da alcuni anni mi sto dedicando anche al compositore romantico Johann Kaspar Mertz, del quale sempre per le attivissime edizioni bolognesi Ut Orpheus sto curando la pubblicazione della revisione della bellissima raccolta del Barden-Klänge per chitarra sola, a breve uscirà il quarto e ultimo volume previsto.
Poi, vorrei aggiungere, che numerosi sono anche i progetti in cantiere che mi vedono protagonista come organizzatore e direttore artistico, altra mia grande passione che ormai da anni si affianca a quella di didatta e concertista e che in campo chitarristico mi ha valso l’assegnazione nel 2020 del prestigioso riconoscimento della “Chitarra d’Oro” conferitami dal Convegno della Chitarra di Milano proprio per i miei meriti riconosciuti nel campo della diffusione e promozione dello strumento! Tra i progetti in cantiere, la nuova edizione il prossimo ottobre dell’Autunno Chitarristico che da anni coordino artisticamente nel Conservatorio di Benevento (quest’anno alla sua 10a edizione!), manifestazione ormai accreditata come una delle più valide del genere a livello nazionale, comprendente Concerti, Master Class, Conferenze, Spazi Giovani, il Convegno su Carulli e una Mostra di Liuteria, con ospiti internazionali di grande rilievo, e caratterizzata da un concerto di chiusura interamente dedicato alla chitarra e orchestra, grazie all’ausilio della valida Orchestra del Conservatorio “N. Sala” di Benevento, diretta dall’ottimo Francesco D’Ovidio. Poi, la prossima edizione ad Aversa del Premio Internazionale Domenico Cimarosa (quest’anno alla sua 8a edizione), da me ideato e diretto, e il Festival AGIMUS della sezione di Aversa, di cui sono Presidente, e il Festival Ventoclassic, in estate a Ventotene (quest’anno sarà la 18a edizione!), nei quali la chitarra, come mia prassi sarà presente accanto a concerti di Musica Classica dedicati ai più vari strumenti.

W.M.: Eccoci giunti alla fine di questa interessante intervista. La ringrazio ancora per la disponibilità.
Buona musica.

P.V.: Grazie ancora a voi e buona musica e buona chitarra a tutti, nella speranza che al più presto si possa tornare ad una piena normalità nelle nostre vite, non più funestata dalla pandemia!

Di seguito una galleria di immagini, in verità una selezione rispetto alle molte quelle disponibili, che riprendono il M° Piero Viti durante la sua lunga ed apprezzata carriera chitarristica.