UE: trent’anni di balle sulla green economy


Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Australia, cioè i paesi anglosassoni si stanno alleando tra di loro. Ho l’impressione che ai paesi anglosassoni dia particolarmente fastidio l’Unione europea e soprattutto la sua indipendenza.
Non mi stupirei che gli anglosassoni facessero di tutto per indebolire l’Unione europea.
Alla NATO, dominata dagli americani, non va giù per niente la costituzione di un esercito europeo.
Non mi stupirei che ci fossero ritorsioni contro l’Unione europea.
Sembra quasi che gli americani vogliano tenerci quasi come se fossimo una loro colonia. Dico sembra, perché gli americani sono buoni e vogliono solo il bene dell’Unione europea.
A est forse c’è di peggio: Russia e Turchia.
Non mi stupirei che i russi vogliano riprendersi tutti i territori persi dopo il crollo dell’Unione sovietica. In Europa centrale, naturalmente.
Insomma sembra che l’Unione europea sia stretta tra due fuochi. Anglosassoni da una parte e russi e turchi dall’altra. (Igor Belansky)

Pubblichiamo un pensiero del nostro illustratore Igor Belansky sulle più recenti vicende dell’Unione europea che, evidentemente, lo hanno colpito e in parte preoccupato.
Come noto, infatti, a Roma si è tenuto in questi giorni un importante G20, al quale ha partecipato anche il Presidente USA Biden, nel quale si è discusso di importanti temi come quello ambientale ma anche di tessere alleanze con paesi africani, sulla base (o dovremmo dire sotto la forma) di trasferimenti tecnologici e finanziari.
Su questo Draghi ha poi riferito: “Abbiamo gettato le basi per una ripresa più equa e trovato i nuovi modi per sostenere i Paesi nel mondo, 609 miliardi sulla base dei diritti speciali di prelievo sono dedicati per la prima volta ai Paesi più vulnerabili”.
Di buono questo summit ha portato al riconoscimento, anche da parte di Russia e Cina, dell’evidenza scientifica dell’aumento della tempoeratura globale e l’impegno di mantere tale aumento in soli 1,5 gradi con notevolissimi sacrifici (anche con l’impegno a non investire ulteriormente in centrali elettriche a carbone).
Tuttavia quanto tutto questo sia effettiva preoccupazione ambientale e quanto politica economica per spostare equilibri non è facile a dirsi.
Di certo è che il dibattito sull’energia nucleare, che in Italia fu affossato trentacinque anni fa sull’onda dell’emozione di Chernobyl e poi, guarda caso, subito a valle dell’incidente di Fukushima con un secondo referendum, farà sicuramente riflettere i più illuminati e meno proni a decidere cose così drammaticamente importanti sull’onda dell’emozione del momento (così come ci si aspetterebbe da un governo). Perché, sia ben chiaro, le energie alternative non potevano (e non possono neppure oggi) assolutamente garantire il fabbisogno energetico di nessun paese e che l’Italia, che ha detto per ben due volte no all’uso dell’atomo per produrre economica energia elettrica, poi la acquista a caro prezzo dai paesi confinanti, in primis la Francia, che la produce proprio col nucleare con la semplice conseguenza che in un eventuale disastro saremmo comunque coinvolti come se le centrali le avessimo sul nostro territorio nazionale.
Semmai, la rinuncia al nucleare ha giovato all’industria del carbone, proprio quella di cui ora la UE si vuole emendare, e a quella del petrolio, favorendo i paesi grandi esportatori come gli USA, con la conseguenza di una loro strabordande egemonia geopolitica.
Sembrano tutte chiacchiere che volano alto ma – dati alla mano – tutto questo si è tradotto e continua a tradursi in fatti molto pratici, che impattano direttamente sui bilanci familiari. Basti pensare al costo della benzina che quotidianamente tutti noi acquistiamo al distributore e che oggi si aggira sui 1,8 euro al litro in Italia mentre negli USA costa circa 0,70 centesimi al litro e che “in Francia il costo del KWh equivale a 0,171 euro, valore inferiore rispetto a quello italiano, ove il prezzo è di 0,234 euro / KWh ed è tra i più alti in Europa, poiché in Francia l’energia elettrica viene prodotta soprattutto grazie all’energia nucleare”  (NDR: fonte Sorgenia).
Tutto questo per non parlare dell’effetto serra e il riscaldamento globale di cui oggi, giustamente, siamo tanto preoccupati e che il nucleare, insieme a un serio programma di sviluppo delle energie green, avrebbe certamente concorso a contrastare.
Dunque, e ci si ricollega all’incipit inviatoci da Igor Belansky, e ai temi discussi sul recente G20, non si può essere del tutto sicuri che le decisioni prese da coloro che già hanno dato prova di saper creare disastri per il nostro bilancio nazionale e per l’ambiente, siano davvero in sintonia coi nostri interessi futuri e, soprattutto, che nel medio e lungo periodo centrino gli obiettivi buonisti paventati al popolo.
Ha quindi ragione Belansky ad essere sospettoso in ordine alle vere conseguenze di questo G20 e a chiedersi, così come farebbe qualunque uomo del popolo illuminato: cui prodest?