
Metti un Draghi nel presepe
La recente questione sulle definizioni consigliate per le feste di Natale in tutta Europa, secondo i proponenti dovute al rispetto di tutte le diverse culture rappresentate nel Vecchio Continente per la massima inclusività, ha fatto emergere molti distinguo nei Paese europei, e non soltanto in Italia. Per capirci, stiamo parlando della circolare interna (ma non «segreta» come scritto da qualcuno) in cui si suggeriva ai funzionari di Bruxelles tra le altre cose di sostituire, nelle comunicazioni, “Natale” con “festività” e i nomi come “Maria” e “Giovanni” con “Malika” e “Julio”. A forza di includere tutti gli altri, in effetti, i cristiani si sono sentiti esclusi: «La versione delle linee guida pubblicata non serve adeguatamente» allo scopo di «mostrare la natura inclusiva della Commissione», ha ammesso la commissaria europea all’Uguaglianza, Helena Dalli. «Non è un documento maturo e non soddisfa tutti gli standard di qualità della Commissione».
Non sappiamo bene come sia andata che la commissaria abbia deciso così e che l’ufficio competente di Bruxelles abbia emendato la circolare che ha fatto scandalo così, in autotutela, affermando in sintesi di aver sbagliato, ma possiamo immaginare alcune cose.
In primis, l’attenzione dei cattolici è ovviamente massima sul Natale e quindi è legittimo pensare che Italia, Spagna, Polonia, Irlanda e forse anche la Francia e il Portogallo abbiano sussurrato, con il loro rispettivo peso, cose contrarie all’orecchio di Ursula Von der Leyen, che di problemi con alcuni (Polonia) ne ha già abbastanza, di tempo da sprecare con altri, strategici come Draghi, pochissimo, di attivare un’altra volta l’onda avversa dei PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, prevalentemente cattolici o comunque tradizionalisti cristiani) per una formalità e un capriccio culturale non ne ha nessuna voglia… E così i temi sgraziatamente posti dagli uffici della Dalli sono passati in secondo pano. Anche se invece il mondo protestante e calvinista europeo aveva fatto competente orecchio da mercante: d’altra parte, il bravo filosofo della società Max Weber sosteneva già più di un secolo fa che esiste una correlazione forte tra la riforma protestante, la sua deriva calvinista e lo spirito del capitalismo, gli affari, con, da una parte, l’affrancamento morale del business e, dall’altra, la profondità della preghiera individuale e di una pratica di comunità puramente rituale e non guidata da un Chiesa gerarchica terrena.
Tra i Paesi cattolici d’Europa, invece, Draghi rappresenta il più importante. Ed è proprio con l’Italia che la UE sta giocando la sua credibilità tecnico-economica, perché se l’Italia dovesse fallire nell’uso dei Recovery Fund ci sarebbe un vero terremoto distruttivo in Europa. E poi perché in Italia ha il suo alveo protettivo la Chiesa cattolica, che spesso tace, ma il cui silenzio è a volte ben più assordante che un grido di dissenso.
Il laicismo spinto che quasi sconfina in un esplicito ateismo non è proprio di questa fondazione europea: hanno ragione quelli che criticano, ma non così quelli che vorrebbero una politica quasi confessionale, come una certa parte dei cattolici. Mi sento di condividere per intero il seguente pensiero della presidente della comunità di Madrid, la popolare Isabel Díaz Ayuso, che, nell’inaugurare il solito presepe a Puerta del Sol, ingresso della capitale castillana, con la statua equestre di Carlo III, così recitava poche ore fa: «Dopo duemila anni continuiamo a celebrare questo mistero di un Bambino nato a Betlemme in un presepe, e che chiamarono il Messia, il Salvatore. Quel Bambino, che i pastori e i magi adorarono, e che Erode voleva uccidere, portava un insegnamento che non si era mai sentito con tale forza e che sarebbe risuonato fino a oggi: “La verità vi renderà liberi”. Non c’è da stupirsi che il cristianesimo sia stato il germe dell’Unione europea, nella cosiddetta “Cristianità”, della fondazione delle università nel mondo, o dell’impresa spagnola in America, che fu principalmente un’impresa cristiana, e quindi di amore e fratellanza: di meticciato. (…) Il messaggio cristiano, che si abbia fede o no, impregna il nostro modo di vivere come persone e come società: la cura dei malati, dei bambini, dei poveri, la solidarietà nella fatica e nella gioia condivise, il tentativo di reinserire nella società i carcerati, la giustizia, il perdono e la speranza. Sono aspirazioni che condividiamo e ci uniscono, sono un orizzonte a cui aspiriamo. Il premio di questa ricerca della verità, attraverso l’amore, è la libertà. Il mondo cristiano, occidentale, ha sempre desiderato la libertà, anche se ha avuto cadute, o commesso errori; ed è stata scuola di libertà per il resto del mondo, anche rifugio e protezione di quelli che l’avevano persa. Per questo motivo questa tradizione ogni anno è molto più di una semplice tradizione: Natale e il presepe mostrano l’attualità di questo impegno per la verità, la libertà e l’amore, che deve guidare ogni vita umana degna di tale nome. È la nostra storia stessa, la ragione dei nostri sforzi quotidiani, e il futuro a cui aspiriamo, con gioia e speranza». Con questa esplicita posizione di un esponente di primo piano, sono evidenti le resistenze alle ridefinizioni trapelate da parte dello Stato spagnolo.
Molto difficilmente l’Europa potrà prendere una strada difforme dalle sue origini culturali cristiane. E di certo, Mario Draghi avrà fatto la sua parte affinché non nascesse un caso politico da quel documento: niente di piò facile di una sua impuntatura, non respingibile. Se così fosse stato, allora accanto ai pastori, quest’anno merita anche lui un posto nel presepe.