La vera storia di ‘Bella Ciao’


Da oltre settant’anni non c’è festa, manifestazione o evento in generale dove i trinariciuti di guareschiana memoria non cantino ‘Bella Ciao’ come il Mazzolin di Fiori dei gitanti sul pulmann, per dare un senso corale e di comunanza tra appartenenti alla stessa fede politica. La canzone ‘Bella Ciao’ viene sbandierata dal dopoguerra come simbolo musicale della lotta partigiana.
Nulla di più falso.
Nessun partigiano ha mai cantato o conosciuto Bella Ciao prima della fine della guerra.

La canzone è stata scritta nel 1918 dal musicista tzigano di origini ucraine Mishka Ziganoff, e fu incisa nel 1919 dal suo autore con il titolo “Koilen” in un disco a 78 giri dal titolo “Klezmer-Yiddish”
I musicisti girovaghi tzigani suonavano nelle piazze di tutta Europa, certamente anche in Italia, ed è probabile (sebbene le origini siano molto incerte, che questa melodia così orecchiabile sia stata presa in prestito per la versione che circolava tra le mondine fin dagli anni trenta. La si può facilmente trovare su YouTube in varie versioni, da quella famosissima di Milva a quella struggente di Nanni Svampa.
Fatto sta che la stessa Associazione Nazionale Partigiani d’italia (ANPI) riconosce che Bella ciao divenne inno ufficiale della Resistenza soltanto vent’anni dopo la fine della guerra e che: “È diventato un inno soltanto quando già da anni i partigiani avevano consegnato le armi”. La sua conoscenza ha cominciato a diffondersi dopo la prima pubblicazione del testo nel 1953 sulla rivista “La Lapa” ma è diventata celeberrima soltanto dopo il Festival di Spoleto del 1964.
Sebbene più fonti citino Bella Ciao tra i canti della resistenza, è assai improbabile che lo fosse. Lo stesso storico Cesare Bermani (non certo uno studioso di destra) “concorda che la sua diffusione nel periodo della lotta partigiana fosse minima anche se, sempre nella sua opinione e senza portare evidenze documentali che la sostengano, la cantavano anche alcuni reparti combattenti di Reggio Emilia e del modenese, ma non era la canzone simbolo di nessun’altra formazione partigiana. Ragion per cui Cesare Bermani afferma che Bella ciao sia “l’invenzione di una tradizione” e che: «A metà anni Sessanta, il centrosinistra al governo ha puntato su Bella ciao come simbolo per dare una unità posteriore al movimento partigiano»”.
Come è riportato nel testo di Roberto Battaglia Storia della Resistenza italiana (Collana Saggi n. 165, Torino, Einaudi, 1953) era Fischia il vento, sull’aria della famosa canzone popolare sovietica “Katjuša”, che divenne l’inno ufficiale delle Brigate partigiane Garibaldi
Anche il noto giornalista ed ex partigiano nonché storico della lotta partigiana, Giorgio Bocca, affermò pubblicamente: «Bella ciao … canzone della Resistenza, e Giovinezza … canzone del ventennio fascista … Né l’una né l’altra nate dai partigiani o dai fascisti, l’una presa in prestito da un canto dalmata, l’altra dalla goliardia toscana e negli anni diventate gli inni ufficiali o di fatto dell’Italia antifascista e di quella del regime mussoliniano … Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella ciao, è stata un’invenzione del Festival di Spoleto.»
Dal 1964 Bella Ciao è stata utilizzata dalle varie associazioni partigiane di ogni colore politico, come dimostra il fatto che fu cantata dal congresso della DC all’elezione del segretario ed ex-partigiano Benigno Zaccagnini.
È una canzone popolare divulgata, nelle sue differenti versioni, tra le regioni del Piemonte e Veneto ma alcune tracce sono state individuate anche nel centro Italia. Il perduto amore, la liberazione dal lavoro opprimente e la morte sono le tematiche dei differenti testi tramandati, principalmente, in forma orale. Ed è sulla base del metodo di diffusione l’origine dei costanti cambiamenti di contenuto e significato.
“Alla mattina appena alzata/ o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao/ alla mattina appena alzata/ in risaia mi tocca andar.” È l’incipit di una versione diffusa negli anni Trenta. Non si parla di invasori ma di lavoro in risaia. Nei diversi studi, sul testo, si rintraccia la trasmissione di questo inno nel lavoro dei campi di risaia. Saranno proprio le mondine del nord e centro Italia a tramandare questo inno di liberazione. “ Ma verrà un giorno che tutte quante/ o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao/ ma verrà un giorno che tutte quante/ lavoreremo in libertà.”
Con Bella Ciao è narrato anche l’amore in cui, anziché raccontare dell’immagine del partigiano, quel “fiore” indica Rosettina o Rosina “che l’è morta per l’amor.” Molteplici sono le fonti che raccontano e diffondono il motivetto di Bella Ciao, già dalla metà del XIX secolo. Qualche traccia si ritrova anche tra i testi antichi di canti popolari francesi, forse dovuto alla vicinanza con il Piemonte.
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Fonti:
l’Espresso
il megafono.eu
Wikipedia