I neo-draghiani sognano la DC: la nuova balena bianca avrà il suo Achab?


Per chi non l’ha conosciuta, il partito della Democrazia Cristiana, la cosiddetta Balena Bianca, che andava nel pensiero politico cattolico da Sturzo a Dossetti, e ancora un po’ più in là e più in qua, era una forza politica che ha controllato lo Stato italiano per 45 anni, dalla fine della guerra alla grande inchiesta per i comportamenti scorretti dei suoi politici, ma non solo dei suoi, denominata “Mani Pulite”. Ed è esplosa. Alcune schegge sono ancora in volo, mentre il grosso sembra approdato, con Dossetti e le correnti di sinistra nel Partito Democratico, in parte cambiandone i connotati e in parte facendoseli cambiare, e con la destra in una storia di sigle che sempre hanno rimpianto Mamma DC, CCD, UDC, UDEUR, ecc. che non sono più riuscite a contare abbastanza, segnalando anche defezioni illustri (ad esempio Pierferdinando Casini). Hanno sperato poi in Berlusconi, l’ “Uomo della Provvidenza”, secondo illustri referenti, ma in sostanza non sono riusciti a identificarsi abbastanza, per via dei costumi profondamente amorali (ad essere buoni…) dell’uomo delle televisioni (e molto altro).
Ma com’era davvero quell’organismo, così esteso da toccare quasi gli estremi del quadro democratico, sotto l’egida della croce in uno scudo? Non poteva essere uniforme. Raccoglieva i democratici, che allora avevano anche precisi riferimenti ideologici, oltre a quelli cristiani, e così la sinistra con Donat Cattin e poi anche Ciriaco De Mita, e poi la destra che aveva tra i suoi Giovanardi e Casini, un centro mutageno ove volteggiavano ad esempio Forlani e Andreotti, ma anche “etnico” del Nordest, con Piccoli e Rumor. La situazione politica era bloccata dal fattore K (Komunista, secondo il giornalista e più Alberto Ronchey) e l’emergere di Aldo Moro tendeva allo sblocco, con una ipotesi di co-governo (“compromesso storico”) con i comunisti, che fino allora avevano avuto problemi con la democrazia occidentale, e ancora intendevano la definizione e sistema della democrazia con la sola versione tailor-made per il proletariato.
A mettere le cose a posto, è sopraggiunta la globalizzazione: crollo del muro di Berlino, universalizzazione dei mercati, uniformazione delle regole competitive ovunque, per la produzione della ricchezza e del benessere conseguente. Chi era manifatturiero la capì subito, chi lo era meno (la Russia, ritornata tale dopo la caduta dell’Unione Sovietica) ci mise un po’ di più. Infatti, ad Est dell’Europa, quella svolta epocale era stata preceduta da insofferenze di vari popoli (ungheresi poi cecoslovacchi, poi polacchi) che non avevano come il popolo russo il dominio, camuffato da internazionalismo comunista, concetto utile peraltro soprattutto a suon di carrarmati, quando il comunismo in un solo Paese di staliniana memoria non bastava a mantenere il predominio.
Bene, e oggi tutto questo? Finito, proprio del tutto. E allora perché nostalgia di DC, oggi, al centro della scacchiera politica?
Intanto perché i cattolici soffrono. Anche i collettivisti, figli della visione dossettiana, faticano a seguire le trame opportuniste degli apparatickij del PD. Dall’altra parte non ne parliamo: la sofferenza rispetto agli opportunismi materialisti dei pragmatisti del business e del benessere, se poi leghisti in senso deteriore, ancor di più. Non è sopportabile per essi la dimenticanza dell’umano della gratuita solidarietà, e la sua espressione sociale volontaria e personale, così cara al pensiero cristiano e così resistente però all’individualismo borghese, che dal 1789 infiltra il comportamento dell’ala liberale e radicale, ancora più antipatica per via dell’incontro con l’etica protestante, vero fumo negli occhi ai nostri cattolici, tifosi di una Santa Romana Chiesa tra l’altro ben organizzata e solida fino all’Antropocene, cioè a pochi anni fa.
Che bello sarebbe, pensano in molti e tutti alla fine accetterebbero, un grande partito di centro, che fa fuori gli estremismi di sinistra e destra, a-confessionali-nei-fatti, e che si riarticola in correnti, come un tempo la vecchia “Balena Bianca” com’era chiamata la Democrazia Cristiana, imprendibile come Moby Dick, salvo un grande timoniere baleniere che ce l’ha fatta… Achab?
Perché? Ci potrebbe essere Achab, in giro?
Le ultime elezioni fanno quasi pensare di… sì. Obiezione: “Ma se sono andati a votare in pochissimi, dove sarebbe questo leader stravotato, questo comandante Achab, capace di prendere Moby Dick, la Balena Bianca? Con tutte quelle astensioni, viene da ridere!” E invece cari amici, Achab c’è ed è stato votatissimo: si chiamerebbe Mario Draghi. Cioè: il solito 30% ondivago, non avendo da votarlo, perché, garantisco, l’avrebbe votato, che ha fatto? Ha scritto sulla scheda: “O lui o nessuno”. Cioè, “Io non voto”, “Achab” è al governo del vapore e va bene così.
Dunque. Che vada davvero bene così, io, che credo nella democrazia parlamentare, non sono sicuro per niente. Ma che il popolo, poveretto, degli elettori, di fronte a tanta povertà parlamentare, creda a Herman Melville e al suo stupendo romanzo e che tanti esegeti vedano la Balena Bianca, è non solo commovente, ma anche molto, molto avvincente.
Ma che sia allora davvero un’avventura, ed emozionantissima: da Calenda a Giorgetti, passando per Toti, Quagliariello, Gasparri, Giovanardi, Adinolfi e Aimi, e al diavolo la paura…
Che se deve essere un romanzo che segna la storia, allora che sia anche emozionante: avanti, con la baleniera!