50 anni fa i caduti della Meloria, una tragedia dimenticata dai più


Il 9 novembre 1971 nelle secche della Meloria, un tratto di mare situato circa 7 km al largo di Livorno. L’episodio rappresenta il più grave incidente occorso alle forze armate italiane dalla fine della seconda guerra mondiale.

Nell’ambito dell’esercitazione militare NATO denominata “Cold Stream” e svoltasi in Sardegna nel novembre 1971 era previsto il decollo di nove aerei militari Lockheed C-130 Hercules e un Hawker Siddeley Andover, tutti della Royal Air Force dall’aeroporto di Pisa-San Giusto, per effettuare un lancio di paracadutisti italiani sulle zone di operazione. L’Hercules, matricola XV216, appartenente al 24th Squadron di Lyneham, si inabissò al largo della costa livornese all’alba del 9 novembre 1971, con a bordo 6 militari britannici dell’equipaggio e 46 paracadutisti italiani della 6ª compagnia “Grifi” del 1º Reggimento Paracadutisti, tutti periti nell’incidente.
Sul finire degli anni sessanta la Ia Brigata paracadutisti dell’Esercito Italiano, rinominata nel 1967 Brigata paracadutisti “Folgore”, si trovava impegnata in una grande serie di esercitazioni e operazioni di addestramento per applicare sul campo le nuove tecniche d’impiego, introdotte dallo Stato maggiore dell’Esercito, in ambito NATO. L’esperienza maturata durante la seconda guerra mondiale aveva infatti dimostrato che gli aviolanci di massa presentavano criticità dal punto di vista del lancio dagli aerei e del successivo riordino a terra dei soldati paracadutisti.
Il cosiddetto “volo tattico” e l’aviolancio in modalità CARP (Calculated Air Release Point – calcolo del punto di rilascio) dovevano ovviare a questi problemi, permettendo di scegliere zone d’atterraggio meno ampie, di imbarcare i paracadutisti negli aerei per reparto d’appartenenza e di ridurre i tempi di riordino a terra: questa modalità prevedeva che gli aerei prendessero il volo uno dopo l’altro distanziati da un intervallo di tempo tale che quando il primo velivolo arrivava sulla zona di lancio (ZL) e lanciava l’ultimo paracadutista, il Direttore di lancio dell’aereo che seguiva, ordinava il lancio al primo paracadutista che aveva a bordo, e così via fino all’ultimo aereo della formazione. La quota di volo doveva essere molto bassa, per sfuggire al rilevamento dei radar; solo in prossimità della ZL gli aerei dovevano cabrare per raggiungere la quota di lancio, una volta terminato il quale dovevano subito picchiare per ritornare a bassa quota, e seguire la rotta di rientro alla base. Erano i cosiddetti “lanci di guerra” che molti parà italiani da quegli anni in poi hanno sperimentato durante le missioni di addestramento nei reparti operativi.
Nel 1971 venne pianificata una nuova esercitazione, denominata “Cold Stream” (corrente fredda), con l’importante novità dell’introduzione dei quadrimotori Lockheed C-130 Hercules come vettori per il trasporto dei paracadutisti, messi a disposizione dalla RAF. La Folgore ai tempi aveva infatti ancora in dotazione gli obsoleti bimotori Fairchild C-119 Flying Boxcar, che non consentivano un numero di aviolanci tale da permettere un’attività addestrativa adeguata.
Verso le 02:30 del 9 novembre 1971 i paracadutisti della Folgore scelti per la missione di addestramento salirono a bordo dei camion che li trasportarono presso l’aeroporto di Pisa San Giusto, dove attendevano nove C-130 e l’ Hawker Siddeley Andover della RAF. Tutti i velivoli erano stati contrassegnati sulla fusoliera da un numero progressivo scritto col gesso, dall’uno al dieci.
Il primo a decollare, alle 04:55, fu l’Andover (“Gesso 1”) provvisto delle attrezzature necessarie a calcolare in volo il CARP. Alle 07:00, sopra la ZL di Villacidro, in Sardegna, circa 50 km a nord-ovest di Cagliari, i dieci paracadutisti del Battaglione Sabotatori si lanciarono dall’aereo e, una volta a terra, si prepararono a segnalare e difendere la ZL in attesa dell’arrivo dei nove C-130 con a bordo 220 paracadutisti del 1º Reggimento Paracadutisti, 100 carabinieri paracadutisti, 44 artiglieri paracadutisti, 12 paracadutisti del quartier generale della Brigata Folgore e 20 della compagnia manutenzione, per un totale di 396 soldati suddivisi in 46 per ogni aereo, insieme a due direttori di lancio.
“Gesso 2”, il primo dei nove C-130, si alzò dalla pista di Pisa alle 05:41 con a bordo il generale Ferruccio Brandi, comandante della Folgore, e altri 43 paracadutisti del 1º Reggimento. Brandi compiva 51 anni proprio quel giorno. A distanza di quindici secondi l’uno dall’altro, decollarono in totale solo sette C-130, perché “Gesso 9” e “Gesso 10” avevano subito dei ritardi. A pochi minuti dal decollo, i piloti di “Gesso 5”, che seguiva di quindici secondi “Gesso 4” su cui erano imbarcati 44 paracadutisti della 6ª Compagnia e due direttori di lancio della Compagnia comando del II Battaglione paracadutisti “Tarquinia”, videro davanti a loro una improvvisa fiammata sul mare. Il primo pilota informò allora il comandante della formazione, tenente colonnello Scott, che a sua volta cercò subito di stabilire un contatto radio con tutti i sette apparecchi in volo. “Gesso 4” non rispose. Scott informò allora la base e si diresse col proprio aereo “Gesso 8” sul presunto luogo dello schianto, mentre il resto della formazione procedette verso la Sardegna.
All’aeroporto di Pisa, il capo ufficio operazioni della Folgore, maggiore Antonio Milani, non appena saputo da “Gesso 8” che “Gesso 4” «è in mare», si diresse a bordo di un elicottero AB-205 del 26º Gruppo squadroni ALE Giove, di stanza a Pisa, verso il luogo che “Gesso 5” aveva indicato come probabile punto dell’incidente: le secche della Meloria. Sul posto furono avvistati galleggiare in una grossa macchia d’olio gli zainetti dei paracadutisti, il carrello del velivolo e battelli di salvataggio vuoti. Il comandante della brigata Folgore, generale Brandi, venne avvisato dell’incidente non appena sceso a terra col paracadute e subito intraprese il viaggio verso Livorno mentre il resto dei paracadutisti proseguì l’esercitazione. Le famiglie dei caduti furono avvisate ufficialmente dal maggiore Dario Orrù, direttore della sala operativa del comando della Folgore.
Il Dipartimento militare marittimo “Alto Tirreno” della Marina Militare iniziò le ricerche mettendo in campo imbarcazioni e mezzi aerei. Il mare mosso e le poco precise indicazioni del punto d’impatto fatte dal personale di ricerca, però, ostacolarono le operazioni che portarono a un nulla di fatto. Ulteriori ricerche effettuate incrociando i punti di osservazione da terra di due testimoni oculari con uno dei fari della Meloria, i maggiori Orrù e Milani individuarono un più plausibile punto d’impatto, molto vicino a quelli indicati dal pilota e dal navigatore di “Gesso 5”.


Finalmente il dragamine Ontano il 15 novembre, individuò a circa 50 metri di profondità il relitto di “Gesso 4”. Le operazioni di recupero iniziarono il 17 novembre coordinate dalla Marina Militare con la nave appoggio incursori Pietro Cavezzale e con l’aiuto di Carabinieri, Polizia di Stato e membri del Battaglione Sabotatori Paracadutisti. Diversi giorni dopo Nave Cavezzale fu affiancata dall’omologa britannica Layburn. I corpi recuperati dal fondale marino vennero issati su un rimorchiatore e portati a terra. Vi invitiamo a visionare lo struggente filmato del recupero dei corpi sul sito indicato al fondo di questo articolo. I ragazzi vennero tutti identificati grazie alle matricole dei paracadute e al numero di matricola delle armi in dotazione a ogni singolo parà. Il giorno successivo, 18 novembre, il sergente maggiore dei Sabotatori Giannino Caria, si tolse la cima che lo teneva collegato a un collega (andavano in coppia per sicurezza), forse per poter esplorare più liberamente i resti di “Gesso 4”, e rimase sul fondo. Un capitano dell’Aeronautica Militare avvertito dal compagno di immersione, si tuffò subito in mare e riportò alla superficie il corpo senza vita di Caria, decorato per il suo gesto con la medaglia d’oro al valore civile.
Nave Cavezzale rimase a Livorno fino al 10 febbraio 1972. In tale data vennero sospese le ricerche. A questa data erano stati ritrovati trentacinque paracadutisti e tre aviatori. Nave Cavezzale tornò altre due volte sul luogo della sciagura su segnalazioni di ritrovamenti da parte di subacquei che si immergevano nei pressi delle Secche della Meloria. Nel giugno seguente, nel corso di un’immersione nelle acque di Tirrenia, il maggiore Francesco Miglioranza trovò la salma di un altro parà. La vicenda fu la causa che diede inizio a un nuovo ciclo di ricerche che portarono in superficie altri tre paracadutisti. I dieci rimanenti corpi non verranno mai ritrovati.
Dopo la tragedia venne costituita una commissione d’inchiesta incaricata di indagare sulle cause dell’incidente, ma i lavori poterono cominciare solo dopo il ritrovamento del relitto. Da “Gesso 4” non giunse mai nessuna comunicazione di allarme o di emergenza, e sebbene siano state recuperate dal fondale grandi parti dell’aereo grazie a un pontone con gru dell’Arsenale M.M. di La Spezia, la commissione non è stata in grado di determinare con certezza la causa dell’incidente. Dal ritrovamento e dal posizionamento dei tronconi del velivolo, si può ipotizzare che i piloti, troppo vicini al mare, abbiano richiamato il velivolo, determinando così l’impatto della coda con l’acqua e la successiva rottura dell’aereo.
Sia il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat sia la regina Elisabetta II espressero cordoglio e vicinanza ai parenti dei caduti e alla Brigata Folgore. Il 12 novembre i militari di rientro dall’esercitazione in Sardegna gettarono sopra le secche della Meloria una corona a ricordo dei commilitoni morti. Durante le ricerche su un muro dello stadio di Livorno apparve la scritta “46 paracadutisti morti = 46 fascisti in meno – niente lacrime”. L’infame autore del vergognoso gesto è purtroppo rimasto ignoto.
Alcuni resti non identificati vennero tumulati all’interno del monumento funebre costruito al cimitero comunale dei Lupi di Livorno su progetto del caporale maggiore E. Rossato. Nel corso degli anni sono stati eretti molti monumenti a commemorazione del luttuoso evento. In occasione del trentennale della tragedia il 9º Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin” ha sponsorizzato la posa di un capitello in granito a circa 12 metri sott’acqua, vicino al punto in cui si inabissò “Gesso 4”. Nel novembre 2003, grazie all’impegno del maresciallo incursore paracadutista Paolo Frediani per onorare una promessa fatta al figlio del direttore di lancio di “Gesso 4”, è stato inaugurato un altro monumento in località Banditella di Livorno .
Ciò che indigna oggi è il fatto che, mentre ancora si commemorano eventi delittuosi commessi meno di trent’anni prima da bande di delinquenti ammantati dall’aura del riconoscimento politico, una tragedia che ha colpito figli sani della nazione e le loro famiglie è oggi pressoché dimenticato.
Con questo articolo vogliamo – almeno noi – ricordare quei ragazzi, nostri fratelli della Folgore, che come molti altri prima di loro hanno versato il sangue della loro innocente giovinezza e che senza clamore sono stati ricordati da chi li ha amati, ma dimenticati da un Paese irriconoscente.

Fonti:
Il Tirreno
Wikipedia.it

CADUTI DELLA MELORIA: LO STRUGGENTE VIDEO DEL RECUPERO DEI CORPI