La qualità delle Relazioni


Belansky illustra la realtà di oggi, che è cambiata e sta cambiando in un modo radicale.

Di Antonio Rossello

Nelle attuali società occidentali il bisogno primario non è più la mera sopravvivenza ma la qualità della vita: prima di tutto stare bene. Ma che cosa significa stare bene? La potenza del segno di Belansky emerge chiara da ogni sua realizzazione, e i tratti essenziali e profondi rilucono ancora di più, grazie alla forza di scene del nostro tempo o scenari post-apocalittici, in cui si pensa a quanto conta davvero, in una consapevolezza più piena della vita.

Come descritto nel mio precedente articolo, «Come filosofia, sociologia e fisica contemporanee hanno aperto a una concezione relazionale e dinamica della realtà», il teologo e filosofo Vito Mancuso (che viene ritratto da Igor Belansky) sostiene la tesi per cui il nostro è sin dal principio un «Universo fatto di relazioni».

Contrariamente a quanto affermato dalla supremazia della sostanza aristotelica, tutto quindi sarebbe relazione, aggregazione, interazione, o in termini complessivi sinergia, il legame costitutivo di qualsiasi forma di vita e tra le diverse entità.

Ogni relazione tocca corde molto profonde dell’essere, origina azioni e reazioni, ma lascia sempre un margine di libertà, che permette un distanziamento emotivo e consente di valutare le cose e le persone. Perché la «Relazione delle relazioni», la relazione più importante per ognuno di noi, resta quella con sé stessi.

Per noi sarebbe auspicabile quella visione olistica, che racchiude una prospettiva a 360°, nella quale l’uomo e il mondo vengono visti nell’insieme e non separati. Questo permette di aprire gli orizzonti e analizzare gli eventi e noi stessi con altri occhi. È questa la dimensione di esseri spirituali calati in una dimensione materiale.

Ma, anche se non fossimo del tutto sicuri pur in presenza di premesse tanto «importanti» e volessimo solamente approcciare considerazioni a portata di mano, verrebbe da chiedersi che cosa siano effettivamente diventate le relazioni per l’uomo.

Se le persone oggi, prima di ogni altra cosa, riuscissero a vivere in armonia, cioè a risolvere le dissonanze sociali che, come abbiamo visto nell’altro articolo: «Igor Belansky e la Sociatria: la Relazione fra illustrazione e mondi individuali e sociali», può essere compito dell’illustratore interpretare, per favorirne e completarne la comprensione, la storia potrebbe assumere davvero un nuovo e migliore corso.

E qui portiamo due ulteriori esempi dell’attività di denuncia di Belansky.

Nel primo caso, lancia un messaggio «graffiante» dell’alienazione metropolitana, dell’urbanizzazione rovinosa che distrugge l’ambiente (e quindi anche l’essere umano). Oltre la distruzione prodotta dal cemento, lo sfondo è cupo. Nulla più sembra appartenere al nostro pianeta. Nemmeno pare possibile ancora una corsa allo spazio e alla conquista dell’Universo. Tornano gli aspetti con cui Jean Paul Sartre impernia il suo esistenzialismo intorno all’angoscia della condizione umana.

L’altra tavola fa invece parte di un percorso per immagini il cui scopo è quello di mobilitare e sensibilizzare sui temi del lavoro, dello sfruttamento e del caporalato.

L’agricoltura intensiva, soprattutto nelle regioni del nostro Mezzogiorno, necessita di manodopera in gran numero per limitati periodi dell’anno, favorendo un fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori migranti e autoctoni, che nelle nostre campagne ha raggiunto tragiche dimensioni, inconcepibili in una comunità che si voglia definire civile.

Belansky dimostra di saper cogliere, con stupore quasi infantile, tutte la drammaticità di una scena di caporalato, una pratica che rientra in questo meccanismo di sfruttamento, di barbarie che diventa schiavitù, e ne è soltanto un tassello, seppur importante e squallido, che negli anni ha cambiato modalità e ruolo. Secondo una bieca visione, il «caporale» impone, con la forza della minaccia, servizi che vanno dal trasporto, al cibo, alle informazioni necessarie per procurare il lavoro.

Le imprese, che ricorrono a questa intermediazione illegale, non solo abbattano i costi derivanti dall’applicazione del contratto (salari maggiori, vitto, alloggio etc.), ma dispongono di una manodopera passiva e inerte perché disciplinata dal caporale.

La potenza del segno di Belansky emerge chiara da ogni sua realizzazione, e i tratti essenziali e profondi rilucono ancora di più, grazie alla forza di scene del nostro tempo o scenari post-apocalittici, in cui si pensa a quanto conta davvero, in una consapevolezza più piena della vita.

Indubbiamente, viviamo in un’era di materialità ossessiva, in una società liquida (secondo la metafora appositamente coniata dal filosofo Zygmunt Bauman nel suo libro «Modernità liquida» del 1999), fatta di rapporti sempre più effimeri, vacui, virtuali, in cui la rete e le nuove tecnologie rimpiazzano la comunità vera.

Ci rifugiamo così nella socialità virtuale, la quale massifica e snatura la nostra unicità di individui, esseri unici e irripetibili, la nostra. C’è un alias virtuale che ha urgenza di apparire, al quale non servono spiccate abilità sociali; d’altronde queste si sviluppano per strada, nell’incontro con l’altro, nel contatto umano, vero.

È pertanto pura illusione quella di vivere in una comunità vera, se l’unico suono che vogliano sentire è soltanto l’eco della nostra voce, alimentati del nostro ego e della nostra vanità.

In tal senso, si avverte la totale mancanza di relazione, una forma di negazione del rapporto con l’altro e di alienazione; delegando tutto al virtuale, non ci assumiamo la responsabilità di vivere.

Nelle attuali società occidentali il bisogno primario non è più la mera sopravvivenza ma la qualità della vita: prima di tutto stare bene. Ma che cosa significa stare bene? Che fine faranno dunque le relazioni autentiche? Vanificheranno sempre più?

E, per un illustratore attento alle relazioni dell’individuo con il contesto, queste questioni aperte costituiscono maggiormente un ulteriore pretesto di indagine cruciale, per capire come evolve la nostra specie e soprattutto per chiarire i nessi tra la sfera sociale e quella psicologica. Belansky ha ancora molto da dirci e deve essere messa in valore la sua incidenza comunicativa su alcuni punti decisivi, che prossimamente tratteremo.