Con Landini alla riscossa?


Dalle periferie desolate, liberi pensieri intorno allo sciopero generale del 16 dicembre.
Con un’immagine dell’illustratore Igor Belansky.

Sono ormai decenni che si discute dello speciale linguaggio dei politici e sindacalisti italiani, che riverbera ovunque nel Paese, fino a raggiungere gli ambienti in cui si addensano lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati … la gente comune. Sono le periferie che trasudano di ordinaria quotidianità e perenne crisi, che, mentre il ciclone mediatico le attraversa, si interrogano sul proprio destino.

Sarebbe bello che la prima pagina, o l’articolo principale che dir si voglia, questa volta toccasse a lui!
Non colgono mai l’occasione per un buon tacere, vogliono sempre e comunque apparire, con le proprie astruse e vuote opinioni in libertà, questi intellettuali da salotto, che si disgusterebbero a rivolgere lo sguardo al di sotto di quanto accade a Roma, nei palazzi del potere.
In tempi così grigi, si tratta di fantapolitica o argomenti distopici, se preferite: che cosa ne sanno costoro di problemi reali? Li invita qui a vedere, scendano dalle cattedre, se mai ne abbiano o abbiano avute, e vengano in trincea tra la gente!
Chiamiamolo Ciro, vive in un centro, alla periferia di Napoli.
Cosa lo aspetta, ancora? Quante inutili parole sui titoli dei grandi giornali. Quanta rabbia, quanta impotenza. Chi sta male non vota più a sinistra ma affida la propria rabbia altrove o al nulla. Lì, sembra che non cambi mai niente, per lui, operaio quarantottenne da 25.000 euro annui, monoreddito, e due figli minori.
Eppure, le rate del mutuo trentennale sul groppone le ha ovviamente anche lui, con la sua speranza abusiva, come le case e i palazzi costruiti in quel deserto di cemento che è l’hinterland di Napoli, periferia della periferia, immensamente abbandonata. Visto tutto quanto gli capita intorno – sono tanti gli anni che nemmeno vuol più raccontarlo, e d’altronde c’è già Saviano che crede di poterlo fare -, si tratta di una sopravvivenza al margine.
Ciro non si ritiene troppo ignorante, nonostante abbia soltanto la licenza media, e si informa. Ascolta la radio e guarda la televisione. Legge sui giornali, anche su alcuni siti web, le notizie che più risaltano. Ne discute con i compagni al lavoro o al bar.
È insomma un attento osservatore della cronaca attuale. Ad esempio, sa che Maurizio Landini, leader CGIL, ha tuonato: «Certo che è uno sciopero politico: dà voce a chi sta male e non vota» dalle colonne de Il Fatto Quotidiano del 14 dicembre, spiegando le ragioni della mobilitazione indetta per il 16 dicembre.
La linea di Landini, il quale ha aggiunto: «La democrazia si tutela solo se la politica riconosce l’importanza dei lavoratori, oggi svalorizzati», è poi speculare a quella del leader della UIL, Pierpaolo Bombardieri, che è disponibile al confronto, ma chiede una svolta concreta nella legge di bilancio.
Il tempo pare stringere, a dir poco, appelli vengono freneticamente diffusi dalle rappresentanze sindacali di base di CGIL e UIL; i volantini distribuiti riportano le ragioni delle 8 ore di sciopero generale nazionale del 16 dicembre.
Occorre rispondere con forza alla manovra 2022 introdotta dal governo Draghi, considerata insoddisfacente, in particolare su alcuni fronti caldissimi: fisco, pensioni, scuola, politiche industriali e contrasto alle delocalizzazioni e precarietà del lavoro, soprattutto dei giovani e delle donne.
Viene dunque chiesto di incrociare le braccia ai lavoratori che durante il clou della pandemia hanno permesso che non si fermasse ogni cosa: quegli stessi lavoratori cui è necessario che oggi il Governo dia risposte concrete. Anche se il sapore è quello di una rivendicazione su tutto e dunque su niente.
Questo tam-tam avviene anche all’interno dell’azienda di Ciro, che da mesi traballa e, al primo stormir di fronda, viste le tante croniche difficoltà, rischia di crollare. Ma la resistenza continua: occupazioni del sito, incontri nelle sedi che contano, promesse di nuovi acquisitori. Di tanto in tanto arriva una troupe televisiva per raccontare che la vita, nonostante tutto, per chi è nato in questa terra, è come una condanna. E dopo i geni al tiggì dicono che è un caso che evidenzia la necessità della messa a punto di strumenti di gestione e soluzione per tutte le crisi aziendali.
Infatti, la provincia di Napoli si dimena nel tramonto della sua era industriale. Le fabbriche della Cassa per il Mezzogiorno sono fallite tutte, trasformandosi in un cimitero di lamiere e di capannoni abbandonati. A posteriori di quell’eldorado che avrebbe dovuto risolvere tutto, ma ha avuto soltanto un ciclo vitale di trent’anni, quanto durerà questo incipiente ed inevitabile riflusso di «globalizzazione», e cosa si lascerà dietro?
Nel frattempo, Ciro si domanda perché la CISL abbia dichiarato il proprio no all’agitazione, accollandosi di fatto la responsabilità di rompere l’unità della triplice alleanza sindacale. C’è qualcosa di anomalo?
Il segretario della CISL, Luigi Sbarra, in un’intervista a «Mezz’ora in più» su Raitre ha ribadito a Lucia Annunziata che si tratta di «una mobilitazione generale incomprensibile nelle motivazioni in una fase in cui il confronto con il governo è aperto».
Che cosa si cela dietro all’apparente divorzio? È solo una tattica? A tratti, questo sciopero ha più i toni dell’estrema rivendicazione di esistere perché si ha una struttura, che il tentativo di incidere davvero sulla politica economica del governo. A tre giorni dal fatto fatale, in effetti Maurizio Landini lascia ancora aperto un piccolissimo spiraglio, dichiarando a Manuela Moreno, su Tg2 Post: «Se ci convocano siamo disponibili a discutere di una eventuale cancellazione dello sciopero generale, ma siamo già a lunedì e non mi pare che ci siano le condizioni, anche perché non ci accontentiamo di qualche leggera modifica».
«Oggi pomeriggio è arrivata una convocazione per il 20 dicembre, ma sulle pensioni», ha poi sottolineato, «si tratta di un impegno che il governo aveva già preso, ovvero aprire la trattativa per cambiare la legge Fornero, che è sbagliata», tuttavia ciò «va oltre la legge di bilancio. Per cui noi andiamo in piazza a sostenere la piattaforma unitaria che abbiamo presentato insieme a CISL e UIL».
«E credo – ha ulteriormente precisato – che ci sarà una grande risposta allo sciopero: le 5 piazze che abbiamo scelto saranno piene di pensionati, di giovani e di lavoratori».
Una simile grande astensione dal lavoro, ha concluso il leader CGIL, «non incendia un bel niente, ma è uno strumento nelle mani dei lavoratori quando non arrivano risposte; con lo sciopero abbiamo voluto dire che non è vero che siamo tutti d’accordo e che tutto va bene». D’altra parte, «la funzione di un sindacato, autonomo dai partiti e dal governo, e che ha cuore pensionati e lavoratori, è di fare il suo mestiere».
Intanto, il centrosinistra non plaude, il centrodestra si indigna. Giornali divisi fra legittimità e inutilità. Ma che c’azzecca? Stranamente la piazza non appare abbia un «nemico» vero, del tipo l’ex Cavaliere ai bei tempi delle manifestazioni del Circo Massimo, tutti i tradizionali interlocutori sono al governo.
Nel suo quasi mezzo secolo di vita Ciro ha capito che due più due non fa sempre quattro: non potrebbe trattarsi dello sciopero politico, con cui Landini si atteggia in modo soft ad aspirante leader della sinistra anticapitalista, massimalista e marxista e soprattutto anti Draghi? Il contraltare rosso della nera Meloni?
C’azzecca, eccome! essendosi dissolta da anni una sinistra politica degna di questo nome, non da oggi Landini ha proprio in mente un sindacato politicizzato, di classe, con un animo vagamente un po’ marxista e un po’ populista, che si collochi in quello spazio scoperto. Dal tramonto della falce e martello di Rifondazione comunista, a sinistra del Pd – che è un partito, seppur contraddittoriamente, socialdemocratico con sprazzi liberali – manca un soggetto che interpreti e organizzi tutto ciò, anche se vi è una pluralità di micro-identità che, agendo ciascuna nelle proprie condizioni e dal proprio angolo visuale, già costituiscono un tessuto connettivo consapevole in tal senso.
A questo punto, stornando la sua mente da balbettii di frasi fatte d’antan, mutuate dal politichese, dal sindacalese e da altri cascami di un dissolto modo di pensare e di esprimersi umano, un po’ quelli del Mimì metallurgico della ahimè da poco compianta Lina Wertmüller, pensa al suo futuro, il nostro Ciro.
Prima di tutto, può darsi che taluni trovino affascinanti certi politici, tra i quali alcuni autorevoli di Napoli e dintorni; tuttavia, quando quest’ultimi parlano lui non ci capisce un fico secco. Le solite troppe belle parole di aiuto ed incoraggiamento, ma come sempre nulla di pratico e di visibile.
In particolare, gli viene in mente la questione delle pensioni, che lo tocca da vicino e altrettanto impatta centinaia di migliaia di giovani. Ossia coloro che corrono il pericolo di trovarsi con una bella mano davanti e una dietro, una volta che per loro giunga il giorno di ritirarsi dal lavoro per godersi il meritato riposo. A quanto sembra, con l’aria che tira, si godranno assai poco o meglio niente.
La colpa non è di certo del singolo politico o partito, ma dell’intero governo, che continua a latitare su questo argomento lasciando nello sconforto e nell’incertezza tutti i lavoratori costretti a lavorare sempre anni in più, con prospettive minime economiche, che non permetteranno loro di vivere in serenità.
Pare che, così, quel diritto sacrosanto alla pensione che ogni lavoratore ha, venga messo in dubbio da uno stato, come il nostro, che non è più capace di dare garanzie per l’avvenire. Pochi giorni fa, ma sono manifestazioni che durano da tempo nelle varie piazze, ci sono stati tafferugli in piazza Plebiscito, c’è ancora stata una mobilitazione di disoccupati in lotta: chiedono di riconvocare tavolo interistituzionale per salario e lavoro. Come è possibile accettare tale situazione? Ci penserà il reddito di cittadinanza a tenere a bada una gran massa di diseredati, prima della maturazione del diritto alla pensione sociale?
Ma di per sé il sindacato cosa fa veramente per evitare tale sfascio? Talora sputacchia qualche segnale di vita, ma pare fuori tempo e purtroppo non connesso.
Agli occhi di Ciro, in questi giorni balza proprio la controversia tra le organizzazioni sindacali e il governo. Hanno difficoltà a trovare un punto d’ intesa soddisfacente per entrambi, tornando così sul sentiero di guerra, mentre il continuo bombardamento di notizie sul covid, spesso ripetitive e capziose, alimenta il clima di pessimismo che aleggia, in particolare per ciò che riguarda il lavoro e un sicuro reddito. Nuvole nere si addensano sul Natale che, con i rincari di carburanti e bollette, si teme sia una festa in piena austerity. Ci si domanda se a fine anno cesseranno attività che devono ancora riprendersi dal primo lockdown.
Il popolo tutto non dovrebbe essere preso in giro e lasciato nell’incertezza su quello che sarà il domani. E così riflette Ciro: «Andare con Landini alla riscossa serve realmente a qualcosa?»