La relazione tra interiorità e ambiente


Esiste un viatico per una dialettica equilibrata e corretta in essa?

Lo spazio di interiorità, quel margine di libertà che consente il distanziamento emotivo necessario a valutare le cose e le persone, quindi la società. Ecco un nodo cruciale su cui occorre riflettere, intorno al quale il dibattito svolto, sul piano filosofico prima che psicologico, antropologico o sociologico, ma anche politico, è antico.

Nel precedente articolo: «Relazione e Partecipazione. Passato, presente e futuro», ho evidenziato come, nel suo recente libro «In principio era la relazione. Il rapporto con sé stessi e con gli altri nell’esperienza politica», la psichiatra, politica e accademica Paola Binetti (che qui Igor Belansky ritrae) sostenga l’utilità di spostare il focus dei dibattiti politici sul piano della relazione, facendo della qualità dei rapporti interpersonali un vero e proprio valore di riferimento.

In tal senso, l’autrice ritiene che la gratitudine per ciò che ogni relazione offre non sia mai un alibi per delegare la propria responsabilità, tanto nel diritto alla libertà di coscienza, quanto nel dovere dell’obiezione di coscienza.
Il confronto diretto, infatti, fa sì che vengano evitati risentimenti o fraintendimenti e consolida il sentimento alla base della relazione. Ogni relazione sociale tocca dunque corde molto profonde dell’essere e mette in moto azioni e reazioni.
Ma non sempre lascia quel «margine di libertà» che consente il distanziamento emotivo necessario a valutare le cose e le persone, quindi la società: ecco un nodo cruciale su cui occorre riflettere, intorno al quale il dibattito svolto, sul piano filosofico prima che psicologico, antropologico o sociologico, è antico.
In accordo al pensiero di Vittorio Morfino, ricercatore di Storia della filosofia all’Università di Milano-Bicocca, (v. «Spinoza: antropologia delle passioni», Conferenza alla Casa della Cultura di Milano del 30 ottobre 2019), con la precedente affermazione si potrebbe intravedere, ad esempio, la messa in crisi della sostanzializzazione dell’io, operata attraverso la separazione tra res cogitans e res extensa, la quale, nel suo «Discorso sul metodo», un gigante a noi tutti noto, Cartesio, pare porre come uno «spazio di interiorità». L’anima?
Molto diversa è invece la prospettiva con cui affronta il tema Baruch Spinoza, filosofo olandese, ritenuto uno dei maggiori esponenti del razionalismo del XVII secolo, antesignano dell’illuminismo e della moderna esegesi biblica, per il quale individuazione e socializzazione non appaiono polarità discordanti. Cosicché la relazione con l’altro, nella misura in cui questi «si accorda con la nostra natura», aumenta il conatus, la pulsione all’autoconservazione, il desiderio, e sembra «far quasi dire a tutti che l’uomo è Dio per l’uomo» (B. Spinoza, «Etica», tr. it. a cura di P. Cristofolini, 2014). Il conatus di Spinoza, cioè potenza di essere, cioè essenza ed attualità, esprime dunque la riproduzione di una ratio che è relazione di molteplici relazioni, con la riproduzione di un corpo cioè che è intrinsecamente sociale e comunitario, in quanto «composto da moltissimi individui (di diversa natura), ognuno dei quali è assai composito», e in cui pertanto la riproduzione si dà come risultato di un molteplice complesso e assai differenziato. Vale a dire che in Spinoza proprio la complessità differenziata del corpo umano, che pure è garanzia di un possibile rapporto, non mono-, ma multiculturale con il mondo esterno, è nello stesso tempo, proprio per la sua molteplicità, occasione di asimmetria e di estremizzazione, quale possibile dominio di un individuo, o di pochi individui, su tutti gli altri componenti lo stesso corpo. Come prima evidenziato, ritroviamo l’evenienza che in fondo la stessa Binetti denuncia e che occorre evitare. E qui entra in gioco, come già sappiamo, il livello mentale, e dunque la consapevolezza di questo sforzo d’essere: la «Mente – dice Spinoza – è conscia del proprio sforzo».
Ecco la nuova conferma che la relazione delle relazioni, la relazione più importante per ognuno di noi, rimane quella con sé stessi. Relazione che auspicabilmente si armonizzerebbe con l’esterno una attraverso la giusta dialettica che indica un altro grande Hegel (nella sua «Filosofia dello Spirito»): lo spirito prende alle cose l’esteriorità naturale e la traspone nello spazio della propria interiorità, per poi uscire da questo esternando se stesso. La certezza soggettiva, che si dà nella sfera interiore individuale, deve acquistare vera oggettività.
Chiaramente ci si dovrebbe meglio intendere sui significati. C’è molta confusione, oggi, in chi parla alternativamente di anima, mente, corpo e spirito senza sapere in realtà a cosa si riferisce. Generalmente, inoltre, si tende a non voler parlare di anima, come di tutto ciò che si ritiene indimostrabile. Dal punto di vista della relazione esterna, si riconduce ogni vissuto o reazione emotiva al corpo e alla mente, ma allo stesso tempo si seguono corsi di yoga, mindfulness e filosofie orientali perché si sente la necessità di riscoprire, si dice, la propria «spiritualità».
In questo modo si genera, proprio a partire dalle distrazioni dei singoli, una perdita di attenzione da parte delle varie componenti della società civile rispetto alla sfera di regolamentazione e di produzione della decisione tipica del sistema politico che governa la società. Ne è segno la volatilità dell’elettorato (v. «L’Europa del dissenso. Teorie e analisi sociopolitiche» di Francesco Antonelli, Laura Giobbi, Valeria Rosato, 2016), di cui si parla spesso a sproposito, come se fosse una schizofrenia collettiva, sebbene sia talvolta determinata da precisi meccanismi di ricomposizione dell’offerta politica. Un’offerta che però spesso viene solo strumentalmente adattata ai cambiamenti di breve periodo in atto.
E vediamo che, «come la società civile nasce da una crisi dello stato di natura, così la crisi della società civile rende possibile il ritorno allo stato di natura» (da «La disciplina dei cartelli nel diritto antitrust europeo ed italiano: una guida teorico-pratica» di Salvatore Lamarca, 2017, p.203), nel caso in cui il sistema in grado non sia più in grado di far convivere le due sfere che abbiamo ricordato. Secondo le varie dottrine, sullo sfondo resta poi sempre l’idea che la sfera di libertà dei soggetti della società civile debba essere stabilita e tutelata in maniera forte o meno: i soggetti possono essere solo gli individui oppure anche le comunità?
Senza troppo divagare, ci troviamo soltanto a riflettere su quanto ulteriormente aiuta a far passare il messaggio che occorre quanto più evitare che «Il foro interiore (…)» diventi «uno spazio di autosufficienza in rapporto al sociale» (v. «Identità e comunità» diAlain de Benoist , 2005), favorendo una concezione dell’identità e dell’individuo basata sulla comunità e sul riconoscimento reciproco delle differenze.
Prendono talora le mosse da questi aspetti certe proposte politiche che contemplano alternative federaliste e partecipative al progetto statualista della modernità. Quella modernità di cui, nella figurazione di Igor Belansky, è sinonimo, complesso e progredito, il grattacielo.

Senza illusioni, ma con un afflato umano intergenerazionale che non spenga le fiammelle di speranza, dovremmo auspicare la (ri)creazione nuove modalità di dialettica, nelle quali lo spazio interiore assuma o ritorni ad avere maggiormente, nella relazione di influenza e mediazione dell’ambiente e del contesto di vita, una funzione creativa: fondare e strutturare lo spazio politico.
Nei prossimi articoli, ancora grazie alle immagini realizzate dal nostro bravo illustratore, proseguiremo con l’indagare le sfere in cui si instaura il mondo della relazione.