PsicologicaMente – La terza età e le malattie degenerative


“Io non credo all’età. Tutti i vecchi portano negli occhi un bambino e i bambini a volte ci osservano come saggi anziani.” (P. Neruda)

Cari lettori,
Oggi vi parlerò di un momento/evento che arriva sempre nella vita di ognuno di noi, non fa distinzione di razza, ceto, religione, orientamento sessuale, invade la vita di ogni uomo in maniera equa e democratica, parleremo, insomma, dell’età senile e con essa delle eventuali malattie neurologiche che possono accompagnarla.
Mi piacerebbe partire da una frase che ho letto in un articolo qui sul web e che a sua volta è stata ripresa da un editoriale di qualche anno fa di Alan Gelenberg: “Old age is not for the fainthearted”. In questa espressione, con una forma ironica, si dice che l’avanzare dell’età è una fase della vita non del tutto adatta a “gente facilmente impressionabile”.
Come dargli torto! Certamente non si può negare che la senilità ci prospetta scenari imprevedibili e si accompagna sempre a molteplici cambiamenti sul piano della salute, molto più concentrati che nel corso dell’intera vita, il tutto accompagnato anche da un’alterazione delle capacità cognitive e funzionali, nonché da talune disabilità che limitano o impongono modifiche all’andamento della normale quotidianità.
Non di meno, tra le suddette problematiche, vi è anche un conseguente isolamento sociale, un carico di sofferenza fisica e psichica dovuta anche allo stato di abbandono e separazione successivo all’ovvia scomparsa dei propri cari.
Tutti questi elementi effettivamente concorrono alla nascita e propagazione di una serie di tormenti psicologici e status patologici, spesso difficili da affrontare e superare.
Gran parte degli eventi che seguono la terza età possono, in effetti, modificare e talvolta guastare la qualità della vita oltre che compromettere lo stato di salute mentale. Non di rado, in questa fase del cammino di una persona, si assiste alla comparsa di sintomi neurologici o psichici e spesso sono frequenti anche episodi depressivi.
Con riferimento a ciò si parla di “demenza” ma non tutti sanno davvero di cosa si tratta.
Vediamo come, infatti, troppo spesso la parola “demente” viene adoperata in maniera dispregiativa e, perciò, impropria.
La demenza è, in realtà, una triste condizione medica che aggredisce corpo e mente, una vera e propria patologia progressiva che tutti temono e fuggono con timore, tanto che alle prime avvisaglie provoca paura e disagio, non solo nell’anziano che inizia a rilevarne i sintomi, ma anche nelle persone che fanno parte della sua vita e che dovranno prendersi cura di una persona che, inesorabilmente, non avrà più le stesse capacità, comportamenti e ricordi di sempre.
Comunque di una reale ed acclarata situazione di demenza si può parlare laddove si assiste ad un precoce, seppur fisiologico, declino cognitivo accompagnato da una generale involuzione di tutte le facoltà e funzioni umane ovvero la degenerazione assume un andamento rapido tale da ostacolare o rallentare eccessivamente le normali attività umane, sociali e lavorative.
Certamente è possibile affermare che la demenza oggi è la principale causa di disabilità e dipendenza negli anziani.
Ma vorrei approfondire meglio la natura di tale fenomeno nella fase, appunto, dell’invecchiamento.
Parliamo, purtroppo, di un processo organico, cioè di natura fisica, che origina da stati di atrofia cerebrale, e diventa cronico e quindi irreversibile.
La diagnosi di demenza evidenzia una circostanza in cui sono state gravemente e negativamente inficiate le funzioni cognitive, quindi memoria, linguaggio e orientamento.
A volte corrisponde anche ad un’alterazione sostanziale della personalità, del mondo emotivo e comportamentale del soggetto e questo significa grande sconforto e frustrazione per le famiglie ed i cari della persona demente che si trovano ad assistere a tali mutamenti inermi e senza possibilità di innescare alcuna azione di recupero.
Nondimeno è importante soffermarci su un aspetto, e cioè che, sebbene siamo abituati a pensare alla persona affetta da demenza come anziana, dobbiamo viceversa considerare che in realtà il decadimento che porta con sé la vecchiaia crea una molteplicità di variegati quadri demenziali, pertanto avremo diverse forme e tipologie di demenza.
Per non essere dispersivo ed eccessivamente tecnico mi limiterò adire che, in generale si possono individuare tre tipologie.
In primis lo stato ricollegabile al tema approfondito dall’indagine odierna, quindi la demenza senile, con preludio all’incirca tra i 65 e i 70 anni, solitamente conseguenza del processo di atrofia cerebrale dovuto all’invecchiamento.
Possiamo poi annoverare la demenza arteriopatica, causata da un’arteriosclerosi cerebrale che induce gradualmente le grandi vene ad un restringimento.
Infine vi è la demenza atrofica presenile caratterizzata a sua volta dal manifestarsi al suo interno di ulteriori e diverse forme di decadimento accomunate da un esordio molto precoce, di solito intorno ai 45 e i 50 anni.
Precisata questa distinzione, certamente posso affermare che, in ogni caso, la più nota forma di demenza è la malattia di Alzheimer, sempre scongiurata, oggetto di grandissimo studio ed assai frequente tra gli anziani, seguita solo dal decadimento provocato da ictus.
L’Alzheimer consiste in una patologia cronica e degenerativa che attacca il sistema nervoso centrale e provoca un progressivo ed irreparabilmente indebolimento ed esaurimento delle cellule cerebrali.
La patologia in esame è caratterizzata da una grande aleatorietà dovuta ad un esordio improvviso e non nettamente distinguibile. Non è raro, ma anzi frequente, che la persona affetta rilevi talune sporadiche difficoltà, dimenticanze, incongruenze nella sua vita quotidiana, ma non ancora ricollegabili in modo netto e certo alla malattia di Alzheimer
E’, pertanto, arduo individuarne l’esatto principio ed è, quindi, impossibile prevederla ed ancor meno prevenirla.
Le conseguenze caratteristiche di tale condizione consistono, prima di tutto, in un deterioramento della memoria nonché delle capacità linguistico-espressive, sintomatologia di carattere psichiatrico, quindi deliri, allucinazioni e simili, anche un senso di smarrimento nel tempo e nello spazio, che spesso da luogo al fenomeno del “wandering” ossia vagabondaggio, ancora turbe del comportamento accompagnate da aggressività e agitazione psicomotoria, il manifestarsi di disturbi dell’affettività come ansia e depressione.
Tutto quanto fin qui detto ci fa comprendere come diagnosticare uno stato di demenza non sia cosa agilissima, in effetti la diagnosi avviene adoperando una pluralità di strumenti, esami neuroradiologici e test neuropsicologici, dei quali il maggiormente conosciuto è il MMSE (Mini Mental State Examination) che consiste nel sottoporre il paziente a molteplici prove intellettive aventi la finalità di esprimere una valutazione circa la condizione delle principali funzioni mentali, analizzandone lo stato e l’andamento.
Data la diagnosi sarà possibile provare ad intervenire sulla malattia, sia dal punto di vista psichiatrico che attraverso un percorso di supporto psicologico, senza però poter auspicare una guarigione totale.
Ogni tentativo sarà solo un tentativo di ottenere un rallentamento della patologia e quindi una riduzione dell’impatto negativo sulla qualità della vita dell’intero nucleo familiare e sociale che essa comporta.
Bisogna inoltre sempre aver presente che ogni intervento resta strettamente legato alla quantità e qualità delle funzioni residue e dalla risposta ottenuta a fronte della stimolazione.

Notazioni Bibliografiche:
-“Gelenberg A. Depression is still underrecognized and undertreated.  Arch Intern Med 1999;159:1657-8 ( http://archinte.jamanetwork.com/…);
• “Dementia: A public health priority”, OMS, 2012;
• “La valutazione psicologica dell’anziano”,M. R. Baroni, A. Getrevi, Carocci.