PsicologicaMente – L’esperimento di Harlow e la teoria dell’attaccamento


“Anche se particolarmente evidente nella prima infanzia, il comportamento di attaccamento caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba.” (J. Bowlby )

Cari lettori,
Questa settimana focalizzeremo la nostra attenzione su un argomento delicato e, come sempre, degno di nota perché certamente, per un motivo od un altro, sarà familiare a molti di noi, sto parlando dell’ “attaccamento”.
Certo, detta così può non sembrare una materia così familiare, ma è certo che ha investito, investe o investirà le vite di tutti noi, comunque inizierei col definire meglio l’argomento.
Ebbene, con il termine “attaccamento” si intende lo specifico sistema dinamico di atteggiamenti e comportamenti, con un risvolto prevalentemente psicologico, che contribuisce alla formazione di un legame specifico fra due persone, un vincolo le cui radici possono essere rintracciate nelle relazioni primarie che si instaurano fra bambino e adulto.
A tal proposito ho ritenuto opportuno introdurre la tematica ripercorrendo le tappe di uno degli studi in materia tra i più importanti e significativi, parlo dell’esperimento di Harlow, tra i primi a studiare scientificamente ed analiticamente come e da cosa nascono i concetti di attaccamento e amore materno.
Come dicevo, l’esperimento di cui intendo parlarvi è certamente uno dei più famosi della storia della psicologia e dà evidenza di come ed in che misura il contatto fisico sia indispensabile per la crescita e la maturazione del bambino, soprattutto dimostra che è un aspetto vitale tanto quanto la somministrazione di cibo, se non anche più importante.
Ma andiamo a ripercorrere insieme le sperimentazioni messe in campo dallo psicologo statunitense.
Questi decise di pubblicare gli studi compiuti sull’attaccamento e sull’amore materno dandogli un titolo che già da solo ci consente di cogliere a pieno l’essenza ed il significato più profondo che lo studio sottintende: “La natura dell’amore”, sembra quasi il nome di una commedia sentimentale, ed in parte potremmo dire che è proprio così.
In effetti Harlow non ha fatto altro che dimostrare quanto importante sia per i bambini, fin dai primi anni di vita, ricevere coccole, instaurare una confidenza, avere uno stretto contatto fisico, rassicurante e protettivo con le figure di riferimento. Si tratta di atteggiamenti che rispondono a bisogni basilari e imprescindibili per lo sviluppo psicofisico dei piccoli, esigenze talmente essenziali da poter essere messe sullo stesso piano di quelle di nutrimento, addirittura potrebbero essere interpretate come superiori rispetto a queste ultime.
Volendo contestualizzare l’esperimento si può indicare quale periodo storico gli anni ’50, momento in cui la psicologia ancora non si era ben affermata come scienza clinica ed era ancora agli albori su molte delle questioni che oggi si considerano ampiamente analizzate e si danno per assodate, tra queste vi è indubbiamente l’attaccamento che lega la madre al proprio figlio.
Un punto di vista semplicistico ed organicista, oggi fortunatamente abbastanza superato, induceva al tempo a ritenere che, al fine di garantire la crescita e lo sviluppo dei piccoli di qualsiasi specie, gli esseri umani in primis, ciò di cui davvero non si poteva fare a meno era senza dubbio il soddisfacimento dei bisogni fisici fondamentali, in particolare la necessità di essere nutriti.
La realtà, tuttavia, non è proprio questa ed interviene proprio l’esperimento di Harlow a dimostrarlo.
In effetti lo studio non è stato condotto sui neonati della specie umana a causa delle difficoltà dovute al limitato grado di mobilità ed alla instabilità posturale che li contraddistingue, pertanto, Harlow optò per condurre le ricerche attraverso l’osservazione dei piccoli di macaco, una scelta dovuta al fatto che questa specie di scimmia si avvicina molto ai comportamenti tipici dell’essere umano, in particolare mostra manifestazioni di attaccamento estremamente somiglianti alle nostre con il vantaggio che i cuccioli sono autonomi e completi nel movimento fin dalle prime settimane di vita.
Dunque, l’esperimento fu condotto osservando nello specifico i comportamenti dei piccoli cuccioli orfani della mamma naturale.
Pensò di rimpiazzare la vera madre con due diverse “madri surrogate”, entrambe strutture metalliche ma su una appose una stoffa morbida e calda così da dare la possibilità ai cuccioli di arrampicarsi ed accoccolarsi, l’altra venne lasciata così com’era, cioè composta di un impianto di fil di ferro e su cui fu posizionato il beccuccio di silicone di un biberon.
Così facendo lo psicologo stava destrutturando l’immagine materna, separando le due funzioni primarie dell’allattamento: l’accoglimento e la trasmissione del calore umano ed il nutrimento. Costringeva in tal modo le scimmiette a compiere una scelta.
Quello che successe lasciò tutti i sostenitori delle teorie classiche di stucco.
I piccoli macaco non ricusarono alcuna delle due alternative ma prediligevano, visibilmente, la mamma calda e morbida a quella fatta di freddo metallo ma gustosa, avvicinandosi a quest’ultima solo a fronte della necessaria poppata. Ma, cosa ancora più importante, messi a paragone con altri cuccioli tenuti in laboratorio ma privati del contatto corporeo e semplicemente alimentati, le prime scimmiette dimostravano di crescere e svilupparsi meglio, di essere meno paurosi perché capaci di orientarsi meglio nella gabbia nonché di maturare un atteggiamento esplorativo più spiccato e forte.
Difronte a simili circostanze apparve chiaro che il bisogno primario da soddisfare nelle prime fasi di vita di un qualsiasi essere vivente è rappresentato dal contatto fisico, indispensabile per un sano sviluppo fisico e psichico.
A confermare la tesi di Harlow intervennero ancora altri studi focalizzati sul legame unico nascente tra madre e figlio, queste ulteriori analisi ampliarono anche i risultati dell’indagine condotta dallo psicologo americano.
Tra i tanti spicca l’analisi di Renè Spitz il quale, ad esempio, raggiunse conclusioni analoghe osservando la crescita dei bambini ospitati negli orfanotrofi: il distacco, la povertà di relazione fisica ed affettiva ostacolava uno sviluppo ed una maturazione sana a prescindere dall’adeguato sostentamento ed alimentazione.
Ancora, qualche tempo dopo, fu Myron Hofer ad introdurre il concetto di “regolatori nascosti” intendendo con questo termine l’insieme di quei gesti di attaccamento attraverso cui il piccolo riceve attenzioni, affetto e quelle coccole che veicolano una stimolazione fisica e sensoriale tale da provocare l’innesco ed il perdurare di quei processi fisiologici indispensabili per una vita ed uno sviluppo sano, quali il ritmo sonno veglia, l’accrescimento staturale, la capacità di interazione con il mondo circostante…
Concludendo questa analisi, pertanto, sembrerebbe possibile affermare che sono i gesti d’affetto lo strumento più idoneo a stabilizzare e regolare il corretto ritmo delle nostre funzioni vitali fin dai primi giorni di vita, quando il nostro organismo non è ancora autonomo nella gestione dei ritmi biologici.

Notazioni Bibliografiche:
-“Il primo anno di vita del bambino”, R.Spitz, Giunti-Barbera;
-“Attaccamento e perdita”, J. Bowlby, Ibs.